venerdì 30 novembre 2012

Siria, le notizie della settimana dal 22 al 28 novembre 2012


a cura di Marco Palombo


I TRE GRAVI PASSI MOLTO PROBABILI DEL GOVERNO MONTI

Il governo italiano si appresta quasi sicuramente a tre iniziative relative alla guerra siriana dalle pesanti conseguenze. Le azioni gravi, possibili nel giro di poche settimane, sono:

-Togliere l’ embargo dell’ Unione Europea alla fornitura di armi ai “ribelli” siriani.

-Riconoscere la neonata Coalizione Nazionale Siriana come unica legittima rappresentante della Siria e del suo popolo.

-Pronunciarsi a favore dell’ installazione di missili Patriot della NATO in Turchia al confine con la Siria.

Il governo Monti, come è solito fare, cercherà di compiere questi passi giustificandoli soprattutto con l’ argomento che sono scelte fatte insieme agli altri paesi dell’Unione Europea. In realtà in questo momento nei paesi europei ci sono posizioni diverse su queste scelte e intervenire in qualche modo nel dibattito in corso potrebbe influenzarne gli esiti.

Vediamo qualche dettaglio dei temi in oggetto:

FINE ALL’ EMBARGO PER LE ARMI IN SIRIA

L' embargo dell'Unione Europea alle forniture di armi in Siria è stato adottato nel maggio 2011. E' stato rinforzato nel luglio 2012, subito dopo il veto russo-cinese alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU che dava ad Assad un ultimatum di dieci giorni per portare le armi pesanti fuori dai centri abitati. La Francia e la Gran Bretagna vorrebbero rimuovere l’embargo, magari definendo alcune armi come difensive. La Gran Bretagna vorrebbe anche fornire ai gruppi armati ribelli missili anti aerei. Per quanto riguarda l' Italia, Monti in un' intervista ad Al Jazeera ha dichiarato che la questione sarà affrontata in accordo con gli altri paesi dell’UE. La Chiesa Cattolica a proposito della guerra siriana ha più volte affermato che nel paese di Damasco " è necessario il dialogo e non le armi", ma dal Vaticano non è ancora arrivato un commento su questo tema presente sui media ormai da venti giorni.

RICONOSCIMENTO COALIZIONE COME UNICA LEGITTIMA RAPPRESENTANTE DELLA SIRIA

Anche su questa decisione nei paesi occidentali e medio orientali ci sono posizioni diverse, con la Francia e la Gran Bretagna a fare da apripista in Europa per il riconoscimento della Coalizione Siriana come sola rappresentante legittima della Siria. La Germania è cauta ed ha dichiarato che intende aspettare. L' Italia non ha ancora fatto questo passo ma nelle sue dichiarazioni è talmente ambigua da ingannare molti osservatori tra i quali Le Monde. Tunisia e Libia, paesi guidati da governi con la presenza di partiti islamici, stanno aspettando e seguendo l' evolversi delle vicende. In Siria sono presenti anche altre aggregazioni che si oppongono ad Assad, come il Coordinamento Nazionale Democratico o i partiti curdi che controllano alcuni territori al nord del paese. Inoltre settori consistenti della società siriana sono esplicitamente contrari all' opposizione armata e sostanzialmente estranei a tutte le opposizioni. Tra questi la Chiesa Cattolica Greco-Melchita e in genere le minoranze cristiane e alawite.

MISSILI PATRIOT DELLA NATO IN TURCHIA AL CONFINE CON LA SIRIA

La Turchia attorno al 17 novembre ha chiesto alla NATO di installare un sistema di missili Patriot al confine con la Siria. La richiesta iniziale era di 2 unità di missili. Ogni unità necessita di 85 militari della NATO per la loro gestione. Il 28 novembre alcuni esperti della NATO si sono recati a Malatya per verificare la possibilità' di installare i due sistemi per i missili e altre quattro unità potrebbero essere istallate tra Diyarbakir e Sanlinrfa. Il totale dei militari NATO necessari alla loro gestione sarebbe quindi di oltre 500 persone. I sistemi possono essere utilizzati contro missili e velivoli, potrebbero quindi essere impiegati per eventuali no fly zone da metà dicembre in poi.

LE ATTIVITA’ DELL’ OPPOSIZIONE CHE NON ADERISCE ALLA COALIZIONE SIRIANA

Abbiamo scritto in precedenza che la Coalizione Siriana non esaurisce tutti gli ambienti che si oppongono ad Assad. Questa opposizione fuori dalla Coalizione, che ha nel Coordinamento Nazionale Democratico il riferimento maggiore, si era riunita a fine settembre 2012 a Damasco. All' incontro erano presenti anche osservatori algerini, iracheni ed egiziani oltre a diplomatici russi, cinesi e iraniani. A Teheran c'e' stato ultimamente un nuovo incontro dal titolo "No alla violenza si alla democrazia", oltre a 200 esponenti vicini al governo o all' opposizione, erano presenti il segretario del Partito Comunista Siriano Bagdsh e Ali Heidr, ministro per gli affari della Riconciliazione Nazionale. Partecipavano anche esponenti di partiti e movimenti sociali dell' America Latina e della regione. Intanto nei prossimi giorni esponenti del Coordinamento Nazionale Democratico si recheranno di nuovo a Mosca. Per quanto riguarda la minoranza curda siriana questa è divisa in vari gruppi, ma la parte più consistente che fa riferimento al Pyd, vicino al PKK, è completamente autonoma da tutti i gruppi che compongono la Coalizione e in questo momento ha frequenti scontri armati con i ribelli per il controllo di territori nel nord della Siria.

LA SIRIA TORNA IN PRIMA PAGINA PER I BAMBINI MORTI NEL CAMPETTO DI CALCIO

Nelle scorse settimane la guerra siriana era tornata in secondo piano sui media oscurata dalle vicende nella striscia di Gaza. Ha riconquistato un grande risalto mediatico con la notizia dei dieci bambini uccisi da un bombardamento mentre giocavano al calcio in un campetto nella periferia di Damasco. La notizia è stata riportata con molta evidenza da tutti i media insieme a foto e video. Inizialmente era completamente passata la tesi che alcuni video provavano in maniera inequivocabile quanto denunciato, in un secondo momento i media hanno riferito che non era possibile verificare le immagini da parte di fonti indipendenti e sull’ episodio ci sono ora molti dubbi.

A tal proposito: http://napolinowar.wordpress.com/2012/11/28/unaltra-bufala-bombe-a-grappolo-su-un-campo-dove-giocavano-a-calcio-bambini-siriani/

RIBELLI ALL’ OFFENSIVA ? DI SICURO C’E’ L’ATTENTATO A DAMASCO, OLTRE CINQUANTA MORTI.

Notizie dal campo di battaglia riferiscono di gruppi armati ribelli che attaccano l’ esercito governativo ormai in difficoltà. Particolarmente presi di mira sarebbero gli aeroporti, visto che è evidente che il punto di forza dell’ esercito siriano è la presenza di una forte aereonautica. Ma la notizia certa piu’ grossa è l’ attentato che mercoledì ha colpito di nuovo un quartiere di Damasco abitato dalle minoranze cristiane e druse che si oppongono alle attività dei gruppi armati dell’ opposizione. Prima è esplosa una autobomba, quando sono accorse altre persone sul luogo dell’ attentato ne è esplosa una seconda facendo decine di morti, tutti civili, tra questi molti giovani e giovanissimi.

“DIECI PUNTI PER LA PACE E RICONCILIAZIONE IN SIRIA” DI MADRE AGNES MARIAM

1 – Sostenere la risoluzione dei conflitti attraverso il negoziato e l’ attuazione di un processo democratico 2 – Arrestare il flusso delle armi in Siria 3 – Stigmatizzare metodi di guerra che sono contro la Convenzione di Ginevra 4 – Frenare le interferenze straniere nel conflitto siriano 5 – Fornire informazioni veritiere sul conflitto in Siria 6 – Supporto ai nuovi partiti politici che si moltiplicano e danno una nuova forma nel panorama politico in Siria 7 – Cessare le sanzioni che stanno solo danneggiando la popolazione civile 8 – Equa distribuzione degli aiuti umanitari 9 – Appello all’ imparzialità tra le ONG che lavorano nel conflitto siriano 10 – Sostenere un nuovo stato che garantirà parità di cittadinanza e la libertà religiosa per tutti i gruppi religiosi ed etnici.

Da:Magazine Kairos cattolica Journal Vol. 23 N. 21 novembre 2012 www.cam.org.au/kairos





lunedì 26 novembre 2012

Il voto delle primarie del centrosinistra è più esplosivo di quanto previsto ?

Il voto alle primarie indica l' esplosione del centro-sinistra italiano come lo abbiamo conosciuto nella seconda repubblica ?


La mia impressione, tutta da verificare sia chiaro, è che il voto del 25 novembre avrà un effetto esplosivo, e su alcuni ambienti implosivo, più di quanto finora comunemente si creda, si dica, si scriva.

Potrebbe essere la fine non solo dell' equivoco PD ma anche la fine dell' equivoco DS-CGIL-Regioni rosse,centrosinistra italiano degli ultimi venti anni.

La fine del contratto sociale e politico della rappresentanza che tiene, od ha tenuto insieme finora, l' intero centro sinistra. Area che, bene o male, fino a questo momento e sicuramente fino al ballottaggio della prossima domenica, raccoglie a tutte le elezioni circa la metà dell' elettorato italiano.

Magari con qualche cambio clamoroso di leader, come avvenuto in Puglia, Milano, Palermo e Napoli, risultati che non hanno scalfito per ora la compattezza elettorale del blocco sociale e politico del centrosinistra italiano.

Il paradosso sottolineato dai commentatori ieri sera secondo il quale nelle regioni rosse Renzi vince più del previsto, secondo me, che abito in questo momento a Roma ma sono toscano, dimostra che in realtà è il blocco ex DS-PDS,sociale ed elettorale, che non è più neanche socialdemocratico.

Sabato a Roma si riuniranno, prima del ballottaggio, i firmatari, molti autorevolissimi (Gallino, Viale, Revelli),dell' appello "cambiare si puo'" , www.cambiaresipuo.net . A questa assemblea partecipano, insieme a Rifondazione e altri spezzoni ex centrosinistra, coloro che credono necessario un quarto polo antiliberista anche alle prossime elezioni.

Questa frattura tra due parti che finora hanno coabitato nel centrosinistra italiano potrebbe esplodere o implodere quanto prima.

Norma Rangeri, direttora del Manifesto, ha dichiarato ieri sera che ha votato Vendola ma che al momento pensa di non votare alle primarie.

L'ex deputato PRC Gianni e, attuale militante di Sel, all' assemblea di ALBA ha dichiarato "se Vendola non vince le primarie, una parte di Sel potrebbe partecipare all' ipotesi del quarto polo."

E' una contraddizione che sta esplodendo tra socialdemocratici, antiliberisti e moderati, che hanno coabitato, e tuttora continuano a coabitare nelle amministrazioni ed elezioni locali, nel centrosinistra italiano.

