martedì 29 maggio 2012

M.Correggia-Sei domande sul massacro di Hulè (Siria)


SEI domande da farsi sul massacro di Hulé (Siria) o meglio sui colpevoli del massacro degli innocenti


L’opposizione siriana ripresa dai media sostiene che l’esercito ha usato artiglieria pesante contro il villaggio dopo una aver sparato su una manifestazione pacifica, e che in seguito degli assassini filo-Assad sarebbero andati nelle case a uccidere i bambini. Fra le tante domande, queste cinque si riferiscono a contraddizioni che inficerebbero la narrazione dei media internazionali e dell’opposizione siriana.

SEI DOMANDE

1. Cui prodest? A chi giova un simile massacro? Quale risultato ha avuto a livello internazionale? E’ evidentissimo.

2. I media dicono che l'Onu accusa il governo siriano. Ma il generale Robert Mood capo degli osservatori Onu non l'ha fatto. E Navi Pillai, commissario oNU per i diritti umani, condanna il governo ma - come risulta perfino nel comunicato! . lo fa sulla basi di “unconfirmed news” (notizie non confermate) a proposito appunto degli assassini recatisi casa per casa.

3. I terribili video che circolano su youtube  http://www.youtube.com/watch?NR=1&v=7B2_iY9ALpg&feature=endscreen  e  http://www.youtube.com/watch?NR=1&v=bLab9mIl750&feature=endscreen&skipcontrinter=1  mostrano i bambini ammassati in diverse ambientazioni, case o moschee. Dove sono stati trovati i bambini? Chi li ha trovati? Perché assassini mandati dal governo avrebbero dovuto lasciarli alla vista di tutti e degli osservatori?

4. Questo video http://www.youtube.com/watch?v=-DhJoeorfDY&feature=related mostra bambini morti, alcuni con i polsi legati, e la didascalia è “hanno legato le mani ai bambini prima di ucciderli”. Ma non è incredibile che un assassino si metta a legare le mani dei bambini prima di ucciderli in massa. Dunque le mani sono state legate dopo. Dunque c’è una componente di messinscena.

5. L’opposizione parla di bombardamenti. Ma nessun morto (bambini e adulti) sembra essere stato ucciso in tal modo: tutti mostrano di essere stati uccisi da breve distanza, uno per uno, non nel crollo di case o colpiti da armi pesanti. Non c’è polvere, non ci sono disintegrazioni di corpi, né macerie.

6. Non ci sono del resto video di bombardamenti governativi su Hulé. Né ci sono video – mi pare - di persone uccise nelle strade. C’è un video (arriva digitando “Hula massacre” su Google) che mostra uomini che corrono via nelle strade dopo rumori di spari, mentre qualcuno rimane a giacere per terra e viene poi portato via. Ma si vendono delle bandiere nazionali (rosse bianche nere), non dell’opposizione…Dove è stato girato e a chi si riferisce?  http://www.youtube.com/watch?v=o84kc_Y1Gfo

A questo link una intervista alla tv russa Rt di Marinella Correggia
http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=327

lunedì 28 maggio 2012

Ignominia d' Europa - Poema di Gunter Grass su Europa, Grecia e cure mortali


Lo scrittore tedesco e premio Nobel per la Letteratura, Günter Grass, è tornato alla carica ed ha composto una poesia contro l'Unione Europea dei poteri forti e del capitale finanziario che impongono a centinaia di milioni di europei condizioni di austerità e affamamento.

Il poema è stato pubblicato dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung e tradotto in Italia da La Repubblica. Dopo aver detto “ciò che va detto” sulla minacce di guerra da parte di Israele, Gunther Grass torna alla carica. Sta invecchiando decisamente bene.

IGNOMINIA D’EUROPA

Prossima al caos, perché non all'altezza dei mercati,
lontana sei dalla terra che a te prestò la culla.

Quello che, con l'anima hai cercato e consideravi tuo retaggio,
ora viene tolto di mezzo, alla stregua di un rottame.

Messo nudo alla gogna come debitore, soffre un Paese
al quale dover riconoscenza era per te luogo comune.

Paese condannato alla miseria, la cui ricchezza,
ben curata, orna i musei: preda che tu sorvegli.

Coloro che, in divisa, con la violenza delle armi funestarono il Paese
ebbro d'isole, tenevano Hölderlin nello zaino.

Paese a stento tollerato, di cui un tempo tollerasti
i colonnelli in veste di alleati.

Paese privo di diritti, al quale un potere che i diritti impone,
stringe sempre più la cintola.

Sfidandoti, veste di nero Antigone e dovunque lutto
ammanta il popolo di cui tu fosti ospite.

Eppure fuori dai confini il codazzo dei seguaci di Creso
ha ammassato tutto ciò che d'oro luccica nelle tue casseforti.

Trangugia infine, butta giù! gridano i claqueur dei Commissari,
ma Socrate ti restituisce irato il calice colmo fino all'orlo.

Malediranno in coro gli Dei ciò che possiedi,
quando il tuo volere esige di spossessare il loro Olimpo.

Priva di spirito deperirai senza il Paese
il cui spirito, Europa, ti ha inventata.
Fonte  www.contropiano.org

M.Correggia - Sulla strage di bambini in Siria


Siria, esecuzioni di bambini, manipolazioni bellicose e libanizzazione…
Marinella Correggia