I tempi di tutto questo potrebbero essere più o meno lunghi, ma il processo che ho descritto lo vedo ineluttabile e se non porta ad una frattura ed esplosione porta ad una implosione: astensionismo, Grillo,sofferenza ma passività sociale, e tutto quello che abbiamo visto finora.

sabato 24 novembre 2012

Congo - Goma, la popolazione si sente abbandonata

GOMA : "Migliaia di morti. Distruzioni senza fine e donne stuprate. Nel silenzio del mondo e' ripartita la contesa sulle infinite ricchezze della Repubblica Democratica del Congo. Lo scrigno di materie prime del mondo,ferocemente conteso dai paesi limitrofi e dalle potenze occidentali che li sostengono e' bagnato di sangue innocente. Negli ultimi 15 anni i morti sono stati forse dieci milioni. E tutto tace..." Silvestro Montanaro


video Testimonianza da Goma dalla Cité des Jeunes di Ngangi, fate girare!! Goma 19'11'2012.wmv

https://www.dropbox.com/s/e6g4vjoycdiefu5/Goma%2019'11'2012.wmv

GOMA, “POPOLAZIONE SI SENTE ABBANDONATA”

“La notte a Goma è trascorsa tranquilla ma l’invito fatto dai ribelli ieri via radio di aprire i negozi e di tornare al lavoro è stato raccolto soltanto in piccola parte dalla popolazione che ha preferito restare nelle proprie abitazioni in attesa che la situazione si faccia più chiara. Di conseguenza solo pochi negozi hanno aperto e lo stesso è avvenuto per gli uffici e le scuole”: una fonte missionaria della MISNA raggiunta nel capoluogo del Nord Kivu, nell’est della Repubblica democratica del Congo, riferisce gli ultimi aggiornamenti seguiti all’occupazione della città da parte del Movimento del 23 Marzo (M23). E aggiunge: “La popolazione si sente tradita e abbandonata dal governo e dalla Monusco, la locale missione dell’Onu. Quest’ultima ha ritirato il personale civile mentre quello militare è concentrato in aeroporto, in questo momento occupato sia dai caschi blu che dai ribelli”.

In dichiarazioni rilasciate a Kinshasa, il portavoce della Monusco Madnodje Mounoubai, ha detto che a difesa di Goma era stato predisposto un dispositivo di sicurezza insieme alle forze armate congolesi (Fardc): “Oggi però le Fardc non sono più a Goma – ha detto il portavoce – e noi non possiamo aiutare qualcuno che è andato via”. A lasciare Goma sono state inoltre le autorità locali: secondo Radio Okapi, i membri del governo provinciale hanno trovato prima rifugio a Bukavu e si sono quindi installati a Beni “dove contano di continuare a governare la provincia”.

Da New York è stato il Consiglio di sicurezza dell’Onu a chiedere sanzioni contro due comandanti dell’M23, Innocent Kaina e Baudouin Ngaruye. Il Consiglio ha poi espresso inquietudine per le ultime vicende e per le violenze che stanno nuovamente interessando la regione. A condannare l’offensiva dei ribelli sono stati anche gli Stati Uniti secondo cui la campagna dell’M23 “è un affronto alla sovranità e all’integrità territoriale del Congo in violazione del diritto internazionale”.

L’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur) sta intanto seguendo la situazione umanitaria, in particolare le condizioni di sfollati e rifugiati che affollano i campi profughi di Goma e che dipendono quasi esclusivamente dagli aiuti umanitari. “Che civili siano fuggiti verso il Rwanda e verso altre direzioni è confermato – aggiungono le fonti missionarie della MISNA – quantificare questi movimenti risulta però ancora difficile”.

[GB]

© 2012 MISNA - Missionary International Service News Agency Srl -

Donne del Mali contro la guerra voluta da Hollande, seguita da Prodi

Donne del Mali diciamo NO alla guerra su commissione

“Il pesce s'inganna se crede che il pescatore è venuto per dargli da mangiare”
(Karamoko Bamba, movimento Nko)

“Non ammettiamo più che si ignori che, sotto i nostri foulard colorati, non dissimuliamo solo, con un gesto fugace, i serpenti indomabili neri o bianchi dei nostri capelli intrecciati, ma anche le nostre idee”

L’Afrique mutilée
Aminata TRAORÉ et Nathalie M’DELA-MOUNIER, Edizioni Taama 2012

Introduzione

La situazione del Mali rivela una realtà terribile che si manifesta in molti altri paesi in conflitto: la strumentalizzazione della violenza sulle donne per giustificare l'ingerenza e le guerre per la predazione delle risorse dei loro paesi. Le donne africane devono saperlo e farlo sapere.

Così come l'amputazione dei due terzi del territorio del Mali e l'imposizione della sharia alle popolazioni delle regioni occupate sono umanamente inaccettabili, la strumentalizzazione di questa situazione e dei destini delle donne sono pretesti moralmente indifendibili e politicamente intollerabili.

In questo contesto, qui ed ora, noi, donne del Mali, abbiamo un ruolo storico da giocare, per difendere i nostri diritti umani contro tre forme di fondamentalismo: quello religioso dell'islam radicale; quello economico che predica l'onnipotenza e unicità del mercato; e quello politico della democrazia mistificata puramente formale, corrotta e corruttrice.

Invitiamo tutti coloro, donne e uomini che nel nostro Paese, in Africa e nel mondo intero si sentono solidali alla causa della nostra liberazione da questi tre fondamentalismi ad unire le loro voci alle nostre, per dire insieme “NO!” alla guerra su commissione che si profila all'orizzonte. Gli argomenti che seguono motivano il nostro rifiuto.

1 Il Rifiuto della Democrazia

La richiesta di schierare le truppe africane nel nord del Mali, trasmessa dalla Comunità degli Stati dell'Africa dell'Ovest (CEDEAO) e dall'Unione Africana alle Nazioni Unite, si basa su un'analisi deliberatamente tendenziosa e illegittima, che non è in alcun modo fondata su un processo di consultazione nazionale degno di questo nome, né alla base né al vertice. Tale analisi ignora la grave responsabilità morale e politica delle nazioni che hanno votato e consapevolmente violato la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza, trasformando il mandato di protezione della città di Bengasi in un'autorizzazione a rovesciare il regime libico e ad assassinare Muhammar Gheddafi. Gli arsenali fuorusciti dal conflitto libico hanno aiutato la colazione separatista composta dal Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad (MNLA), Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e i loro alleati, favorendone la vittoria contro un esercito maliano demotivato e disorganizzato.

Con l'approvazione di un intervento militare concepito dai capi di Stato africani, prevista per i prossimi giorni, il Consiglio di Sicurezza pretende forse di poter correggere le conseguenze di una guerra ingiusta con un'altra guerra altrettanto ingiusta?

L'Unione Africana, marginalizzata e umiliata nella gestione della crisi libica, può davvero, deve davvero avventurarsi alla cieca in una nuova guerra in Mali senza trarre alcun insegnamento dalla caduta del regime di Muhammar Gheddafi?

Che fine ha fatto la coerenza dei dirigenti africani che si erano in maggioranza opposti – invano – all'intervento della NATO in Libia, nel momento in cui si mettono d'accordo sulla necessità di un nuovo spiegamento di forze in Mali dalle conseguenze incalcolabili?
2 L’Estrema Vulnerabilità delle Donne nei teatri di Guerra

L'International Crisis Group avverte: «Nel contesto attuale, è altamente probabile che un'offensiva militare dell'esercito maliano, appoggiata dalle forze della CEDEAO e/o da altri, finisca per provocare ancora più vittime civili al Nord, aggravare l'insicurezza della popolazione e le condizioni economiche e sociali di tutto il Paese, radicalizzare le comunità etniche, favorire l'espressione violenta di tutti i gruppi estremisti e, infine, trascinare tutta la regione in un conflitto multiforme, senza linee di fronte chiaramente delimitate, in mezzo al Sahara». (Mali : Éviter l’escalade, International Crisis Group, 18 luglio 2012, http://www.crisisgroup.org/fr).

Le conseguenze per le donne sarebbero particolarmente drammatiche. La loro vulnerabilità, che tutti riconoscono a parole, dovrebbe essere nei fatti tenuta seriamente in considerazione quando si tratta di assumere gravissime decisioni, e dissuadere da un'entrata in guerra che può essere evitata. Che deve essere evitata, in Mali.

Non dimentichiamo che gli di stupri e le violenze che oggi denunciamo nelle zone occupate del Nord, con l'arrivo di migliaia di soldati rischiano di aumentare vertiginosamente. Si aggiunga che, nelle aree afflitte da grave precarietà, si sviluppa frequentemente in forme più o meno mascherate il fenomeno della prostituzione, con il conseguente rischio di propagazione dell'AIDS/HIV. Il piano d'intervento militare che sarà sottoposto al Consiglio di Sicurezza prevede o no dei mezzi efficaci per proteggere le donne e le ragazze maliane da tali disastrosi flagelli?

Infine, non possiamo tacere il fatto che le sanzioni economiche imposte dalla comunità internazionale all'intera popolazione maliana, in nome del ritorno a un ordine costituzionale ormai screditato, colpiscono innanzitutto i gruppi più vulnerabili. Dove vige una ripartizione sessuale dei ruoli e dei compiti, le donne fanno fronte a difficoltà enormi per provvedere ai bisogni di acqua, cibo, energia domestica e medicinali per le famiglie. Questa lotta quotidiana ed infinita per la sopravvivenza è già di per sé una guerra. In tale contesto di precarietà e gravissima privazione dell'intera popolazione, e delle donne in particolare, l'opzione militare all'orizzonte è un rimedio che si annuncia peggiore del male. Solo una soluzione pacifica, espressione della società civile, politica e militare del Mali, sarà costruttiva.

3 Le Incoerenze della Comunità Internazionale

Ognuno dei potenti membri della “comunità internazionale”, della CEDEAO e dell'Unione Africana si è profuso nella denuncia delle famose sciagure che subiscono le donne in situazione di conflitto.

A ciascuno il suo: il Presidente francese François Hollande, in prima fila nella difesa dell'opzione militare, ha sottolineato le sofferenze delle donne «prime vittime delle violenze delle guerre» (Kinshasa – quattordicesimo summit dell'Organizzazione Internazionale della Francofonia). Eppure, il 26 settembre a New York, in occasione del vertice speciale sul Sahel organizzato a latere dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato: «so che può affacciarsi la tentazione di portare avanti dei negoziati. Negoziare con dei gruppi terroristi? Neanche per idea. Ogni perdita di tempo, ogni processo che rischia di trascinarsi all'infinito, non fa altro che il gioco dei terroristi».

Ma perché la Francia, che ritira le sue truppe dall'Afghanistan, ritiene che il Mali e la CEDEAO debbano impegnare le loro nell'ambito della lotta contro il medesimo terrorismo? «Bisogna essere capaci di porre fine a una guerra», sembrano voler dire i Presidenti di Stati Uniti e Francia. Nel suo discorso d'investitura all'elezione presidenziale, il candidato François Hollande aveva dichiarato: «La guerra in Afghanistan è andata oltre la sua missione iniziale. Oggi, essa ravviva la ribellione nella misura in cui cerca di combatterla. È tempo di porre fine, una volta per tutte, a questo intervento, e qui voglio assumermene l'impegno».