Quel che è certo è che da mesi la violenza più atroce e incredibile (settaria?) in Siria ha corso comune. Quel che è certo l’orrore di molti bambini e adulti trucidati, a Hula, in Siria. Un atto diabolico. Dolorosissimi i video (con ambientazioni diversificate) che mostrano quei piccoli corpi. Ma sugli autori del massacro e sulle dinamiche le versioni sono come al solito opposte. Le fonti dell’opposizione li attribuiscono all’esercito. Il regime siriano nega ogni responsabilità, annuncia un’inchiesta di tre giorni e sostiene che l’attacco armato è stato portato invece da “armati antigovernativi”.
Anche il centro di informazioni cattolico della provincia di Homs Vox Clamantis dà una versione ben diversa da quella dei media internazionali.
Per quanto non ci siano conferme del coinvolgimento dell’esercito siriano nell’attacco, i media internazionali e i leader si sono precipitati ad accusare il regime e a chiedere un intervento internazionale forte, e così la stessa opposizione siriana, con il cosiddetto Esercito libero che si ritiene ormai libero da ogni vincolo di cessate il fuoco chiesto dal piano Annan). Un’occasione davvero utile, perla Clintoncome per il Qatar. Dunque il chiedersi “cui prodest” non è peregrino.
Le voci vanno sentite tutte, e senza mistificarle. Vediamo cosa dice l’Onu. Qui http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=42094&Cr=Syria&Cr1 non nomina responsabili: “Gli osservatori della missione Onu Unsmis confermano l’uccisione di 90 civili di cui 32 bambini, più molti feriti, nel villaggio di Houla, dopo aver visto i corpi” (ma ovviamente le dichiarazioni dell’Onu vengono manipolate dall’Ansa che titola “L’Onu accusa l’esercito”). Prosegue il sito Onu: “Il generale Robert Mood, capo dell’Unsmis, ha dichiarato che le circostanze di queste tragiche uccisioni non sono tuttora chiare”.
Il sito scrive inoltre che gli osservatori confermano anche, da un’analisi di residuati, che tiri di artiglieria sono stati effettuati contro un quartiere residenziale. Ma non è specificato da chi.
Il governo siriano invece sostiene che l’esercito non ha usato artiglieria o armi pesanti contro i civili e a che a compiere la strage sono stati i “terroristi” che a centinaia hanno attaccato Houla con armi pesanti compresi lanciarazzi anticarro.
Ban Ki-Moon e Kofi Annan hanno emesso un comunicato: “Questo crimine brutale che indica un uso indiscriminato e sproporzionato della forza è una violazione flagrante della legge internazionale e degli impegni da parte del governo rispetto al non uso di armi pesanti nei centri abitati (…) i responsabili dovranno pagare”. Sia Mood che Annan che Ban Ki Moon hanno chiesto al governo siriano di smettere di usare armamenti pesanti nei centri abitati ma hanno anche chiesto a tutte le parti di cessare le violenze in tutte le loro forme. La Reutersriferisce anche di queste parole di Mood: “Chi ha iniziato, chi ha risposto e chi è responsabile dovrà pagare”.
La tivù russa RT scrive (http://www.rt.com/news/fsa-annan-plan-307/): “Inizialmente il massacro è stato riferito da attivisti dell’opposizione fra i quali l’Osservatorio siriano per i diritti umani basato a Londra secondo i quali la città è stata bombardata dalle forze governative durante manifestazioni antiregime”. I bombardamenti sarebbero continuati da venerdì a mezzogiorno fino all’alba di sabato.
Il punto è che i morti nei video dalle ferite e dallo stato non sembrano essere vittime di bombardamenti sulle case ma di esecuzioni. Lo afferma anche un ex del Pentagono intervistato da Rt. Il collegamento fra azioni dell’esercito e i bambini morti dei video sembra non essere possibile.
Chi ha ucciso? Degli armati sicuramente non riconoscibili (quindi anche eventuali superstiti troveranno difficile dare risposte vere) e sulla base dei loro interessi. Che non sembrano essere quelli della pace ma piuttosto di una tensione sempre maggiore con intervento esterno.  Digitando su youtube “Hula massacre”, appaiono alcuni video, con tanti corpicini stesi sulle coperte, in ambientazioni diverse. I piccoli morti non appaiono vittime di bombardamenti sulle loro case ma piuttosto di esecuzioni mirate, uno a uno (non c’è la polvere e la distruzione che in genere si accompagnano ai tiri e ai bombardamenti che distruggono abitazioni, si pensi a certe foto dalla Libia).  C’è un altro video che mostra bambini morti con le mani legate (una stranezza che pare artificiosa e che richiama un video riferito a Homs in marzo, poi rivelatosi una mistificazione da parte dei rivoltosi).
Un altro video ancora mostra le immagini mostrate anche da Sana e dalla Press tv sulle due famiglie (con nomi) uccise in un villaggio da gruppi armati, ma attribuisce i morti con didascalia in spagnolo a Huila e alle “gang di Assad”.
Non sembrano esserci video di bombardamenti a Hula. Sempre digitando “Hula massacre” c’è un video che mostra uomini per strada (dove?), alcuni con bandiere – non quelle dell’opposizione – e poi si sentono rumori di spari e un fuggi fuggi con qualcuno che rimane per terra.
Secondo il Centro di informazioni Vox Clamans della diocesi di Homs, le cose sono andate molto diversamente da quel che dicono i media e l’opposizione. “Un nostro testimone oculare di Kfar Laha, presso Hula ci ha detto: ‘Bande armate in gran numero hanno attaccato le forze dell’ordine o dell’esercito vicino all’ospedale Al Watani che hanno perso veicoli e un blindato.  Sono seguiti scontri fino a tarda notte e invano i governativi hanno cercato di respingere l’attacco con l’artiglieria e molte perdite. Uccisi o feriti 35 soldati, e nove miliziani. I miliziani sono entrati nell’ospedale massacrando tutti i presenti. Hanno portato via i cadaveri in coperte dell’ospedale e li hanno ammucchiati in un luogo di Hulé che sembra essere una moschea. Poi sono entrati in varie case del quartiere sud uccidendo i civili e ammucchiandoli per mostrarli agli osservatori, prima di bruciare le loro case. In 24 ore cento sunniti sono stati massacrati a Tal Daw (Houlé), alaouiti sono stati massacrati a Shiphonyieh, ismailiti a Salamyeh e cristiani a Qusyar”. La consegna delle bande armate sembra essere incendiare il conflitto religioso.  E la previsione è sinistra : il mosaico siriano si potrebbe rompere in una guerra civile alla libanese.
L’agenzia Sana http://www.sana.sy/eng/337/2012/05/27/421559.htm parla di altre decine di assassinati civili “per mano di al Qaeda”: dà i nomi di diverse famiglie uccise nei villaggi Tal Daw e al-Shumariyeh e mostra diverse foto.
www.sibialiria.org



sabato 26 maggio 2012

Roma,26 maggio,Mozione finale dell' Assemblea dei delegati sindacali


ASSEMBLEA NAZIONALE DELEGATI ED ELETTI RSU.
L'OdG finale
'L'OPPOSIZIONE SINDACALE SI ORGANIZZA'

Roma, 26/05/2012

Si è conclusa l’assemblea nazionale indetta oggi a Roma, presso il Teatro Ambra Jovinelli, da lavoratori e lavoratrici, eletti RSU, ed RSA, delegati di diverse organizzazioni sindacali conflittuali.

L'assemblea ha ha visto la partecipazione di oltre 500 delegati, in prevalenza aderenti alla USB ed alla Rete 28 aprile nella Cgil, provenienti da tutta Italia e da tutti i settori del mondo del lavoro

Ben 28 gli Interventi, fa cui quello di Pierpaolo Leonardi per la USB e Giorgio Cremaschi della Rete 28 aprile nella Cgil, che hanno dato il pieno sostegno da parte delle loro organizzazioni alle iniziative assunte dall'assemblea.

L'assemblea ha approvato all'unanimità l’ordine del giorno (di seguito e in allegato) in cui si delibera una piattaforma che vede nel 8 e 9 giugno prossimi i primi momenti di forte mobilitazione, con scioperi, presidi, manifestazioni e blocchi in tutta Italia.


L'Ordine del Giorno approvato:


L' assemblea convocata da RSU e RSA a Roma il 26 maggio ha raccolto la spinta di chi sta lottando contro l'aggressione scatenata dal governo verso il mondo del lavoro. Ma siamo soprattutto indignati per la rassegnazione o, perfino, l’assenso con cui le direzioni confederali CGIL, CISL e UIL hanno accompagnato e favorito questa aggressione.

L'Assemblea condivide quanto proposto nella relazione e raccoglie le indicazioni e i contributi emersi dal dibattito.

Le pensioni sono in via di essere ridotte a sussidi di sopravvivenza e l’età di quiescenza è stata portata a livelli inediti in Europa.

Centinaia di migliaia di lavoratori messi fuori dalle aziende con accordi spesso ricattatori vengono messi in condizione di non avere più né un salario, né una pensione, né un ammortizzatore sociale.

I salari sono fermi da almeno 20 anni, mentre i prezzi galoppano. I contratti nazionali sanciscono la riduzione delle retribuzioni, l’aumento degli orari di fatto e la regola delle deroghe.

La precarietà è diventata la forma generalizzata di assunzione: un esercito di milioni di giovani vive quotidianamente senza diritti e nell’incertezza più totale sul proprio futuro.

La disoccupazione tocca livelli inediti ed è destinata a crescere ulteriormente, per la chiusura di tante fabbriche ma anche attraverso la drastica riduzione dell’occupazione nel pubblico impiego.


I servizi sono stati privatizzati, peggiorandone la qualità e aumentandone i costi per l’utenza, mentre si faceva cassa sui diritti e sulle retribuzioni degli addetti.

Il padrone sceglie i sindacati da legittimare, mentre gli altri in particolare FIOM e sindacati di base, vengono cacciati dalla porta delle aziende.

Infine l’articolo 18, quella norma che giusto 42 anni fa ha posto un limite all’arbitrio e all’autoritarismo padronali, è in procinto di essere cancellata, sopprimendo la funzione deterrente della reintegra e ripristinando l’effetto intimidatorio della minaccia di licenziamento contro chi si attiva politicamente o sindacalmente o contro chi, comunque, ha un comportamento non gradito al padrone e ai capi.