La Segretaria di Stato americana Hillary Clinton ha fatto scalo ad Algeri il 29 ottobre 2012, con l'obiettivo – fra gli altri – di convincere il Presidente Abdelaziz Bouteflika ad allinearsi alle schiere dei belligeranti. Ma ad Addis-Abeba si era rivolta ai capi di Stato africani in questi termini: «nella Repubblica Democratica del Congo, la prosecuzione delle violenze sulle donne e le ragazze, e le attività dei gruppi armati nella regione orientale del Paese, sono per noi un motivo costante di preoccupazione. L'Unione Africana e le Nazioni Unite non devono risparmiare alcuno sforzo per aiutare l'RDC a fronteggiare queste incessanti minacce alla sicurezza».

L'iniziativa “Uniti per mettere fine alla violenza contro le donne” lanciata il 25 gennaio 2008 dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban-Ki Moon, dedica un'attenzione particolare alle donne dell'Africa Occidentale. Ciò avveniva prima che scoppiassero le guerre in Costa d'Avorio e in Libia, che hanno brutalmente compromesso la realizzazione degli obiettivi di questa iniziativa. Comprendiamo quindi le riserve del Segretario Generale rispetto all'ipotesi di una missione militare, e ci auguriamo che non avvallerà il piano di guerra dei capi di Stato della CEDEAO. Non dimentichiamolo: la guerra reca con sé un'estrema violenza ai danni della popolazione civile, e in particolare delle donne. Sarà quindi inevitabilmente ostacolato e rinviato il raggiungimento degli obiettivi dell'iniziativa “Uniti per mettere fine alla violenza contro le donne”.

Perché i grandi della terra, che dichiarano a gran voce di avere tanto a cuore il destino delle donne africane, non ci dicono la verità e nascondono i reali obiettivi minerari, petroliferi e geostrategici di questa e delle altre guerre?

Anche la Presidentessa della Commissione dell'Unione Africana Nkosazana Dlamini-Zuma ha ribadito che: «è indispensabile che le donne siano pienamente coinvolte e partecipino attivamente alla ricerca di una soluzione al conflitto. Quando si lavora per promuovere e consolidare la democrazia, le voci delle donne devono essere ascoltate. Potete contare sull'appoggio dell'Unione Africana sul mio impegno personale per perseguire questo obiettivo» (Riunione del gruppo di appoggio e monitoraggio della situazione in Mali – 19 novembre 2012).

La nomina di una donna a questa carica, per la prima volta nella storia, potrebbe rappresentare un reale vettore di emancipazione politica per le donne e favorire la liberazione del Continente. Ma Nkosazana Dlamini-Zuma deve accettare di allargare la piattaforma del dibattito sulle donne africane senza escludere le dinamiche globali che ci vengono taciute e nascoste.

4 Prese in Ostaggio: la nostra triste situazione

Il Mali è un paese aggredito, umiliato e preso in ostaggio da degli attori politici e istituzionali che, a partire dalla CEDEAO, non sono tenuti a rispondere delle loro azioni nei nostri confronti. Questa realtà si traduce anche nell'insostenibile pressione che viene esercitata su ciò che resta dello Stato maliano. Il primo degli ostaggi maliani è il Presidente ad-interim Dioncounda Traoré: lo prova proprio il fatto che il 19 ottobre scorso, in occasione della riunione del gruppo di appoggio e monitoraggio della situazione in Mali, si è sentito in dovere di ribadire che non è un Presidente in ostaggio. Se fosse vero, il 21 settembre scorso, alla vigilia dell'anniversario dell'indipendenza del nostro Paese, non avrebbe ripetuto ossessivamente per tre volte di preferire la via del dialogo e del negoziato, per poi chiedere tre giorni dopo, alle Nazioni Unite, un intervento militare internazionale immediato. Prima di cambiare idea, Dioncounda Traoré aveva dichiarato nel suo discorso alla nazione: «sono consapevole di essere il Presidente di un Paese in guerra: ma la mia prima scelta rimane la via del dialogo e del negoziato; la seconda scelta è la via del dialogo e del negoziato; e la terza scelta è ancora la via del dialogo e del negoziato. Faremo la guerra solo se non ci rimane altra scelta».

Ma al di là del Presidente ad-interim, siamo tutte e tutti ostaggi di un sistema economico e politico iniquo e ingiusto, che eccelle nell'arte di spezzare ogni forma di resistenza a colpi di ricatti per accedere ai finanziamenti. La soppressione degli aiuti esterni si traduce, per l'anno 2012, in un deficit budgetario di 429 miliardi di franchi CFA. Quasi tutti gli investimenti pubblici sono sospesi. Moltissime imprese sono state costrette a chiudere, causando licenziamenti massicci e disoccupazione tecnica per decine di migliaia di lavoratori, proprio nel momento in cui il prezzo dei beni alimentari di base subisce una drammatica impennata. Le perdite più gravi si verificano nel settore delle costruzioni e dei lavori pubblici. Il turismo e il suo indotto (artigianato, ristorazione, ecc.) costituivano una fondamentale fonte di reddito per le regioni oggi occupate, e in particolare per l'area di Timbuctù: se già dal 2008 pativa le conseguenze dell'iscrizione del Mali nella lista dei Paesi a rischio, oggi questo settore è praticamente annichilito.

Il riferimento alla condizione di ostaggi non intende affatto banalizzare la prova insopportabile degli ostaggi europei e delle loro famiglie; esso ambisce invece a suggerire l'identica gravità della situazione di tutti gli esseri umani imprigionati in un sistema di cui non sono personalmente responsabili. Si tratta quindi di capire come conviene agire per permettere al nostro Paese di ritrovare la sua integrità territoriale e la pace, e ai sei ostaggi francesi detenuti da AQMI di ritrovare sani e salvi le loro famiglie, senza che queste liberazioni passino per un intervento militare che metterebbe in pericolo la vita di centinaia di migliaia di abitanti del Mali del Nord, anch'essi ostaggi di una insostenibile situazione.

5 La Guerra su Commissione

La scelta di andare in guerra si fonda su una conoscenza inadeguata della vera posta in gioco. Jacques Attali propone, a chi abbia la capacità di coglierla, una chiave di lettura che dimostra – se ancora ce ne fosse bisogno – che l'intervento militare che si profila all'orizzonte è una guerra su commissione. Ritiene infatti che la Francia deve agire «perché questa regione (il Sahel) può diventare un avamposto per la formazione di terroristi e kamikaze che presto cominceranno ad aggredire gli interessi occidentali, sia nella regione, sia, servendosi di numerosi canali di accesso, in Europa. Per ora sono poche centinaia: ma se non si interviene, saranno presto diverse migliaia, convenuti dal Pakistan, dall'Indonesia e dall'America Latina. E i giacimenti di uranio del Niger, essenziali alla Francia, sono lì a due passi» (Blog Attali, 28 maggio 2012).

Si chiarisce quindi la ripartizione dei ruoli fra la Francia, la CEDEAO, l'Unione Africana, l'Europa e l'ONU. La CEDEAO, di cui molti maliani e africani faticavano fino ad oggi a vedere il gioco sporco, è in missione in Mali. Secondo Jacques Attali, la CEDEAO dovrebbe intervenire «per restituire alle autorità civili la possibilità di decidere, senza intimidazioni, di ristabilire la sicurezza, di ristrutturare l'apparato militare e di far ripartire l'attività economica; al Nord, per mettere fine a questa secessione, sarà indispensabile un'azione militare terrestre, dotata di appoggio logistico a distanza, mezzi di osservazione, droni, e capacità di direzione strategica. Chi può farsi carico di tutto ciò? Certamente non il governo maliano da solo, privo di armamenti e autorità. Ma neanche la CEDEAO ha le risorse militari necessarie a garantire la realizzazione di tutti i compiti richiesti, e non può nemmeno contare di ricevere una domanda di intervento da parte del governo maliano, che subisce l'influenza di forze incoerenti. Neppure l'Unione Africana, in ogni caso non da sola. Allora chi? L'ONU? La NATO? Il problema si presenterà in tempi brevi. Anzi, è già presente. Ancora una volta, l'Europa dovrebbe riuscire a dare prova di unità, in modo da poter decidere ed agire. Ma l'unità non c'è. Tuttavia, se gli attuali tentativi di mediazione dovessero fallire, bisognerà cominciare a riflettere in tempi rapidi su come mettere in campo una coalizione sul modello di quella che ha funzionato in Afghanistan. Prima che l'equivalente di un 11 settembre 2001 non venga ad imporcela» (Blog Attali, 28 maggio 2012).

È tutto chiaro. La guerra che si prepara in Mali si inserisce nel solco di quella in Afghanistan, da cui la Francia e gli Stati Uniti si ritirano progressivamente, dopo undici anni di combattimenti e di pesantissime perdite umane, materiali e finanziarie. La Francia, interessata a mantenere la sua influenza nella regione saheliana, prende la direzione delle manovre in Mali, e subappalta la violenza militare alla CEDEAO. Trasferimento di compiti politicamente corretto per scongiurare le accuse di colonialismo e imperialismo, ma anche per contenere i costi della guerra ed evitare altre perdite di vite umane. Le opinioni pubbliche occidentali tollerano sempre meno di vedere morire dei propri connazionali per la difesa delle “nostre” cause. Così come i famigerati fucilieri senegalesi della seconda guerra mondiale, le truppe africane sono chiamate a prestare man forte alla Francia.

6 La Globalizzazione dei Problemi e dei Network

In un tale contesto, il radicalismo religioso non ha certo bisogno del Nord del Mali per diffondersi in Africa e nel mondo. L'economia globalizzata, fondata sull'ingiustizia e sulla disuguaglianza, è un rullo compressore che devasta le economie locali, le società e le culture che le offrono la possibilità di attecchire.

Dal Mar Rosso all'Atlantico, dall'Afghanistan alla Nigeria, da Tolosa, dove Mohamed Merah è stato abbattuto, a Timbuctù, si ramifica una lotta che è sì ideologica, identitaria e religiosa, ma che è anche economica, politica e geostrategica. Gli attori e le forze coinvolte sono dappertutto più o meno le stesse, con qualche variante locale da manipolare, com'è avvenuto per la ribellione tuareg in Mali.

Non ci si illuda infatti che i predicatori afgani, pakistani, algerini, ecc. siano gli ultimi arrivati in Mali. Costoro sono apparsi nelle nostre moschee già a partire dagli anni '90, proprio nel momento in cui le drammatiche conseguenze sociali e umane dei Programmi di Aggiustamento Strutturale cominciavano a farsi sentire, colpendo duramente i redditi, l'accesso al lavoro e la coesione sociale.

7 La Prospettiva « Badenya » come alternativa alla guerra

Alcune donne maliane e africane, consapevoli della reale posta in gioco nell'ipotesi di conflitto e dei meccanismi mortiferi della globalizzazione neoliberale, non avvallano le guerre. Ai valori guerrieri e predatori dell'ordine economico dominante, noi opponiamo i valori pacifisti capaci di riconciliarci e aprirci al mondo. Badenya (figli della madre) è uno di questi principi che noi, donne del Mali, ci impegniamo a coltivare e promuovere; ci opponiamo al principio maschilista della fadenya (figli del padre) che – nella sua accezione ultraliberale – autorizza la corsa sfrenata e fratricida al profitto, in nome della quale si liquidano imprese pubbliche efficienti, si svendono le terre agricole ai nuovi padroni e si accetta la frantumazione del territorio nazionale.

Il nostro rifiuto della guerra, che nasce dalla prospettiva della badenya, è profondamente radicato in una concezione della procreazione secondo la quale mettere al mondo un figlio è già di per sé un modo di essere al fronte (musokele). Sono ancora troppo numerose, fra noi, coloro che periscono nel dare alla luce un figlio. Giorno per giorno, combattiamo contro la fame, la povertà, la malattia, affinché ogni figlio e figlia possa crescere, lavorare, e assumersi la sua parte di responsabilità nella società.

Così, in ogni soldato, in ogni ribelle, in ogni nuovo convertito al jihadismo che si prepara alla battaglia, ciascuna di noi riconosce un fratello, un figlio, un nipote, un cugino. Ieri, le stesse persone lottavano per ottenere un riconoscimento sociale, attraverso il lavoro, un reddito, oppure un visto. Sforzi troppo spesso vani. Oggi, le loro mani tremanti impugnano armi da guerra. In questo mondo che ha perso la bussola, le nostre armi dovranno essere la lucidità e la maturità politica. Non ha senso che il Mali si incammini sul terreno minato di una guerra dalla quale Francia e Stati Uniti arretrano, nonostante la potenza di fuoco della NATO.

All'economia della guerra, noi, donne del Mali, opponiamo l'economia della vita, raccogliendo dalla transizione in corso l'opportunità storica di affrontare la tripla sfida della conoscenza, dei diritti e del dialogo. L'apertura al negoziato di Ansar Dine e del MNLA, la perpetua evoluzione dei rapporti di forza sul campo, così come delle strategie e delle interazioni fra i diversi attori presenti, impongono un esame attento e costante, al fine di evitare una guerra potenzialmente tragica, e di non incorrere negli stessi errori del passato.

Le consultazioni nazionali promesse da mesi non possono più essere rinviate. Tutte le istanze della società maliana devono potersi confrontare per definire insieme e in maniera autonoma le basi e le condizioni di una soluzione al presente conflitto non imposta ma concertata. Noi, donne del Mali, daremo il nostro contributo a questo processo; e similmente non ci sottrarremo domani al compito di rifondare la democrazia nel nostro Paese, sulla base dei valori culturali e sociali in cui ci riconosciamo. Si tratta, in ultima istanza, di dare credibilità e forza alla capacità di analisi, di previsione e di proposta della società civile, politica e militare del Mali.

Chiediamo a tutte e a tutti coloro che condividono il nostro appello di rivolgersi immediatamente a tutti gli attori di spicco della comunità internazionale, per scritto o in qualunque altra forma di espressione, affinché il Consiglio di Sicurezza dell'ONU non adotti una risoluzione che dia mandato per l'invio di migliaia di soldati in Mali.

Firmatari: Aminata D. TRAORE ; SISSOKO Safi SY ; SANOGO Sylvie KONE ; IMBO Mama SY ; Kadiatou TOURE ; TRAORE Sélikèné SIDIBE(Vieux) ; DICKO Rokia SACKO ; Ténin DIAKITE ; DOUMBIA Fanta DIALLO ; KONE Mamou TOURE ; TRAORE Sarata SANOGO ; TRAORE Penda DIALLO ; DIABATE Kadiatou KOUYATE ; Aminata BOCOUM ; Oumou KODIO ; Assatou KAREMBE ; Awa KOÏTA ; Aminata DOUMBIA ; Fatoumata COULIBALY ; Badji BOIRE ; Awa TOURE ; Bintou KONE ; Fatoumata MARIKO ; Mariam KONE ; Minata DIARRA ; Oumou KEITA ; Kadiatou DIALLO ; Kankou KONE ; Rokia NIARE ; Kadia DJIRE ; Ada NANTOUMA ; Awa COULIBALY ; Soungoura DOUMBIA ; Fanta KANTE ; Safiatou COULIBALY ; Djaba TANGARA ; KONE Mama DIARRA ; Ismael DIABATE ; Karamoko BAMBA; Doumbi FAKOLY; Coumba SOUKO ; Clariste SOH-MOUBE ; Nathalie M’DELA-MOUNIER ;

giovedì 22 novembre 2012

Siria, le notizie della settimana dal 15 al 21 novembre 2012


LA TRAGEDIA DI GAZA NON CI FACCIA DIMENTICARE LA GUERRA SIRIANA

Le  centocinquanta persone uccise dai raid israeliani a Gaza hanno quasi cancellato le notizie in arrivo dalla guerra siriana. Era già successa la stessa cosa nei giorni dell’uccisione dell’ ambasciatore Stevens a Bengasi e delle proteste nel mondo islamico per il film su Maometto. E’ una conseguenza inevitabile dei bombardamenti ordinati da Netanyahu ma dobbiamo ugualmente cercare di conoscere e capire quello che avviene nel paese di Damasco, dove i morti sono moltissimi da mesi e la situazione è molto fluida con possibilità di improvvisi cambiamenti di scenario. Ci sono molti legami tra le due guerre e gli attori esterni coinvolti sono gli stessi con alleanze diverse: paesi mediorientali, paesi occidentali, Iran, Israele, Russia e Cina. Qualsiasi cosa succeda nei prossimi giorni a Gaza influenzerà in qualche modo anche i futuri sviluppi della guerra in Siria e la neonata Coalizione Nazionale Siriana avrà sede proprio al Cairo dove in questi giorni si svolgono le trattative tra Israele, Hamas e gli esponenti della Jihad islamica di Gaza.

FRANCIA E GRAN BRETAGNA RICONOSCONO LA COALIZIONE COME UNICA RAPPRESENTANTE DELLA SIRIA

Il presidente francese Hollande dopo meno di una settimana dall’ annuncio ufficiale della nascita della Coalizione Nazionale Siriana aveva già riconosciuto la nuova opposizione come unica rappresentante della Siria, aveva ricevuto il suo presidente Al-Khatib  e richiesto un suo esponente come ambasciatore del popolo siriano in Francia. L’ha già seguita su questa strada la Gran Bretagna che il 15 novembre aveva discusso della crisi siriana in un summit convocato da Cameron ma non aveva comunicato decisioni. Poi venerdì 16 il premier britannico ha ricevuto a Londra una delegazione della Coalizione e martedì 20 novembre è arrivato l’ annuncio del riconoscimento di questa come unica rappresentante del popolo siriano. Le petromonarchie del Golfo seguite da tutti gli altri della Lega Araba avevano già ufficializzato questa decisione.

CAUTA L’ UNIONE EUROPEA MENTRE  L’ AMBIGUITA’ DI MONTI E TERZI INGANNA ANCHE LE MONDE

Il Consiglio dei ministri degli esteri dell’ Unione Europea lunedì 18 ha discusso anche della Siria. Ha espresso un giudizio positivo sulla nascita della Coalizione Nazionale Siriana e l’ ha definita una legittima rappresentante del popolo siriano, non però l’ unica. Tra i paesi più tiepidi verso la nuova opposizione ad Assad troviamo la Germania. Il ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle ha spiegato che il suo paese pone tre condizioni che aspetta di verificare nel prossimo futuro: una dichiarazione a favore della democrazia; l’ impegno ad uno stato di diritto; il pluralismo associativo e religioso. La posizione dell’ Italia e’ la stessa dell’ Unione Europea ma Monti l’ ha esposta in un modo talmente ambiguo da ingannare anche il quotidiano francese Le Monde che ha affiancato l’Italia alla Francia e alla Gran Bretagna tra i paesi che hanno riconosciuto la Coalizione Nazionale Siriana come la sola rappresentante della Siria. Monti ha detto però che il Ministero degli esteri sta studiando come fare altri passi…….

FRANCIA E GRAN BRETAGNA PREPARANO ALTRE MOSSE ?

Il cammino comune di Parigi e Londra non è da sottovalutare. I due paesi il 30 agosto 2012 in una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU avevano chiesto la creazione di zone cuscinetto dove fosse possibile prestare assistenza umanitaria ai siriani sfollati. All’ incontro erano presenti , cosa inconsueta, i due ministri degli esteri Fabius ed Hague. La proposta non passò anche se la discussione non fu divulgata. Però nella conferenza stampa tenuta subito dopo il ministro francese Fabius affermò che non escludeva nessuna opzione per il futuro , lasciando l’ impressione di considerare possibili dei passi anche senza il consenso delle Nazioni Unite. Nel summit del 15 novembre Cameron ha discusso la possibilità di creare no fly zone parziali nel territorio siriano e la Francia negli ultimi tempi  ha molto insistito sulle zone liberate affermando che avrebbe aiutato con ogni mezzo questi territori, possibili rifugi anche per gli sfollati siriani. Nel presentare la Coalizione Nazionale Siriana e’ stata inoltre prospettata la creazione di un esecutivo provvisorio che tra le varie funzioni dovrebbe anche amministrare le zone controllate dall’ Esercito Libero Siriano per il momento composto però da molte brigate indipendenti tra loro. I due paesi sono intervenuti anche sul tema delle forniture di armi ai gruppi dell’ opposizione. La Francia ha sostenuto la necessità di togliere l’ embargo esistente almeno per le armi difensive mentre Cameron ha ipotizzato la fornitura ai “ribelli” di missili anti-aerei. Se consideriamo anche che la Francia e la Gran Bretagna iniziarono la guerra alla Libia mettendo gli altri paesi davanti al fatto compiuto c’è davvero da aspettarsi sorprese.

GRUPPI ARMATI ISLAMICI RIFIUTANO LA COALIZIONE NAZIONALE SIRIANA

In un video diffuso lunedì 19 novembre un esponente islamico, con alle spalle una bandiera nera inneggiante ad Allah, dichiara che quattordici milizie armate rifiutano la Coalizione Nazionale Siriana costituitasi l’ 11 novembre a Doha e ogni altro tipo di coordinamento che non aspiri ad uno stato islamico “giusto”. Tra queste brigate c’è la conosciuta al-Nusra, il gruppo a cui apparteneva il kamikaze autore dell’ attentato che lunedì 5 novembre ha causato la morte di 50 militari governativi . Il Fronte-Al Nusra, considerato da tempo vicino ad Al Qaeda, ha partecipato nei giorni della tentata tregua agli scontri armati avvenuti ad Aleppo tra milizie “ribelli” e combattenti curdi del Pyd.  Alcune brigate citate nel video hanno smentito di aver preso questa posizione ma l’esistenza di dissensi sulla Coalizione è ammessa anche da ambienti giornalistici che hanno sempre minimizzato la presenza islamica tra gli oppositori di Assad.