In queste settimane in molte aziende c’è stata una massiccia reazione contro questo stravolgimento dell’articolo 18, con fermate, scioperi, picchettaggi, blocchi stradali e manifestazioni. Ma se stessimo all’azione del sindacalismo confederale di CGIL CISL e UIL tutto ciò sta passando senza una resistenza degna di questo nome o addirittura con un vero e proprio consenso, in nome della governabilità e della nuova “unità nazionale” che sostiene il governo dei “tecnici” diretta emanazione della Bce, dell' Unione Europea e del Fondo monetario internazionale, della Confindustria e del sistema bancario italiano. Noi non ci riconosciamo in questa unita' nazionale ma anzi ci battiamo per cacciare il governo Monti Fornero.

Il movimento di lotta nelle fabbriche e nei posti di lavoro a cui anche molti dei delegati e delle delegate qui presenti hanno dato vita nei giorni scorsi deve continuare, con l’obiettivo di impedire la trasformazione in legge del disegno Fornero. Siamo disponibili a valutare e sostenere ogni iniziativa di mobilitazione che persegua gli stessi obiettivi.

Ma questa mobilitazione dovrà rimettere in campo non solo la difesa dell’articolo 18 e la sua estensione ai milioni di lavoratrici e di lavoratori che non ne sono tutelati (i precari e i dipendenti delle piccole aziende), ma anche una piattaforma complessiva, per invertire la tendenza a far pagare la crisi ai lavoratori e alle classi popolari. intendiamo elaborare questa piattaforma in maniera compiuta in un prossimo appuntamento assembleare analogo a questo. In ogni caso gia' da oggi proponiamo alcuni punti irrinunciabili:

> Il blocco dei licenziamenti;
> Il rinnovo di tutti i contratti attraverso piattaforme costruite con la partecipazione democratica dei lavoratori;
> La riduzione degli orari di lavoro a parità di salario;
> Un aumento dei salari e delle pensioni generalizzato e consistente;
> Il ripristino di una scala mobile dei salari e delle pensioni per tutelarli dalla nuova inflazione;
> La riconquista del pensionamento di vecchiaia a 60 anni di importo adeguato;
> No ai fondi pensione privati;
> La definitiva abolizione di tutte le forme contrattuali precarie;
> Il blocco delle privatizzazioni e la ripubblicizzazione dei servizi gia' privatizzati;
> Una politica fiscale di forti sgravi sul lavoro dipendente e sulle pensioni compensati dall'aumento della progressività delle aliquote e da una patrimoniale sulle rendite e sulle ricchezze;
> Il diritto al reddito, alla casa e alla gratuita' di tutti i servizi pubblici per precari e disoccupati;
> La elezione libera dei propri rappresentanti sindacali, senza alcuna limitazione da parte del padrone e senza riserva per nessuno;
> L'abolizione della Bossi/Fini e uguali diritti per i migranti.

Si tratta delle rivendicazioni minime e essenziali per preservare livelli di vita e di dignità basilari in un paese civile. Se sembrano incompatibili con il pagamento del debito, diciamo: è il debito che non va pagato.

Per questi motivi, e per difendere l’articolo 18 nel suo valore di fondo e nella sua essenza simbolica, noi invitiamo tutte le RSU, le RSA, le organizzazioni e le aree sindacali che condividono queste esigenze a organizzare nelle prossime giornate dell’8 e del 9 giugno momenti di lotta: fermate, scioperi, azioni di protesta, presidi.

Indiciamo per il pomeriggio dell’8 maggio, a partire dalle 16,00 a piazza Montecitorio un presidio della Camera dei deputati che sta dibattendo del futuro dei nostri diritti
Invitiamo tutte e tutti, RSU, RSA, organizzazioni e aree sindacali a rendere permanente la lotta anche nei giorni successivi, fino all’ultimo giorno utile per impedire l’approvazione parlamentare della controriforma Fornero e ancora oltre nei prossimi mesi.

http://www.usb.it/

venerdì 25 maggio 2012

Greece,Syriza, open lettre to Alexis Tsipras


Open letter to Alexis Tsipras

Dear Comrade Alexis Tsipras,

We are writing to you as citizens of European countries which, like Greece, have faced the "debtocratic" offensive of the financial and oligarchical powers in Europe.

We turn to you and through you to the thousands of Greek citizens who cast their votes for your political organization to express our gratitude, our solidarity and our support for your determined resistance against the neoliberal devastation of the material conditions of daily life and of the very possibility of a life in common in Greece. We support you in your struggle for another way, a way which will mean justice, dignity and democracy for the Greek people, and for all peoples throughout the European Union.

We enthusiastically welcome your success in the latest Greek elections, and we also applaud your insistence on the incontrovertible meaning of these results; we encourage you to persevere in this course of action which has already furnished an example and a cause for hope for millions of men and women from all over Europe.

We want you, the members of your organization and the Greek citizens who, as political activists, trade unionists or participants in broad social movements, share the project of creating a common life truly based on freedom and solidarity, to know the hope with which we throughout Europe anticipate the possibility that, soon, a new Greek government of popular unity will confront the dictatorship of the financiers and bureaucrats who have hijacked Europe.

We see the current conjuncture in Greece as a turning point which could lead to a radical transformation of the European political and economic order. We need a new Europe, a Europe of and for its citizens and all its inhabitants, free of the brutal austerity policies that prioritize the payment of an odious, illegal and illegitimate debt, which prevents the human development of our communities. This is the call heard today throughout the squares of Europe, from Puerta del Sol in Madrid to Syntagma Square in Athens, squares scattered all over the European geography, liberated places that are the seeds and the constituent basis of the real democracy that women and men in Europe want to build together.

The struggle against neoliberal authoritarianism which signs away the present and the future of our peoples can only be successful at the European level. It is essential, also at the European level, that we create for ourselves truly democratic institutions which contribute to freedom and solidarity of the various peoples of Europe against the neoliberal directorate and its permanent economic and political state of exception.

"And after having waited for so long / finally the time to weigh anchor has come," said the poet Alexandros Panagoulis, who was your co-citizen –and ours. Women and men in Europe have already waited too long and endured too much. Once again, it has been left to the Greek people, so intimately acquainted with the sea, as well as with freedom, to take the responsibility of setting the course towards the new Europe we glimpse in our rebellious streets and voices. We stand shoulder to shoulder with you to set out together, a fraternal assembly of peoples, on what will undoubtedly be a difficult voyage, but one full of hope.

Please receive our gratitude and fraternal salutation
http://www.cartatsipras.blogspot.it/

Lettera aperta:Tsipras, libera l' Europa


Lettera aperta a Alexis Tsipras


Stimato compagno Alexis Tsipras,

Ti scriviamo come cittadine e cittadini di paesi europei, colpiti come la Grecia dall’offensiva “debitocratica” dei poteri finanziari e oligarchici di Europa.

Ci rivolgiamo a te, e attraverso te, alle migliaia di cittadine e cittadini della Grecia, che hanno affidato il loro voto alla vostra organizzazione politica, per esprimere la nostra gratitudine, la solidarietà e il nostro sostegno nei confronti della vostra resistenza, contro la devastazione neoliberista delle condizioni materiali di vita e delle condizioni politiche di convivenza, e nei confronti della vostra lotta per un’alternativa di giustizia, dignità e democrazia in favore del popolo greco e per tutti i popoli che compongono l’Unione europea.

Applaudiamo con entusiasmo al vostro risultato nelle ultime elezioni greche, come plaudiamo al modo con cui state gestendo questo risultato, e vi esortiamo ad insistere su questo impegno, che sta già costituendo un esempio e una speranza per milioni di donne ed uomini in tutta Europa.