POCHE NOTIZIE SUGLI SCONTRI IN SIRIA

In questi giorni sono pochissime le notizie sugli scontri armati in Siria. Da fonti dell’ opposizione sono denunciati ancora bombardamenti su zone e centri urbani controllati dai “ribelli” e arriva puntuale il quotidiano aggiornamento sui morti per le violenze. Da fonti governative arrivano invece  notizie di attentati, uccisioni mirate e rapimenti. Nel nord ci sono ancora scontri tra curdi e la brigata Al Nusra, una battaglia nella città di Ras Al-Ain ha causato 29 morti, quasi tutti appartenenti ad Al Nusra, mentre la milizia islamica ha fatto 35 prigionieri trai combattenti curdi e subìto la cattura di undici sui uomini.

QUALCHE CENNO BIOGRAFICO SU AL-KHATIB,  NEO PRESIDENTE DELLA COALIZIONE SIRIANA*

Lo sceicco Ahmad Al Khatib Moaz ha una formazione di ingegnere in geofisica ed ha lavorato dal 1985 al 1991 per l’ al-Furat Petroleum Company una società con partecipazioni di aziende nazionali ed estere, tra le quali l’ anglo-olandese Shell con la quale al-Khatib ha mantenuto dei legami. Nel 1992 ha sostituito il padre, lo sceicco al-Faraj al-Khatib, come predicatore nella Moschea di Omayyadi. Fu sollevato quasi subito dall’ incarico dal padre di Bashar al Assad.  Da quel momento gli fu impedito di predicare in Siria ma per motivi che niente hanno a che fare con le attuali vicende siriane. La Siria in quegli anni sosteneva l’ intervento internazionale per liberare il Kuwait perché rivale dell’Iraq di Saddam Hussein e per avvicinarsi ai paesi occidentali. Lo sceicco invece era contrario a “Desert Storm” per motivi religiosi, considerava addirittura un sacrilegio la presenza occidentale in terra d’ Arabia. Pronunciò quindi vari discorsi antisemiti e antioccidentali. In seguito ha svolto l’attività di educatore a Damasco ed ha viaggiato molto nei paesi occidentali finchè si stabilito in Qatar. E’ tornato in Siria nel 2003-04 come lobbista del gruppo Shell per l’ aggiudicazione di concessioni di petrolio e gas, infine il ritorno nel 2012 a Douma, sobborgo di Damasco, dove si impegna a organizzare la rivolta. Viene arrestato e graziato, nel luglio lascia il paese e si stabilisce al Cairo. La sua famiglia è di tradizione Sufi ma lui appartiene ai fratelli Musulmani e nei suoi scritti ha usato verso il popolo ebraico e i musulmani sciiti espressioni come “nemici di Dio” e “eretici negazionisti” . Quindi ancora una volta Washington inganna gli alleati. La Francia ha preso tutti i rischi ma la Total non beneficerà di alcuna concessione.

 *Le notizie su al-Khatib sono tratte da un articolo di Thierry Meyssan (segnalazione di Valeria e Barbaranotav)

http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1187

giovedì 15 novembre 2012

Siria, le notizie della settimana dal 5 al 14 novembre 2012


DOPO UNA SETTIMANA DI INCONTRI IN QATAR NASCE LA “COALIZIONE SIRIANA”
Domenica 11 novembre c’è stato l’ annuncio ufficiale della nascita della Coalizione Siriana, comitato che unisce molti gruppi dell’ opposizione ad Assad. Presidente é Moaz al Khatib, imam di Damasco in esilio dal mese di luglio, vice presidenti: Riad Sief, imprenditore ed ex deputato, e l’ attivista per i diritti umani femminili Suhair al Atassi. La Coalizione Siriana ha chiesto all’Unione Europea e agli USA il riconoscimento ufficiale e finanziamenti per armi ed altro, costituirà un esecutivo in esilio che “governerà“ subito, cosi e’ stato detto, le zone liberate. La Coalizione rifiuta ogni dialogo con Assad, giudica la lotta armata l’ unica strada possibile per cambiare le cose in Siria e il Presidente Moaz al Khatib chiede un intervento diretto degli eserciti occidentali, come in Libia e Irak.

Prima i paesi del Golfo poi tutta la Lega Araba con l’astensione di Algeria ed Iraq hanno riconosciuto la nuova opposizione. Brahimi ha partecipato, non so se in questa occasione ma sicuramente in questi giorni, ad un incontro della Lega Araba e mi sembra un segnale inquietante. Subito é arrivato il riconoscimento della Coalizione siriana da parte di Francia e USA. L’ Italia per il momento non compie questo passo ma ha salutato con soddisfazione la costituzione del nuovo comitato di opposizione ed ospiterà un incontro degli Amici della Siria, il gruppo di paesi che si riunisce periodicamente da molti mesi per discutere del cambio di governo a Damasco.



QUALCHE OPPOSITORE RIMANE FUORI DALL’ACCORDO CON AMBIGUITA’ CHE VENGONO IMPORTATE ANCHE IN ITALIA
Alcuni gruppi dell’ opposizione siriana non hanno aderito alla accordo ma non si conosce il loro seguito reale e comunque tengono un atteggiamento ambiguo per non scontrarsi frontalmente con chi potrebbe guidare un eventuale dopo Assad con l’ appoggio politico dell’ Occidente e della Lega Araba. Dovrebbe essere rimasto fuori il Coordinamento Nazionale, rappresentato da Mennaa, che unisce ambienti diversi, e sono sicuramente fuori i curdi del Pyd, partito vicino al PKK, che nei giorni della tregua a fine ottobre hanno avuto ad Aleppo un duro scontro armato con brigate ribelli. Si sono pronunciati contro l’ accordo il National Coordinating Committe e la Syrian Democratic Platform. In sostanza per il momento non avrebbe aderito chi a fine settembre ha organizzato a Damasco la Conferenza per la salvezza della Siria alla presenza di diplomatici russi, cinesi, algerini e di altri paesi. L' esistenza di questa aerea, abbastanza indefinita, giustifica la non opposizione di alcuni pacifisti italiani alle milizie armate contro Assad. Un aiuto non da poco per la guerra.

ALCUNE REAZIONI ALLA NASCITA DELLA “COALIZIONE SIRIANA”
Per il governo siriano e’ una dichiarazione di guerra contro Damasco, mentre al contrario il nunzio apostolico in Siria Mario Vicari ha affermato che l’ unificazione dell’ opposizione é un evento positivo e “speriamo che porti ad un dialogo con il governo”. Ma tra gli elementi costitutivi della coalizione c’é quello di escludere qualsiasi ipotesi di trattativa con Assad. Tra i dodici punti dell’ accordo trovato a Doha uno dice esplicitamente che i gruppi che hanno costituito la Coalizione siriana e quelli che aderiranno “Si impegnano a non negoziare con il regime”. E’ una dichiarazione di guerra a chi in questo momento e’ il rappresentante dello stato siriano anche alle Nazioni Unite.

UNA BREVE CRONACA DELLA SETTIMANA A DOHA
Nei giorni 5-6-7-Novembre si e’ riunito il Consiglio nazionale Siriano che finora e’ stato l’ unico interlocutore dell’ occidente. E’ stato eletto prima un consiglio direttivo di 40 persone, tutti uomini. Per le proteste delle donne e di altri attivisti e’ stata rimandata l’ elezione dell’esecutivo di 11 membri e poi del Presidente. Dopo due giorni e’ stato eletto presidente il cristiano ed ex comunista Georges Sabra. Erano presenti a Doha i ministri degli esteri turco Davutoglu e quello egiziano Kamel Amr, ministro degli esteri anche nel precedente governo del suo paese. Una persona evidentemente non sgradita a Washington.

Il giorno 8 novembre doveva essere approvato un documento presentato da Riad Sief che sostanzialmente anticipava quelle che sono state poi le conclusioni della Coalizione Siriana e sulla base di quel testo sarebbe dovuta essere formalizzata la nascita di un nuovo comitato unitario dell’ opposizione. Ma i Fratelli Musulmani, che controllano il CNS, hanno bocciato questo percorso appoggiato dagli Stati Uniti e nello stesso giorno é stata riportata la notizia dell’ uscita dei Comitati locali di Coordinamento dal Consiglio Nazionale Siriano per l’ eccessiva influenza nel CNS della componente organizzata sunnita. Da venerdì a domenica é stato poi trovato un accordo tra il Consiglio nazionale e gli altri gruppi dopo momenti di incertezza superati per le pressioni dei paesi occidentali e del Golfo. Domenica é stato infine dato l’ annuncio ufficiale della nascita della Coalizione Nazionale Siriana.



CITTA’ DEL VATICANO



Benedetto XVI aveva chiesto anche domenica 4 novembre, all’ Angelus in San Pietro, una soluzione politica alla guerra siriana ma la missione vaticana in Siria che prevedeva una delegazione di 4 cardinali per portare la solidarietà, materiale ed umana, all’ intero popolo si e’ trasformata in una permanenza di qualche giorno del Cardinale Sarah in Libano con visite ai campi degli sfollati e una denuncia dell’ emergenza umanitaria che paradossalmente piace molto a chi fomenta la guerra.



NUOVO INCONTRO ERDOGAN-AHMADINEJAD E IPOTESI DI TAVOLO NEGOZIALE TRA IRAN-RUSSIA-EGITTO E TURCHIA



Non so se questa strada e’ stata superata dagli eventi successivi , la riporto ugualmente. Giovedì 8 Novembre colloquio tra Erdogan e Ahmadinejad, in Indonesia, a margine del Forum per la democrazia di Bali. Mentre Ankara non abbandona l’ ipotesi di un tavolo negoziale tra Tehran e Mosca, finora alleate di Damasco, ed Egitto, che é dalla parte dei ribelli sunniti.

MERCOLEDI’ 14 LA VARIABILE DELLA CRISI SIRIANA MENO PREVEDIBILE E’ ISRAELE

Il 14 novembre, quando scrivo le ultime righe, la tensione a Gaza é altissima. Ma gia’ questa mattina il Foglio di Giuliano Ferrara, sempre ben informato dalle sue fonti mediorientali, ha scritto di rotta di collisione tra Qatar ed Israele, con il paese di Tel Aviv che riterrebbe molto pericoloso il Qatar perche’ recentemente ha finanziato Hamas e perché in Siria, come in Libia, l’ emirato finanzia i gruppi armati più estremisti. Il Foglio aggiunge poi che in Israele non si riterrebbe scontata la caduta a breve di Assad, l’ informazione proviene da una fonte interna israeliana.

http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1148

sabato 10 novembre 2012

Il movimento contro la guerra non si deve occupare dellle guerre civili. Ipse dixit. Chi ? Gesù Cristo ? No, Piero Maestri.



Questo e' un commento che ho fatto al mio post "aggiornamenti sull' opposizione.." ma essendo una cosa che mi ha fatto star male pongo a tutti l' interrogativo.

Il movimento contro la guerra si deve occupare di guerre solo quando queste arrivano da un aggressore esterno o devono occuparsi anche delle guerre civili e cercare di evitarle ?