Desideriamo condividere con te, con le donne e gli uomini della tua organizzazione e con le cittadine e i cittadini greci che, pur appartenendo ad altre organizzazioni politiche, sindacali o sociali, compartecipano al progetto di una convivenza di libertà e di solidarietà, le aspettative piene di speranza con cui, in tutta Europa, si contempla la possibilità che, in un breve lasso di tempo, un nuovo governo greco di unità popolare affronti la dittatura dei mercanti e dei burocrati di questa Europa sequestrata.
Noi consideriamo l’attuale congiuntura greca come un punto di svolta, che può condurre ad una trasformazione radicale dell’ordine politico ed economico europeo.

Abbiamo bisogno di una nuova Europa, che sia quella dei suoi cittadini ed abitanti e non di un’Europa delle brutali politiche di austerità, che assumono come prioritario il pagamento del debito odioso, illegale ed illegittimo, che impedisce l’umano sviluppo delle nostre comunità.

Questo è l’appello che lanciamo in questi giorni dalle nostre piazze di Europa, dalla Porta del Sol di Madrid a Piazza Syntagma di Atene, e da tante altre piazze distribuite dovunque nella carta geografica europea, piazze liberate, che sono sementi e fondamento costituente della democrazia reale che noi, donne e uomini di Europa, aspiriamo a costruire tutti insieme.

La lotta contro l’autoritarismo neoliberista, che ipoteca il presente e il futuro dei nostri popoli, può risultare vittoriosa a livello europeo. Sempre a livello europeo, è indispensabile dotarci di istituzioni veramente democratiche, che contribuiscano alla libertà e alla solidarietà dei diversi popoli di Europa, di fronte all’attuale Direttorio oligarchico neoliberista e al suo stato di eccezione economica e politica permanente.

“E dopo avere aspettato tanto, tanto / infine è arrivata l’ora di salpare”, così recita il vostro e il nostro poeta, cittadino Aléxandros Panagoulis.

Noi, donne e uomini d’Europa, abbiamo tanto sperato, e sopportato ancor di più. E una volta ancora, spetta al popolo greco, così avvezzo alle cose di mare, ma anche a quelle della libertà, la responsabilità di aprire la strada a questa nuova Europa, che intravediamo nelle nostre piazze e nelle nostre voci ribelli. Per questo, mettiamoci fianco a fianco, per intraprendere insieme, come assemblea di popoli fratelli, questa navigazione pericolosa, di lotta, ma anche tanto ricca di speranza.

Con un abbraccio pieno di riconoscenza e fraterno,

Per firmare questa lettera, scrivere una e-mail a cartatsipras@gmail.com indicando nome, cognome, luogo di residenza, attività ed appartenenza ad organizzazioni.

Questa lettera verrà diffusa sui media greci, con tutte le firme raccolte entro il 1 giugno 2012.

giovedì 24 maggio 2012

31 maggio, Irlanda vota su Fiscal compact,ovvero l' austerita' permanente.


Irlanda. Vota no al Trattato di austerità permanente

di Partito Comunista d'Irlanda


Il 31 maggio gli abitanti di questo Stato saranno chiamati a votare sul "Trattato di stabilità, coordinamento e governance nell'Unione economica e monetaria" [noto come Trattato fiscale della UE o Fiscal compact, ndt], che non può che esser definito che Trattato di austerità permanente.

Mentre il dibattito pubblico si concentra su questo Trattato, il governo sta silenziosamente spingendo avanti il suo fratello, ossia il "Trattato sul meccanismo europeo di stabilità" (ESM). Sono gemelli, non possono essere separati.

Il Trattato di austerità permanente è stato presentato come il mezzo per portare stabilità all'euro e all'UE. Come accade sempre, i trattati e le leggi nazionali sono una cristallizzazione della politica: coloro che hanno il potere economico e quindi il potere politico, si assicurano che le leggi riflettano i loro interessi fondamentali. A loro non importano un granché gli orpelli, a patto che non interferiscano con le loro strutture di profitto e di potere.

Ciò che questo Trattato si propone di rimuovere è la prerogativa dei governi nazionali, per non parlare dei loro popoli, di determinare quali sono le priorità economiche e sociali. Nel nostro caso la priorità è pagare il debito privato, trasformato in "debito sovrano". Per raggiungere questo obiettivo, quadrare i conti diventa la priorità, e una parte del bilancio deve essere destinato a ripianare, con gli interessi, questo debito di natura privata.

Come sempre accade nella nostra società, dobbiamo guardare alle politiche sottese, svelando ciò che significano per i lavoratori, non solo qui in Irlanda, ma in tutta l'Unione europea. Angela Merkel, il Cancelliere tedesco, ha detto: "I freni del debito [regole del Trattato] saranno vincolanti e validi per sempre. Non potranno in alcun modo essere cambiati attraverso una maggioranza parlamentare".

Questo non può che portare a una situazione in cui i soldi nelle casse del governo saranno messi a disposizione del debito, e solo ciò quel che resta sarà messo a disposizione dei bisogni popolari. Così, quando il costo del debito aumenterà, le somme disponibili per le persone saranno ridotte e non il contrario, perché si opera all'interno dei controlli costituzionalmente determinati.

Il Trattato sul ESM è un attacco ancora più grande alla democrazia nazionale. Nell'ambito di questo Trattato viene istituito un Consiglio di governatori per "sorvegliare" la stabilità del fondo, un Consiglio composto da banchieri. Il governo irlandese dovrà contribuire con circa € 11 miliardi, che dovrà prendere a prestito per conferirli al Fondo.

L'ESM costituisce un attacco ancor più approfondito alla democrazia e il trasferimento di ancor più poteri ad un organo al di fuori dello Stato e al di là dell'influenza popolare.

E' per questo motivo che bisogna sostenere l'azione legale intrapresa da Thomas Pringle TD all'Alta Corte, dove sostiene che le disposizioni del Trattato ESM debbano essere rimesse al popolo.

In base alle disposizioni del ESM, i "governatori" e i loro agenti saranno al di sopra di tutte le leggi nazionali e senza responsabilità. Nessuno dei loro documenti e disposizioni possono essere ostacolate o intercettate dai governi nazionali o da qualsiasi altro organismo. I governi dovranno sottoscrivere previsioni di bilancio gradite ai loro supervisori. Se i "governatori" lo riterranno necessario potranno richiedere fondi aggiuntivi ai governi, che devono rispondere entro sette giorni, senza se e senza ma. I governi nazionali dovranno sottomettersi alle loro richieste e priorità.

I redattori principali di questo Trattato sono gli speculatori finanziari di Goldman Sachs. Si tratta di un colpo di stato virtuale dal capitale finanziario. Perché? Perché la democrazia sta diventando sempre più un ostacolo al processo decisionale: è troppo lenta e macchinosa per il loro mondo di circolazione istantanea del denaro e delle strategie di investimento. Il loro mondo corre molto più agevolmente, senza l'ingombro di dover consultare le persone.

I paesi periferici diventeranno protettorati dei poteri economici dominanti, con trasferimenti di ricchezza costanti su basi strutturali di lungo termine a causa del massiccio debito imposto al popolo. Ancora una volta, il rimborso del debito è il ruolo primario dei governi. L'elite vuole tenere i lavoratori in una inarrestabile "trappola del debito".

Il governo irlandese e, purtroppo, alcuni leader sindacali sembrano credere che la democrazia e la sovranità possano essere scambiate come una sorta di merce di scambio nella speranza di ottenere qualche sollievo nell'onere del debito. L'invito di quattro sindacati - Mandate, TEEU, CPSU, e Unite - a votare No al referendum, deve pertanto essere accolto. Questo nuovo sviluppo è significativo e segna un possibile passo per allontanarsi dall'impatto mortale della "cooperazione sociale".