Di seguito il mio commento che riporto integralmente:

Non ho capito niente, un cristiano a capo del Cns , cioe' dell' opposizione, io avevo capito cose diverse dai pezzi copiaincollati nei post precedenti. Le mie sciocchezze sono quelle firmate Marcopa, il resto e' tutto copiaincolla.

Oggi a Firenze ho capito che non importa dire sciocchezze, a condizione pero'che si dicano in un ottimo inglese o con la voce ben impostata.

Cosi' si puo' dire che il movimento contro la guerra e' contro le guerre quando queste sono portate dall' esterno, le guerre civili invece non devono essere oggetto delle attivita' del movimento contro la guerra.

Secondo me questa affermazione e' falsa, non e' proprio vera, ma se la dice P. Maestri che credo sia il direttore della rivista Guerra e Pace (o Pace e Guerra), cosi mi ha detto Martina Pignatti che a sua volta dirigeva una rivista del Centro Gandhi di Pisa, e' evidente che lo sciocco sono io.

I troskisti sono internazionalisti, prima dell' entrismo in Democrazia proletaria e in Rifondazione Comunista, il loro gruppo si chiamava IV Internazionale, non era un partito solo italiano. Ora le stesse persone affermano che e' legittima la guerra contro propri connazionali, anche se con armi pagate da stranieri, mentre non e' legittima la guerra a paesi stranieri. Cannavo' ex deputato di Rifondazione e appartenente come Maestri a Sinistra Critica e' un giornalista del Fatto Quotidiano. Forse e'questa conoscenza che ha fatto capire a Maestri quello che io nel mio provincialismo non ho capito, anche se spesso in provincia si scrive di meno e si legge di piu'. Di seguito un pezzo dal Fatto Quotidiano, credo che sia di un blog, uno dei tanti, ma dalle ricerche su Google questo non si capisce molto bene, potrebbe essere un editoriale.

Marco Palombo


Il Fatto Quotidiano > Blog di Shady Hamadi > Siria: un crist...

Siria: un cristiano a guida dell’opposizione. Altro che fondamentalismo
di Shady Hamadi | 10 novembre 2012Commenti (21)


E’ un cristiano, George Sabra, il nuovo presidente del Consiglio Nazionale Siriano, la piattaforma principale d’opposizione della rivoluzione siriana. Sabra è stato arrestato nel 1987 durante una retata dei servizi a una riunione di partito alla quale aveva preso parte e ha trascorso otto anni in prigione.

La scelta di Sabra come nuovo leader del Consiglio è una decisione importante e matura, che va a rispondere alla dialettica del regime di Assad e di una parte dei commentatori, anche nostrani, che vedono solo fondamentalisti in Siria. L’elezione di un cristiano, come capo di una opposizione a maggioranza sunnita, è volta specialmente a rassicurare i cristiani in Siria e a invogliarli a divenire, ancora di più, parte del cambiamento. Inoltre, questa nomina da molti attesa, si traduce da subito come un chiaro avvertimento a quegli elementi integralisti che vorrebbero appropriarsi della rivoluzione siriana.

Rimane, invece, ancora difficile costruire una piattaforma comune che unisca tutte le anime della rivoluzione che si stanno riunendo a Doha. Nel frattempo, Assad ha dichiarato in un intervista che lui “vivrà e morirà in Siria” rifiutando così il salva condotto offerto dall’Inghilterra. Ha assicurato che “se i ‘terroristi’ non ricevessero finanziamenti dall’estero la guerra sarebbe già conclusa”. Le vittime di questa guerra stanno toccando giornalmente le 200 unità. Dal marzo 2011 almeno 40 000 persone hanno perso la vita. Ora che un cristiano è il leader del CNS forse qualcuno non etichetterà l’opposizione siriana come semplice massa di fondamentalisti islamici…

(Nella foto: George Sabra – Lapresse)
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giovedì 8 novembre 2012

L' allarme di Moody's: le rinnovabili danneggiano le fossili


Lo sviluppo delle rinnovabili sta danneggiando seriamente gli interessi dei produttori di elettricità da fonti convenzionali: ora lo denuncia anche l'agenzia di rating Moody's. Un problema piuttosto serio in Italia, dove con scarsa lungimiranza sono stati investiti circa 25 miliardi in cicli combianati a gas, ora in perdita.
di Giulio Meneghello
7 novembre 2012

 Lo sviluppo delle rinnovabili sta danneggiando seriamente gli interessi dei produttori di elettricità da fonti convenzionali: ora lo denuncia anche l'agenzia di rating Moody's che proprio su questo ha fatto uscire ieri un report (qui l'abstract, pdf).
http://qualenergia.it/sites/default/files/articolo-doc/ResearchDocument%20termoelettrico.pdf

"Il forte incremento delle rinnovabili - vi si legge - ha avuto un profondo impatto negativo sui prezzi della produzione e la competitività delle società attive nella generazione termoelettrica in Europa. Quelle che un tempo erano considerate aziende stabili hanno visto il loro modello di business sconvolto e noi ci aspettiamo che la crescita progressiva della produzione rinnovabile intacchi ulteriormente la qualità del credito delle utility europee".

Fino a qualche anno fa, quando le fonti pulite erano ancora marginali, era impensabile che potessero mettere in crisi il settore termoelettrico. Con il boom di solare ed eolico degli ultimi due anni, la situazione è cambiata nettamente: tra i primi su queste pagine abbiamo fatto notare come l'energia a costo marginale zero prodotta da sole e vento stesse facendo una dura concorrenza alle centrali termoelettriche, soprattutto i cicli combinati a gas, tanto da mettere a rischio gli investimenti fatti su questi impianti (vedi per esempio qui).

Il freno alle rinnovabili imposto con il quinto conto energia e il decreto rinnovabili elettriche, è la lettura di molti, arriverebbe più dalla volontà di difendere il termolettrico da uno sviluppo incontrollato di fotovoltaico ed eolico, che dalle preoccupazioni per il peso degli incentivi in bolletta. Un sospetto confermato da particolari come il fatto che la prima bozza del quinto conto energia fotovoltaico sembra sia uscita dal computer di un'analista Enel.

Ora Moody's – che lunedì ha declassato il rating di Enel da "Baa1" a "Baa2" con outlook negativo anche per la concorrenza che l'azienda deve subire dalle rinnovabili (vedi qui, pdf) - ribadisce le motivazioni che i grandi del termoelettrico hanno per temere lo sviluppo delle energie pulite.

E anche la ragione per cui i grandi dell'energia tradizionale frenano sullo sviluppo di sistemi di accumulo: questi potrebbero "penalizzare ulteriormente i prezzi di picco" incrementando la competitività delle rinnovabili ed emarginando ancor più la produzione termoelettrica.

A salvare il termoelettrico potrebbe essere il capacity payment, ossia la remunerazione di certi impianti, come appunto i cicli combinati a gas, per la potenza messa a disposizione anziché solamente per l'energia prodotta. Una misura allo studio di vari Governi, tra cui il nostro (vedi Qualenergia.it), che potrebbe avere un impatto positivo sul rating dei produttori da fossili – spiegano da Moody's – sottilneando però che “la tempistica e le modalità rimangano incerte". Senza contare che tali politiche di sussidi potrebbero contrastare con le indicazioni del Terzo pacchetto UE per la rimozione delle barriere tra gli Stati e la maggiore interconnessione energetica.

Staremo a vedere come evolverà la situazione, che per quel che riguarda il nostro Paese è piuttosto seria. Come spiegava molto bene G.B. Zorzoli nell'ultima intervista a Qualenergia.it, in Italia infatti ci sono circa 25 miliardi di euro investiti nei cicli combinati a gas che ora, anche a causa della concorrenza delle rinnovabili, ma certo non solo per quella, rischiano di andare persi. Investimenti fatti relativamente di recente con scarsa lungimiranza, dato che già si conosceva la situazione di overcapacity cui si sarebbe andati incontro e lo sviluppo che le rinnovabili dovevano avere per soddisfare gli obiettivi europei. Ma anche un capitale, in gran parte investito dalle banche, tale da rendere realisticamente difficile che questi impianti, peraltro molto flessibili e meno inquinanti delle centrali a carbone, vengano lasciati al loro destino.

Giulio Meneghello
http://www.qualenergia.it/articoli/20121107-l-allarme-di-moody-s-le-rinnovabili-danneggiano-le-fossili

mercoledì 7 novembre 2012

La marcia del 17 novembre "per i bambini siriani" ha sfruttato abusivamente il simbolo dell' Unicef

di Marinella Correggia

E’ stata reclamizzata come una marcia mondiale per i bambini siriani promossa dall’Unicef, agenzia Onu, sotto la bandiera verdebiancanera con tre stelle dell’opposizione armata, un vessillo non riconosciuto dall’Onu. Strano, no?

La tappa italiana della “Marcia internazionale di solidarietà con i bambini della Siria”, del 17 novembre, è prevista a Bologna. Organizza il “Comitato 17 Novembre 2012” il quale si definisce “organismo creato ad hoc da un gruppo di siriani e amici della Siria in Italia, che aderiscono ad associazioni, enti e partiti diversi e che si sono uniti sotto la bandiera dell'indipendenza siriana per garantire il successo dell’evento e rompere il muro di silenzio che circonda il genocidio dei bambini siriani”. Campeggia infatti nella locandina dell’evento la bandiera adottata durante il mandato francese (1920-1946), anziché quella ufficiale della Siria, rappresentata all’Onu.

Il Comitato precisa che la marcia si terrà in 47 città del mondo (in realtà concentrate in: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Australia, Svezia, Danimarca, Canada quanto a Occidente; e Libia, Tunisia, Egitto quanto ai paesi arabi; poi i campi profughi in Turchia). Sempre secondo la locandina, la manifestazione mondiale è “promossa dall’Unicef e dalla Syrian American Alliance” (la pagina facebook – consultata ancora nel pomeriggio del 6 novembre) è http://it-it.facebook.com/Comitato17Novembre2012).

Il sito dei promotori internazionali, cioè la Syrian American Alliance (basata negli Usa) è http://walk4childrenofsyria.org. Lì, sempre con il corredo delle bandiere dell’opposizione, si spiega: “La marcia vuole creare consapevolezza sulla catastrofe umanitaria in Siria e procurare fondi vitali per i bambini che soffrono sotto la dittatura di Bashar al-Assad che sopprime una rivoluzione per la libertà, la dignità e la democrazia. Migliaia di bambini sono stati vittime degli attacchi indiscriminati che caratterizzano la sanguinosa repressione del regime. Crimini brutali hanno ucciso oltre 2.500 bambini”, dando a intendere – al di là della cifra non verificata – che siano stati i pro governativi a fare tutti i morti. Del resto una delle organizzazioni che formano la Syrian American Alliance, il Syrian American Council, in un video sostiene che “il regime uccide chiunque si opponga” e non parla mai di gruppi armati. Altre osservazioni sul sito statunitense sono ovvie: “La escalation della violenza, la distruzione dei servizi e dei mezzi di sussistenza minacciano di peggiorare la situazione dei bambini”. Già in luglio gli organismi dell’Onu stimavano in 1,5 milioni i siriani bisognosi di assistenza; metà di loro sono bambini e ragazzi. Il sito, all’insegna anch’esso della bandiera “precedente”, specifica che “il ricavato dell’evento sarà usato per sostenere le vittime della violenza in cooperazione con l’Unicef”.

Articolo integrale al link
 http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1114

Benedetto XVI chiede ancora una volta una soluzione politica alla crisi e guerra siriana.

mercoledì 7 novembre 2012
Il Papa lancia un nuovo appello “a fare tutto il possibile per la Siria”

“Mentre elevo la mia preghiera a Dio, rinnovo l’invito alle parti in conflitto e a quanti hanno a cuore il bene della Siria a non risparmiare alcuno sforzo nella ricerca della pace e a perseguire, attraverso il dialogo, le strade che portano ad una giusta convivenza, in vista di un’adeguata soluzione politica del conflitto. Dobbiamo fare tutto il possibile perché un giorno potrebbe essere troppo tardi!".

Le parole del Santo Padre in diretta da Radio Vaticana: http://media01.radiovaticana.va/audiomp3/00342400.MP3

Padre Lombardi: donazione del Papa e del Sinodo in favore della popolazione siriana

Il Papa invia in Siria un milione di dollari

...Manifestare la sentita partecipazione della Santa Sede e di tutta la Chiesa al processo di pacificazione, esprimere la vicinanza della Chiesa universale alle popolazioni duramente provate e rafforzare l’impegno umanitario della Chiesa cattolica nella regione”: queste, ha ricordato padre Lombardi, le finalità principali della “missione speciale” del card. Sarah in Libano.

“Dall’inizio della crisi siriana - ha ricordato il direttore della sala stampa vaticana - la Santa Sede è intervenuta più volte per una soluzione pacifica del conflitto”, e il Papa “ha chiesto ripetutamente che si interrompesse la spirale della violenza e si promuovesse la strada del dialogo e della riconciliazione”.

Nota del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi:

http://it.radiovaticana.va/news/2012/11/07/padre_lombardi:_donazione_del_papa_e_del_sinodo_in_favore_della_popola/it1-636564  

Fonte www.oraprosiria.blogspot.it

martedì 6 novembre 2012

Siria, le notizie della settimana dal 28 ottobre al 3 novembre 2012


GLI USA RIDISEGNANO L’ OPPOSIZIONE SIRIANA, NASCERA’ ANCHE UN GOVERNO IN ESILIO ?

Il portavoce del Ministero degli Esteri russo: “Gli USA lavorando per un governo di opposizione in esilio aiutano la guerra civile a diventare irreversibile”. Non sono esattamente queste le parole di Lukashevich, portavoce del ministero , ma il senso della sua dichiarazione lo interpreto in questo modo. Il diplomatico ha criticato infatti con decisione gli Stati Uniti perche’ stanno spingendo l’ opposizione siriana a formare un governo in esilio e, con la supervisione della Clinton, vorrebbero influire sulla sua fisionomia suggerendo anche qualche nome. Proprio come stanno facendo con il nuovo coordinamento dell’ opposizione che sta nascendo in questi giorni in Qatar. L’ annuncio della nuova sigla, che nelle intenzioni riunira’ tutti gli oppositori , era previsto per il 7 novembre subito dopo le elezioni presidenziali statunitensi, ma ieri la notizia dell’incontro in Qatar e’ stata conosciuta in tutto il mondo. Il nuovo organismo prendera’ il posto del CNS come interlocutore siriano dei paesi Nato pero’ i rappresentanti del Consiglio Nazionale Siriano nel nascente coordinamento dovrebbero rimanere molti, 14 delegati. A questi si dovrebbero aggiungere 3 delegati curdi ( anche se l’ organizzazione piu’ rappresentativa dei curdi siriani e’ indipendente dai “ribelli”e attualmente in conflitto con loro), altri esponenti dell’ opposizione, personalita’ religiose e rappresentanti dai comitati territoriali.

Il CNS, egemonizzato dalla Fratellanza Musulmana e guidato da persone residenti da molto tempo all’ estero, non e’ mai stato popolare in Siria, neanche tra i combattenti anti-Assad, ma non ha gradito questo attivismo statunitense che punta a ridimensionare il suo ruolo ed ha accusato Hillary Clinton di avere abbandonato la rivoluzione siriana. In questa occasione ha fornito anche alcuni dati sulla propria composizione e soprattutto sui finanziatori. Nell’ ultimo anno ha ricevuto circa 40 milioni di dollari, la meta’ dalla Libia e il resto da Qatar e Emirati Arabi Uniti. La quasi totalita’ di questo denaro sarebbe stata spesa per l’ assistenza umanitaria ai profughi della guerra siriana. Nei prossimi giorni capiremo meglio cosa cambiera’ davvero nell’ opposizione. Anche Russia e Cina hanno incontrato piu’ volte esponenti antigovernativi, soprattutto laici e di sinistra, e a fine settembre furono i diplomatici russi , secondo le Monde, a prenotare la sala per l’ incontro degli oppositori definito “Conferenza per la salvezza della Siria”.

Quindi , riassumendo, si prospetta una nuova composizione dell’ opposizione, la probabile formazione di un governo provvisorio in esilio e Stati Uniti e Francia hanno dichiarato in piu’ occasioni di voler riconoscere subito questo eventuale nuovo esecutivo, come e’ accaduto l’ anno passato in Libia.

VISITA DI BRAHIMI A MOSCA E PECHINO, A NOVEMBRE INTERVERRA’ DI NUOVO ALLE NAZIONI UNITE

Nei recenti incontri con Brahimi, Russia e Cina hanno esposto le loro proposte per una soluzione politica alla crisi siriana. La Russia ritiene sempre valido il percorso approvato il 30 giugno 2012 alla Conferenza di pace a Ginevra ed ha tentato anche di farne una risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU ma non ha avuto il consenso degli Stati Uniti. Questo piano prevede un governo di transizione composto da forze di opposizione e forze che invece attualmente appoggiano Assad. Mosca, se la violenza dovesse diminuire, vorrebbe anche che l’ ONU riprendesse la sua missione di 300 osservatori disarmati che ha operato in Siria da aprile ad agosto.

La Cina ha proposto invece a Brahimi un piano di pace in 4 punti che prevede anch’ esso una tregua e un periodo di transizione. Per ovviare alle difficolta’ ormai sperimentate per realizzare una tregua vorrebbe lavorare con modalita’ diverse nelle varie regioni.

Brahimi entro novembre presentera’ le sue proposte alle Nazioni Unite. E sembra proprio che, passate le elezioni presidenziali statunitensi, la comunita’ internazionale tentera’ di sbloccare la situazione. Il 12 novembre e’ prevista anche una riunione di urgenza dei ministri degli esteri della Lega Araba. Semplificando a livello internazionale le strade indicate sono sostanzialmente due. Una vede l’ uscita di Assad come condizione preliminare non negoziabile di una trattativa. L’ uscita di Assad vul dire la sua sconfitta militare o comunque il suo abbandono del territorio siriano. Un’ altra vorrebbe una trattativa ed una transizione immediate senza condizioni definite pregiudizialmente .

RICORDIAMO CHE, MENTRE LA DIPLOMAZIA DISCUTE, IN SIRIA SI CONTINUA A MORIRE

Nelle passate settimane mi sono soffermato poco sugli scontri armati in Siria perche’ , prima, l’ assalto dell’ 11 settembre all’ ambasciata di Bengasi aveva fatto passare in secondo piano le vicende siriane, dopo, l’ avvicinarsi delle presidenziali statunitensi faceva pensare che niente di importante sarebbe successo in questo periodo. Ma la guerra non ha mai diminuito la sua intensita’ e non si e’ fermata neanche nei giorni della tentata tregua. Questa settimana era iniziata con un’ autobomba in un quartiere di Damasco abitato in prevalenza da Drusi che ha causato 10 morti. Nello stesso giorno veniva denunciato dall’ opposizione un bombardamento aereo ad Aleppo che avrebbe fatto 15 vittime, comprese donne e bambini. I ribelli hanno attaccato a fine settimana l’ importante base aerea di Taftanaz da dove partono gli elicotteri che agiscono nell’ area di Aleppo. Secondo il governo siriano l’ attacco sarebbe stato respinto nonostante il grande dispiegamento di forze dei ribelli. Sempre alta tensione alle frontiere, con la notizia di un nuovo colpo vagante sparato dalla Siria verso la Turchia e voci di movimenti dell’ esercito di Damasco vicino al Golan, altopiano siriano occupato da Israele. A fine settimana in una sola giornata sono stati uccisi 78 militari in attacchi ai cheakpoint, in uno di questi attacchi sono stati catturati alcuni soldati governativi poi giustiziati sul posto quando erano ormai disarmati e inoffensivi. L’ episodio e’ stato ripreso e il relativo video messo in rete su Youtube. L’ esecuzione di prigionieri ha fatto un certo clamore e si e’ pronunciato anche l’ Alto Commissario ONU per i diritti umani annunciando l’ ennesima indagine. Ma episodi del genere da parte dei ribelli sono denunciati da mesi e le notizie di questi crimini regolarmente ignorate. Sabato e’ stato poi diffuso un video che mostra militari governativi mentre mutilano cadaveri. L’ attendibilita’ del documento non e’ facilmente verificabile ma la tempistica dell’ uscita del video, il giorno dopo le altre immagini che mostrano crimini dei ribelli, assolutamente sospetta. C’ e’ indubbiamente anche una guerra mediatica. Per fare un esempio, fonti governative hanno denunciato che il 4 novembre sono stati uccisi da terroristi 30 civili nella zone di Harem, la strage e’ stata filmata e inviata ad emittenti amiche per addossare la colpa alle forze “regolari”. La fonte indica anche i nomi degli autori della strage.

ALEPPO, DURISSIMO SCONTRO NEI GIORNI DELLA TREGUA TRA RIBELLI E CURDI: 30 MORTI E 200 RAPITI.

Nei giorni del cessate il fuoco, miliziani del battaglione ribelle “Salahedin” , dove sono presenti anche curdi anti-Assad e jihadisti del Nusra, vicini ad Al Qaeda, hanno tentato di accerchiare alcune postazioni strategiche governative ad Aleppo. Per fare questo sono entrati nei territori controllati dal Pyd, Partito curdo siriano vicino al PKK, violando un accordo che prevedeva per i ribelli di non entrare nelle aeree curde. I durissimi scontri hanno provocato 30 morti, decine di feriti e 200 rapimenti di curdi ad opera dei ribelli. I sequestrati sono stati rilasciati dopo una tesa trattativa. Scrive M.Giorgio sul Manifesto che ” un civile curdo sarebbe stato torturato a morte dai suoi carcerieri” e che esiste una “diffidenza sempre piu’ simile a rancore” tra ambienti dell’ Esl e del Pyd, partito che rappresenta la maggioranza dei curdi siriani ed e’ora accusato dal filo occidentale Consiglio nazionale curdo di essere diventato alleato di Assad. La crisi e la successiva guerra siriana hanno sconvolto gli equilibri nei territori curdi e ampie zone sono in questo momento sotto il controllo diretto degli indipendentisti. Qualsiasi direzione prendera’ la vicenda siriana sara’ difficile riportare questi territori alla situazione precedente.