La democrazia e la sovranità non sono merce di scambio da dare via per qualche briciola di sollievo. Dobbiamo resistere, rifiutare questo debito imposto e chiedere:

- che finisca la distruzione del nostro servizio sanitario;
- che i pazienti non siano abbandonati sulle barelle negli ospedali;
- che siano cancellati i tagli nell'istruzione, in modo che i nostri figli possano avere le scuole che meritano;
- che non siano privatizzati i servizi pubblici e le imprese pubbliche;
- che vi sia lavoro per i disoccupati;
- che i nostri figli non siano costretti a emigrare;
- che tornino sotto il controllo pubblico le nostre ricche risorse naturali;
- che si ripudi il debito che incatena il nostro popolo.

L'UE non è un veicolo per il cambiamento, ma è invece il principale veicolo per la schiavitù del debito e il controllo delle grandi corporazioni. E' il veicolo scelto dalla classe dirigente e dai grandi monopoli in tutta Europa per difendere e promuovere i loro interessi economici e politici.

La democrazia e la sovranità sono gli strumenti di cui abbiamo bisogno per affrontare la profonda crisi economica, sociale, culturale e morale in cui il nostro paese è impantanato e in cui sta affondando velocemente.

Tutti i discorsi dell'establishment sui prossimi Trattati sono un inganno per farci accettare le catene del debito intorno al collo. Ci dicono che potrebbe essere necessario un altro salvataggio, e che quindi i Trattati sono una polizza assicurativa. Il problema è che non possiamo permetterci il prezzo del primo salvataggio, per non parlare di un secondo o un terzo. Un salvataggio ulteriore significa che prenderemmo a prestito più denaro sempre da quelli a cui dobbiamo già una montagna di debiti, e restituirlo con alti interessi.

Votare No è un voto contro la trappola del debito e un voto per difendere la democrazia.

da PC d'Irlanda - www.communistpartyofireland.ie/cenfath-en/01-vote-no.html
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare


Fonte  http://www.contropiano.org/

mercoledì 23 maggio 2012

Problema U.E. Come escludere la Grecia dall' eurozona in caso di vittoria di Syriza ?



Lo scritto pubblicato di seguito e’ tratto da un articolo di Anna Maria Merlo da Parigi, pubblicato su Il Manifesto di mercoledi’ 23 maggio.

Unione Europea

Eurobond e Grecia, per Merkel e’ una cena indigesta

……stasera cena dei 27 a Bruxells…

…Il 17 giugno si vota anche in Grecia. Tensioni stasera ci saranno anche e soprattutto sulla Grecia, messa sotto pressione perche’ “voti bene” e minacciata, se dara’ la maggioranza ai partiti anti-Memorandum, di essere obbligata a uscire dalla zona euro (i trattati non prevedono l’ espulsione di uno stato , Lisbona permette pero’ ad un paese di abbandonare se il popolo lo chiede). Ieri , Alexis Tsipras a Berlino ha dichiarato che in caso di vittoria di Syriza la Grecia non decidera’ di uscire dall’ euro. Ma i leader europei, Germania, Austria, Finlandia e Olanda in testa, non intendono rinegoziare il Memorandum: ne’ sul contenuto delle riforme, ne’ sulla durata, ne’ sui tassi, ne’ sulle tranches di aiuti. Di qui al al 17, considerato dai partner un referendum sull’ euro, c’e’ il rischio di un incidente, che potrebbe precipitare il default (se l’ Fmi si ritira dal piano, se una stato esce dal Memorandum, se interviene un problema di finanziamento del sistema bancario greco). La Ue si sta preparando. Anche se i costi dell’ uscita della Grecia dall’ euro sarebbero altissimi: 370 miliardi di euro, tra prestiti bilaterali ad Atene, impegni della Bce, garanzie del Fesf (il fondo salva-stati), obbligazioni sovrane e prestiti ai privati (banche ed imprese). La Francia ci rimetterebbe sui 62 miliardi, la Germania 85,5, l’ Italia 55,8, la Spagna 36,9…..

martedì 22 maggio 2012

Siria, l' opposizione rapisce 13 pellegrini libanesi sciiti


Beirut 22 maggio 2012 - ore 18:19

Siria: 13 pellegrini libanesi sciiti rapiti da ribelli

I ribelli siriani hanno sequestrato 13 libanesi sciiti ad Aleppo, nel nord della Siria. Il gruppo stava tornando da un pellegrinaggio in Iran e stava rientrando in Libano passando per la Siria, secondo quanto hanno raccontato i loro familiari .

Fonte 24oreAgi da http://www.repubblica.it/

Aiutare Syriza. Una scheda per conoscere Syriza e un invito a partecipare dall' Italia alla campagna elettorale greca.


La Coalizione della Sinistra radicale non nasce ieri ed è frutto di un lavoro comune della sinistra nei movimenti sociali. Oggi è di fronte a una prova decisiva e dalla Grecia arrivano appelli per sostenerla

Yorgos Mitralias
(Testo tradotto per http://antoniomoscato.altervista.org/ da Titti Pierini)

Spauracchio per «quelli che stanno in alto», speranza per «chi sta in basso», Syriza fa il suo fragoroso ingresso sulla scena politica di quest’Europa in profonda crisi. Dopo aver quadruplicato la propria forza elettorale il 6 maggio, Syriza può ambire ora non solo a diventare il primo partito greco alle elezioni del 17 giugno, ma soprattutto a riuscire a formare un governo di sinistra che abrogherà le misure di austerità, ripudierà il debito e caccerà la Trojka dal paese. Non è quindi sorprendente che Syriza interessi molto anche al di fuori della Grecia e che praticamente tutti si interroghino sulla sua origine e la sua reale natura, sui suoi obiettivi e le sue aspirazioni.

Tuttavia, Syriza non è esattamente una novità del momento nella sinistra europea. Nata nel 2004, la Coalizione o Raggruppamento della Sinistra Radicale (Syriza, appunto) avrebbe dovuto attirare l’attenzione dei politologi e dei mezzi di comunicazione di massa internazionali, non fosse altro perché era una formazione politica del tutto inedita e originale nel paesaggio della sinistra greca, europea ed anche mondiale. In primo luogo, per la sua composizione.

Sorta dall’alleanza di Synaspismos (a sua volta “coalizione”) - un partito riformista di sinistra di vaga origine eurocomunista e con alcuni esponenti parlamentari - con una dozzina di organizzazioni di estrema sinistra, che coprono l’intero spettro del trotskismo, dell’ex- maoismo e del “movimentismo”, la Coalizione della Sinistra Radicale costituiva, fin dai suoi inizi, un’eccezione alla regola che voleva – e continua a volere – che i partiti più o meno tradizionali a sinistra della socialdemocrazia non si coalizzino mai con le organizzazioni di estrema sinistra!

L’originalità di Syriza, però, non si ferma qui. Essendo stato concepito come una coalizione più che altro congiunturale ed elettorale (è stato fondato subito prima delle elezioni del 2004), Syriza ha resistito al tempo ed è sopravvissuto ai suoi alti e bassi, ai suoi successi e soprattutto alle sue crisi e ai suoi insuccessi, fino a diventare un clamoroso esempio di una realtà alla quale la sinistra radicale internazionale fatica sempre ad arrivare: la coabitazione di differenti sensibilità, tendenze e anche organizzazioni in una stessa formazione politica della sinistra radicale! A distanza di otto anni dalla nascita di Syriza, ora la lezione da ricavare balza agli occhi: sì, una simile coalizione non solo è possibile, ma fruttuosa e, alla lunga, anche garanzia di grandi successi.

Ma ci si chiederà: «Come hanno fatto questa dozzina di “componenti” così eteroclite di Syriza prima a incontrarsi e poi a mettersi d’accordo su una così prolungata e originale coabitazione organizzativa?». È una domanda pertinente e merita una risposta dettagliata e approfondita. No, il miracolo Syriza non è piovuto dal cielo, né è frutto del caso. È maturato a lungo e, soprattutto, è germogliato nelle migliori condizioni possibili, nei movimenti sociali e altermondialisti di quest’ultimo quindicennio.

Si potrebbe dire che tutto è iniziato 15 anni fa, nel 1997, con la costituzione del ramo greco del movimento delle Marce europee contro la disoccupazione. Non era solo il fatto che si trattava del primo passo verso quello che poi si è chiamato poco più tardi il movimento altermondialista dei Socialforum. Più specificamente, in Grecia, era il fatto che le Marce europee hanno avuto una funzione probabilmente un po’ più importante, quella di fare qualcosa che fino ad allora era assolutamente inconcepibile: unificare la sinistra nell’azione. È così che, grazie alle Marce europee, si sono visti sindacati, movimenti sociali, partiti e organizzazioni della sinistra greca (Kke incluso, almeno per una fase!) che non si erano mai incontrati, o che si ignoravano reciprocamente, mettersi insieme per partecipare a un movimento europeo del tutto inedito, a fianco dei sindacati, dei movimenti sociali e delle correnti politiche di altri paesi, fino ad allora completamente sconosciuti in Grecia.

Non a caso, quindi, quel primo colpo inferto al settarismo viscerale che ha sempre contraddistinto la sinistra greca dava luogo addirittura a scene commoventi di ritrovamenti, quasi psicodrammi, tra militanti che fino ad allora non si conoscevano e che all’improvviso scoprivano che l’“Altro” non era poi così diverso da loro. Evidentemente, la maionese era venuta bene, tanto più che i militanti greci uscivano dal paese e scoprivano una realtà militante europea in carne ed ossa di cui prima non sospettavano l’esistenza.

Forti di questo primo avvicinamento nell’azione, tanto più solido in quanto avveniva in un movimento sociale di tipo nuovo, la maggior parte delle varie componenti politiche delle Marce europee greche partecipavano, fin dal 1999, a una seconda originale esperienza che mirava ad approfondire la loro esigenza di unità. Era lo Spazio di dialogo e di Azione Comune che, mentre approfondiva l’indispensabile discussione politica e programmatica, preparava contemporaneamente gli animi alla prossima esperienza unitaria e movimentista dei Social Forum, che avrebbe profondamente segnato lo sviluppo della sinistra greca.

Grazie all’enorme successo popolare del Social Forum, il passo verso la costituzione della Coalizione della Sinistra Radicale è stato compiuto pressoché spontaneamente e con entusiasmo nel 2003-2004. I militanti delle componenti di Syriza, che avevano avuto modo di conoscersi nelle lotte e che avevano viaggiato e manifestato insieme a migliaia ad Amsterdam (1997) e Colonia (1999), a Nizza (2000) e Genova (2001), a Firenze (2002), a Parigi (2003), ecc., avevano avuto il tempo di sviluppare tra loro rapporti non solo politici ma anche umani prima di arrivare alla fondazione della loro Coalizione della Sinistra Radicale. Una coalizione che andava comunque controcorrente rispetto a quanto accadeva nel resto d’Europa, dove una simile coalizione tra un partito riformista di sinistra e gruppi di estrema sinistra era semplicemente inimmaginabile…

Tuttavia, dopo una nascita abbastanza riuscita, il seguito dell’avventura di Syriza è stato ben lungi dall’essere sempre felice, e a varie riprese ha anche dovuto interrompersi. Ovviamente, vi sono state una serie di crisi di fiducia tra il troncone di Syriza costituito da Synaspismos e i suoi partner di estrema sinistra, una cosa del resto abbastanza “logica”. Con il passar del tempo, tuttavia, l’omogeneizzazione di Syriza ha fatto sì che le crisi – come d’altro canto le discussioni – non solo attraversassero praticamente l’intera coalizione e ciascuna delle sue componenti, ma che si manifestassero soprattutto in seno a Synaspismos stesso, in cui infuriava lo scontro di tendenza in permanente ricomposizione.

Alla fine, Syriza ha trovato una certa serenità interna solo dopo l’uscita, nel 2010, dell’ala socialdemocratica di Synaspismos (che ha dato vita alla Sinistra Democratica) e l’allontanamento del suo presidente Alecos Alavanos, che, dopo avere insediato il suo “pulcino”, Alexis Tsipras, ne è diventato il nemico giurato. Ormai, la linea politica della Coalizione era più chiara (e più a sinistra), mentre il giovane leader Alexis Tsipras imponeva la propria autorevolezza e cumulava i primi successi, che avrebbero fornito a Syriza, sempre più radicalizzata, la credibilità indispensabile per riuscire a sfruttare le eccezionali circostanze create dalla crisi del debito. Ormai Syriza era pronta ad assumersi il ruolo della formazione politica che avrebbe potuto incarnare nel miglior modo possibile le speranze e le attese di interi settori della società greca in rivolta contro le politiche di austerità, la Trojka, i partiti borghesi e lo stesso sistema capitalistico!

La lezione da ricavare da questa storia quasi esemplare è evidente: tutto sommato, si tratta di un successo che solo incalliti settari (e in Grecia ce ne sono parecchi) potrebbero negare! Tuttavia, la storia di Syriza è ben lungi dall’essersi conclusa, e le cose serie stanno solo per cominciare. Insomma, il bilancio attuale può essere soltanto provvisorio. Ma, guai a chi non lo farà, in nome di un “grave errore” e di quel «tradimento» di Syriza che aspetta con impazienza per poter dire alla fine…«Io l’avevo previsto». No, il bilancio ancorché provvisorio e incompiuto va fatto perché, per i tempi (duri) che corrono, non ci si può permettere il lusso di non approfittare delle esperienze, dei successi e degli insuccessi altrui nella sinistra radicale europea.

Formazione politica dal programma permanentemente contraddistinto da “vaghezza” artistica, la Coalizione della Sinistra Radicale ha quasi sempre oscillato tra il riformismo di sinistra e un anticapitalismo conseguente. Del resto, forse è da questa eterna oscillazione che è riuscita a ricavare la propria forza. Ma occorre essere chiari: quel che è riuscito a funzionare piuttosto positivamente in periodi “normali”, potrebbe diventare un ostacolo se non un boomerang in periodi di acuta crisi e di inasprimento dello scontro di classe. In parole povere Syriza, che ha appena magistralmente ottenuto la sua affermazione, si trova trasformato nel giro di poche settimane (!) da piccolo partito minoritario in una sinistra greca già di per sé minoritaria, in partito dominante che può pretendere di governare. Il tutto, non in un paese qualsiasi e in una fase storica qualsiasi, ma in questa Grecia, «laboratorio» e caso/test per questa Europa dell’austerità in crisi di nervi…

Il cambiamento di scala è talmente improvviso da poter far venire le vertigini. Essendo diventato in tempi record l’incubo dei potenti e la speranza dei diseredati, Syriza è ora chiamato ad assumere compiti giganteschi e decisamente storici, a cui non è preparato né politicamente né organizzativamente. Allora, che fare? La risposta deve essere chiara e categorica: semplicemente, aiutare Syriza! Con ogni mezzo possibile. E soprattutto, non lasciarlo solo. Sia in Grecia, sia in Europa. In poche parole, fare il contrario di quel che fanno coloro che non abbinano alle loro critiche a Syriza la solidarietà e anche al sostegno a Syriza stesso, di fronte al comune nemico di classe. Sostegno anche critico, ma … sostegno comunque! E non domani, ma oggi. Perché, al di là delle divergenze tattiche o di altro tipo, la lotta che sta attualmente affrontando Syriza è di fatto la nostra lotta, la lotta di noi tutti. E tirarsene fuori equivale a mancata assistenza a chi si trova in pericolo. O meglio, a popolazioni e a paesi interi in pericolo!...