MONTI A NOVEMBRE IN QATAR. DIRA’ ANCORA DI AVERE LE STESSE POSIZIONI DELL’ EMIRO SULLA SIRIA ?

Nel mese di novembre il Presidente del Consiglio Monti incontrera’ l’ Emiro del Qatar a Doha, restituendo la visita ricevuta a Roma nella primavera scorsa. In quella occasione Monti nella conferenza stampa congiunta a Villa Panphili dichiaro’ che l’ Italia “ si muove in stretto collegamento per esempio con il Qatar con il quale abbiamo sempre avuto unita’ di vedute sulla crisi siriana”. In questi mesi e’ emerso che il Qatar finanzia l’ opposizione siriana anche nella sua componente armata, pagando gli stipendi ai combattenti e fornendo le armi e altri servizi e, in occasione della inaugurazione della sessione dei lavori dell’ Assemblea ONU, l’ Emiro Al-Thani ha sostenuto che i paesi arabi dovrebbero intervenire militarmente in Siria, naturalmente per portare la pace sconfiggendo Assad.

Il presidente Monti dichiarera’ anche questa volta di essere d’ accordo con tutte le posizioni del ricco emirato relative alla crisi siriana ? Qualcuno fara’ questa domanda a Monti e ai partiti che lo sostengono in Parlamento ? Naturalmente no. E i politici italiani non si interessano assolutamente della Siria nonostante che istituzioni guidate dal potere politico agiscano nella vicenda siriana.

Monti invece si esprime sulla guerra siriana in occasione di ogni suo incontro internazionale, ultimamente dopo il colloquio con Peres in Israele e dopo l’ incontro con il primo ministro spagnolo Rajoy. La sua opinione e’ sempre che l’unica strada per riportare la pace e’ l’ uscita di Assad. Pazienza se perseguire questo obiettivo fara’ continuare ancora la guerra e potrebbe anche ancora piu’ sanguinosa e distruttiva. Forse si fida troppo del ministro degli esteri Terzi che a fine agosto affermo’ che la sconfitta di Assad era imminente e tenne una riunione interministeriale ufficialmente dedicata alla ricostruzione della Siria dopo Assad.

www.sibialiria.org

venerdì 2 novembre 2012

All' ONU un invito al boicottaggio delle imprese che sfruttano la situazione dei territori occupati palestinesi


Un rapporteur spécial de l'ONU préconise le boycott des compagnies qui font des affaires avec les colonies israéliennes

25 octobre 2012 – Le Rapporteur spécial des Nations Unies sur la situation des droits de l'homme dans les territoires palestiniens occupés, Richard Falk, a appelé jeudi l'Assemblée générale et la société civile à prendre des mesures contre les compagnies israéliennes et étrangères qui tirent profit de leurs affaires avec les colonies israéliennes.

Au nombre d'entre elles, il a cité Caterpillar Incorporated (États-Unis), Veolia Environnement (France), G4S (Royaume-Uni), le groupe Dexia (Belgique), Ahava (Israël), le groupe Volvo (Suède), le groupe Riwal Holding (Pays-Bas), Elbit Systems (Israël), Hewlett Packard (États-Unis), Mehadrin (Israël), Motorola (États-Unis), Assa Abloy (Suède) et Cemex (Mexique).

Venu présenter à la Troisième Commission son rapport annuel sur le respect, par Israël, des obligations que lui impose le droit international en ce qui concerne la situation dans les territoires palestiniens qu'il occupe, M. Falk a relevé qu'un très grand nombre de compagnies israéliennes sont impliquées dans l'établissement et la maintenance de colonies israéliennes de peuplement dans ces mêmes territoires.

« Toutes les colonies de peuplement en Cisjordanie, notamment à Jérusalem-Est, ont été établies en violation flagrante du droit international », a rappelé le Rapporteur spécial. « Pourtant, aujourd'hui, elles contrôlent plus de 40% de la Cisjordanie, tandis qu'entre 500.000 et 600.000 colons vivent dans le territoire palestinien occupé. Au cours des 12 derniers mois, leur nombre s'est accru de plus de 15.000 personnes. »
Le Rapporteur spécial a attiré l'attention de l'Assemblée générale sur l'existence de normes juridiques internationales régissant la conduite des entreprises en relation avec les droits humains, en particulier le Pacte mondial et les Principes directeurs relatifs aux entreprises et aux droits de l'homme.

« Les principes soulignés dans le Pacte mondial sont clairs », a affirmé M. Falk. « Les entreprises doivent soutenir et respecter la protection des droits humains universels et veiller à ne pas être complices de violations des droits humains.

M. Falk s'est également appuyé sur les directives mises au point par le Comité international de la Croix-Rouge (CICR), qui évoque la perspective d'une responsabilité pénale individuelle pour les violations commises par des entreprises dans le cadre d'une situation de conflit armé.

« En bref, les compagnies ne devraient pas contrevenir aux dispositions du droit humanitaire international, ni être complices d'aucune violations. Dans le contraire, celles-ci peuvent être poursuivies sur le plan pénal ou civil. Et cette responsabilité peut s'étendre aux employés de telles entreprises », a plaidé le Rapporteur spécial.

« Ma principale recommandation, c'est que les compagnies citées dans le rapport – ainsi que toutes celles qui réalisent du chiffre d'affaires avec les colonies de peuplement devraient être boycottées, jusqu'à ce qu'elles s'alignent sur les normes des droits de l'homme et du droit humanitaire international », a déclaré M. Falk à l'Assemblée générale.

Le Rapporteur spécial a indiqué avoir écrit à toutes les entreprises mentionnées plus haut dans son rapport et déjà reçu des réponses positives d'Assa Abloy, du groupe Dexia, de G4S et de Cemex.

" Il est encourageant d'apprendre que Assa Abloy a réinstallé son usine de Cisjordanie en Israël et que le groupe Dexia, G4S et Cemex réfléchissent aux moyens de conformer leurs activités avec les engagements que ces compagnies ont pris en vertu du Pacte mondial.

Fonte  www.un.org
sito delle Nazioni Unite

Fotovoltaico nel mondo, nel 2012 continuano a crescere le istallazioni mentre i prezzi calano sensibilmente


Ho fatto il titolo di questo articolo di Qualenergia basandomi su queste righe:

"Nel terzo semestre il prezzo dei moduli è diminuito del 14% rispetto al precedente e si prevede per il quarto un ulteriore discesa del 9%. Dagli 0,70 $/Watt di fine settembre, un modulo cristallino a fine anno dovrebbe passare a 0,64 $/W, mentre la situazione dovrebbe stabilizzarsi nel 2013 e a dicembre di quell'anno si prevedono 0,55 $/W."

che spiegano il sensibile calo dei prezzi dei moduli degli impianti fotovoltaici. Credo che la tecnologia attuale, anche se tra dieci anni sembrera' ridicola, sia gia' ad un livello che potrebbe portare ad una rivoluzione energetica immediata. L' informazione "militante" potrebbe essere decisiva per arrivare a questo.

marco

Fotovoltaico, speranze di ripresa per il 2013


Previsto qualche sprazzo di sereno per il fotovoltaico, nonostante la crisi da sovrapproduzione e la lotta sui prezzi che sta piegando il settore. Se il mercato nel 2012 è sceso in termini di fatturato – mentre tiene relativamente in quanto a installazioni - infatti si prevede una ripresa per il 2013 con un rallentamento del crollo dei prezzi.
Redazione Qualenergia.it
31 ottobre 2012

Previsto qualche sprazzo di sereno per il fotovoltaico, nonostante la crisi da sovrapproduzione e la lotta sui prezzi che attualmente sta mettendo in ginocchio il settore. Se il mercato nel 2012 è sceso in termini di fatturato – mentre tiene relativamente in quanto a installazioni - infatti, si prevede una ripresa per il 2013, con un rallentamento del crollo dei prezzi. È questa la sintesi di quanto emerge dall'ultimo "PV Integrated market tracker report" di IHS iSuppli.

L'anno in corso, vi si legge, si chiuderà con 31 GW di nuovo installato, una crescita di circa l'11% rispetto ai poco meno di 28 GW del 2011. La domanda nell'anno in corso è stata tenuta alta da un'impennata delle installazioni nel secondo trimestre prima dei tagli in Germania - 8,2 GW contro i 4,9 dello stesso periodo 2012. Questo aveva temporaneamente frenato il calo di prezzo di celle e moduli, che però è ripreso con il rallentamento della domanda nel terzo trimestre.

Per la prima volta quest'anno invece il fatturato del settore è calato: dai 7,03 miliardi di dollari del primo trimestre ai 6,63 del terzo, con la previsione che nel quarto si scenda a 6,63.

Nel terzo semestre il prezzo dei moduli è diminuito del 14% rispetto al precedente e si prevede per il quarto un ulteriore discesa del 9%. Dagli 0,70 $/Watt di fine settembre, un modulo cristallino a fine anno dovrebbe passare a 0,64 $/W, mentre la situazione dovrebbe stabilizzarsi nel 2013 e a dicembre di quell'anno si prevedono 0,55 $/W.

Dal secondo trimestre del 2013 infatti, secondo IHS, il settore riprenderà a crescere e per il quarto semestre 2013 il fatturato dovrebbe risuperare quello di inizio 2012, arrivando a 7,06 miliardi di dollari (vedi grafico).

L'anno prossimo, secondo il report, la capacità produttiva mondiale di moduli crescerà fino a 51,9 GW. Oltre alla sovrapproduzione, a spingere in giù i prezzi è il fatto che un forte aumento della domanda è previsto in Cina, un mercato con prezzi più bassi degli altri.

La Cina infatti come sappiamo sta puntando molto sul mercato interno, anche per difendere i produttori nazionali dall'impatto che misure protezionistiche come quelle adottate dagli Usa potrebbero avere se prese anche dall'Europa. IHS non crede che si arriverà mai a dazi europei sul fotovoltaico cinese, ma sottolinea che questa situazione di incertezza - che durerà almeno fino a che la decisione finale sulla disputa commerciale sarà presa, cioè a dicembre 2013 - metterà sotto pressione i produttori cinesi che dunque si rivolgeranno sempre di più al mercato interno.

Redazione Qualenergia

giovedì 1 novembre 2012

Milano, 11 novembre, Siria, guerra civile o intervento imperialista ?



"SIRIA: GUERRA CIVILE O INTERVENTO IMPERIALISTA?" 
CON PRANZO SOTTOSCRIZIONE
Comitato contro la guerra di Milano
Domenica 11 novembre 2012
ore 10.30

PRESSO ASSOCIAZIONE "LA CASA ROSSA"
Via Montelungo, 2 MILANO MM1 TURRO
SERGIO RICALDONE CONSIGLIO MONDIALE DELLA PACE
SPARTACO PUTTINI RICERCATORE
OSAMA SALEH COMITATO ‘GIÙ LE MANI DALLA SIRIA’
IYAD KHUDER (IN COLLEGAMENTO DIRETTO VIA SKYPE CON DAMASCO) INGEGNERE
ELETTRONICO