Fonte  http://www.ilmegafonoquotidiano.it/

lunedì 21 maggio 2012

Scontri al Summit Nato di Chicago, la polizia approfitta della presenza Black Blok per aprire qualche sopracciglio dei manifestanti


Un video dell' AssociadedPress sulla carica della Polizia a Chicago. Facendo una sintesi delle poche notizie arrivate e delle foto e video visti, la polizia avrebbe caricato soprattutto perche' i dimostranti volevano rimanere fermi davanti allo spiegamento, imponente, delle forze dell' ordine.

Tentativi seri di sfondamento non ce ne sono stati, solo qualche azione di disturbo, direi di provocazione, verso gli agenti che hanno colto l' occasione per rompere qualche sopracciglio.
Di seguito video dell' AssociadedPress

http://www.youtube.com/watch?v=2bQBTy3W3kc

e 21 foto di Repubblica

http://www.repubblica.it/esteri/2012/05/21/foto/chicago_scontri_tra_polizia_e_manifestanti_anti-nato-35583838/1/?ref=HREC1-4

e un video sempre da Repubblica

http://video.repubblica.it/dossier/indignados-usa-occupy-wall-street/chicago-proteste-al-vertice-nato/95936?video

Intervista di Luciano Vasopollo su crisi sistemica e strategie politiche possibili



La lunga storia di una crisi di sistema. Intervista a Luciano Vasapollo
di Stefano Galieni*

Con questa lunga e articolata intervista il professor Luciano Vasapollo offre una propria ricostruzione della crisi che sta sconvolgendo il capitalismo mondiale. Una crisi politica da cui non si può uscire con ricette palliative ma solo con una proposta di alternativa radicale.


La crisi attuale e le turbolenze in Europa di questi mesi vanno lette per Luciano Vasapollo, Professore di economia applicata all’Università La Sapienza e Direttore di Cestes – Proteo (Centro Studi dell’USB), all’interno di un processo storico-economico molto lungo di cui bisogna assolutamente tenere conto in maniera puntuale per capirne la reale entità.

«Quanto sta accadendo oggi è la conseguenza politico-economica di quanto avviene da molti anni e non è un dettaglio comprendere la tipologia, l’origine e gli effetti di questa crisi. Nel modo di produzione capitalista si possono, in termini marxiani definire e analizzare tre tipologie di crisi, quella a carattere congiunturale, quella strutturale e quella sistemica. Oggi tutti parlano di crisi sistemica ma pochi sanno veramente di cosa si tratta, ed inoltre quando noi analisti marxisti ne parlavamo in tempi non sospetti già negli anni novanta nessuno ci dava credito».

E quali sono le differenze sostanziali?

«La crisi congiunturale è da considerarsi “normale”, poiché non è vero che il modo di produzione capitalistico è in equilibrio o in costante crescita quantitativa. Aveva perfettamente ragione Marx quando individuava le crisi come fase interna del ciclo in un modello economico produttivo di disequilibrio, e quindi fasi di sovrapproduzione, situazione che obbliga alla conseguente irrinunciabile condizione di bruciare forze produttive, distruggendo cioè forza lavoro e capitali in eccesso, materiali, tecnologici e finanziari, per poter ricreare le condizioni di una crescita capace di realizzare masse e tassi di profitto reputati “soddisfacenti” e ottenuti attraverso gli investimenti di plusvalore in nuovi processi di accumulazione del capitale a maggiore profittabilità .

La grande crisi del 1929 assume invece caratteri di strutturalità poiché il capitale internazionale aveva bisogno di un nuovo e diverso modello di accumulazione, anche se la stessa crisi di allora appariva o veniva presentata come quella di oggi come fosse di carattere finanziario, ma in realtà partiva da una profonda crisi dei fondamentali macroeconomici dello stesso modo di produzione capitalistico. Si è usciti da tale crisi con la messa a produzione di massa del fordismo e del taylorismo, e applicando il modello keynesiano di sostenimento della domanda realizzando un grande intervento pubblico, cioè innalzando gli investimenti in spesa pubblica, che non si traduce immediatamente in spese sociali.

Tanto è che dalla crisi del 1929 non si è usciti con il new deal ma attraverso il keynesimo militare che esprime il suo massimo livello con la seconda guerra mondiale e con la stessa ricostruzione post- bellica. Gli Stati Uniti diventano la nuova locomotiva mondiale allo sviluppo capitalistico, infatti rafforzando l’apparato industriale militare nella preparazione alla guerra e non dovendosi neanche preoccupare a guerra finita della loro ricostruzione perché non subiscono danni nel loro territorio, possono dedicare risorse da destinare agli investimenti produttivi nella ricostruzione dopo i danni di guerra subiti dai paesi europei, realizzando così un forte interventismo statale attraverso la politica degli aiuti sul modello dei “Piani Marshall”.

Tale situazione permette agli USA di realizzare un proprio sviluppo economico basato soprattutto sull’import e sull’indebitamento, interno , esterno, pubblico e privato. Una economia così strutturata sull’indebitamento poiché basata sull’importazione, determina quantità di dollari e di titoli in dollari certamente superiori alla ricchezza realizzata dagli Stati Uniti, contravvenendo così alle regole basilari degli accordi di Bretton Woods.

I paesi creditori accumulano così valuta USA in un mondo fortemente “dollarizzato”. Si arriva al punto a fine anni ’60 che i dollari in circolazione a livello mondiale sono almeno sei volte la ricchezza degli Stati Uniti e quindi di fatto gli accordi di Bretton Woods inevitabilmente saltano per una imposizione unilaterale da parte degli Usa, che vogliono campo libero per un ulteriore sviluppo del loro modello importatore-debitorio da imporre al mondo in termini politico-commerciale o anche politico-militare espansionistici.

Anche perché intanto muta lo scenario mondiale?

«Infatti nel frattempo entrano in campo due nuovi competitori internazionali, cioè i Paesi sconfitti nel conflitto, la Germania e il Giappone, che scelgono per la ricostruzione e il rafforzamento del proprio sistema di sviluppo interno, un modello capitalistico diverso da quello statunitense, meno aggressivo. Tale modello è stato definito renano – nipponico, e si basava soprattutto su un forte e riqualificato apparato industriale, in funzione di una articolata e competitiva propensione all’esport, mantenendo un ruolo importante dell’impresa pubblica; un modello sostenuto da un consociativismo con le forze sindacali controbilanciato da un capitalismo più a carattere sociale rispetto a quello USA, o meglio anglosassone, definito anche capitalismo aggressivo e selvaggio. Il modello renano-nipponico ha permesso a tali paesi un forte rafforzamento dell’apparato industriale interno, mantenendo salari relativamente più alti, imponendo così una condizione di bassa conflittualità sociale. Tale strutturazione ha creato da subito problemi competitivi agli Usa che verso il Giappone hanno scatenato una vera guerra speculativa per diminuire la competitività internazionale del Giappone e dello yen. La Germania nel frattempo continua il proprio rafforzamento industriale con una forte capacità esportatrice e per poter mantenere tale modello aveva bisogno di una moneta forte e di un’area europea che assumesse i caratteri di polo economico-commerciale e monetario a guida tedesca, e per far ciò necessitava eliminare competitori interni a tale nuovo polo geoeconomico deindustrializzandoli e rendendoli dipendenti dall’esport della Germania..

È allora che comincia la crisi sistemica che oggi vediamo chiaramente.

Intanto con la fine degli accordi di Bretton Woods nel 1971 si evidenzia anche l’inizio dell’attuale crisi sistemica, a causa delle stesse difficoltà nel realizzare da parte del capitale internazionale un nuovo modello di accumulazione in grado da permettere non solo la crescita della massa complessiva del plusvalore ma tale che sappia mantenere per i paesi a capitalismo avanzato quei tassi di profitto reputati congrui per far ripartire il sistema ai livelli di crescita alla profittabilità desiderata .

Gli effetti di tale crisi portano necessariamente all’acuirsi della competizione globale, che viene definita come la nuova fase della globalizzazione; in effetti una nuova fase della mondializzazione capitalista in cui a globalizzarsi in effetti è l’espansione soffocante della finanza. In effetti la crisi sistemica del capitale necessita della globalizzazione neoliberista che sviluppa politiche economiche restrittive tese a contrarre i salari diretti, indiretti e differiti e contemporaneamente a tentare di aumentare la massa dei ricavi, per compensare la evidente caduta tendenziale del saggio di profitto. Si cerca così di invadere nuovi mercati attraverso nuovi progetti e modalità di presentarsi degli imperialismi, a matrice USA ed euro-germanica, a carattere economico-politico-militare per tentare di risolvere la crisi. Agli altri paesi europei viene imposta la deindustrializzazione e la delocalizzazione dell’attività produttiva in un nuovo disegno della divisione internazionale del lavoro.

Si sviluppa in tal modo la cosiddetta fase della globalizzazione neoliberista partendo da forti processi di deregolamentazione dei mercati, abbattendo il ruolo interventista nell’economia da parte degli Stati, puntando ad un modello di competizione globale che sviluppa in primis un attacco senza precedenti al costo del lavoro e contemporaneamente processi di delocalizzazione produttiva (in paesi con lavoro a basso costo ma specializzato, non normato e non sindacalizzato, in questo modo si fa piazza pulita dell’industria dei maggiori competitori europei con la Germania), esternalizzazioni, privatizzazioni e dirottando risorse su una finanza aggressiva e destabilizzante, tentando di realizzare con le rendite quanto non si riusciva ad ottenere in termini di profitti.

Il Marco non può farcela a reggere alla competizione internazionale con l’area del dollaro se non si crea un polo economico commerciale europeo che metta la moneta tedesca in condizione di competere col dollaro e con un’economia della Germania che possa ambire a diventare la nuova locomotiva del capitalismo internazionale.

Insomma fin dagli anni ’70 si gettano le basi per la costruzione dell’Europa dell’euro e del polo imperialista europeo».

Quindi l’euro è di fatto una moneta che sostituisce il marco?

«La costruzione del polo imperialista europeo di fatto avviene sulle necessita competitive internazionali della Germania; pertanto lo stesso euro è da considerarsi una sorta di Super Marco, ed infatti i tassi di cambio imposti agli altri paesi europei non sono stati pesati in base alla ricchezza dei singoli Stati ma in funzione delle necessità competitive politico-economiche e politico-monetarie della Germania. Non è un caso che nei mesi successivi all’introduzione dell’euro, ad esempio, in Italia. il potere d’acquisto dei salari di fatto si dimezza poiché con un euro si acquista in pratica più o meno ciò che pochi mesi prima si acquistava con mille lire e non con le 1936 imposte dalla quotazione di cambio dell’euro.

La costruzione del polo euro-germanico necessita di una nuova divisione europea del lavoro nel quale i paesi dell’Europa meridionale-mediterranea si trasformino in aree di importazione, infatti proprio i dati di maggio 2012 confermano che il 45% delle esportazioni tedesche si riversano proprio nell’are europea. Si risolvono così, quindi, le necessità competitive del modello tedesco che evidenzia significativi surplus della bilancia dei pagamenti che trovano possibilità di investimento ad alto rendimento acquisendo il deficit della bilancia dei pagamenti degli altri paesi europei in particolare quelli mediterranei, cioè acquistandone i loro titoli del debito pubblico. Il surplus tedesco è determinato dal proprio modello di esportazione che realizza profitti sull’import degli altri paesi europei, i quali essendo ormai deindustrializzati sono costretti ad indebitarsi sempre più e alla fine il surplus finanziario tedesco realizza rendite dall’acquisto dei titoli del debito pubblico dei PIIG. Ci sono surplus finanziari che non possono restare immobili quindi la Germania si compra i titoli del debito pubblico dei PIIGS.( volgare acronimo, che significa maiali, utilizzato dai potentati del capitale per identificare la marginalità resa utile e indispensabile per sorreggere l’impianto imperialista euro-tedesco) ».

Ma il problema è il debito pubblico?

«In realtà i dati ci confermano che ad essere fuori controllo è il debito privato, soprattutto delle banche e delle grandi imprese, e il debito pubblico si è formato nel tempo non per l’eccessiva spesa sociale. Infatti ad esempio in Italia l’impennarsi del debito pubblico è dovuto alle scelte dei governi già dagli anni ’70 di accettare per ragioni politico-clientelari livelli incompatibili di evasione fiscale funzionale al sistema partitico e politico-economico; elargizioni clientelari al sistema di impresa attraverso incentivi, defiscalizzazioni, rottamazioni, ecc.; stanziamenti di cifre altissime per grandi opere pubbliche mai realizzate e utili solo per foraggiare il circolo perverso di imprenditoria criminale, tangenti politico-partitiche, malaffare e criminalità organizzata; sperpero di spesa pubblica ma non sociale con finanziamenti legali, illegittimi e illegali al sistema dei partiti e alla politica affaristica.

Il debito pubblico serve a determinare le condizioni di delegittimazione del ruolo dei singoli stati in campo economico e politico per creare lo Stato sovranazionale europeo, cioè il passaggio al super Stato politico europeo che necessariamente porta a creare deficit di democrazia, a stabilire la sovranità della super Germania.

I piani di ristrutturazione della Bce verso i PIGS sono serviti a costruire questa Europa e la Bce sta facendo quello che l’Fmi ha fatto per l’America latina, attraverso i piani di aggiustamento strutturale, Pas, o piani di austerità, agendo con privatizzazioni, abbattimento della spesa sociale, riduzione del costo del lavoro e creazione di precariato giovanile e non.

Ma ora la stessa costruzione del sovrastato europeo è messa in ginocchio dalla crisi di sovrapproduzione che sta realizzando anche quella di sottoconsumo per contrazione dei redditi da lavoro. L’austerità non può andare di pari passo con la crescita; le politiche restrittive servono solo per ultimare la resa dei conti di classe contro il movimento dei lavoratori e per delegittimare definitivamente il ruolo degli Stati-nazione abbattendo ciò che rimane dell’economia pubblica.

Ma è evidente che non esistono soluzioni di carattere economico alla crisi sistemica. Non si possono certo risolvere i problemi della crisi, come vorrebbero la maggior parte dei partiti della sinistra europea e gli economisti keynesiani che a volte ancora si autodefiniscono marxisti, dando il ruolo di prestatore di ultima istanza alla Bce (che oggi presta denaro alle banche con un interesse all’1% mentre i titoli emessi hanno il 6% di interesse) e permettendo le emissioni di eurobond che dovrebbero servire a coprire il debito. Seguendo le ricette imposte siamo come soggetti che sanno quale è il proprio boia, danno il proprio collo e preparano il nodo. Non se ne esce certo da una crisi sistemica del capitale internazionale con improbabili e anacronistiche soluzioni economico – keynesiano che puntano all’impossibile coniugazione fra austerità e politiche espansive per la crescita in quanto illogiche sul piano macr4oeconomico oltre ad essere impossibili sul piano politico-economico. Nelle regole dell’economia si parte da un equilibrio ma se mancano le risorse bisogna andare a prenderle da qualche parte. Per arrivare ad oggi i titoli greci sono in mano tedesca, potrebbero mettere in conto di abbandonare Atene ma piazzare i titoli al 2,5%».

Tu quindi chiedi una soluzione politica?

«Le ricette di partiti come il Pd che appoggiano in todo il governo Monti sono suicide e indietro storicamente, economicamente e politicamente anche rispetto a quello che pensano molti uomini politici ed economisti che si richiamano alla destra berlusconiana o addirittura più radicale. Inutile offrirsi all’altare sacrificale imposto dalla Germania sperando di entrare fra i potenti addossando tutti i costi della crisi ai lavoratori. Quello che sta attuando il governo dei professori bocconiani e clerico-confindustriali contro il mondo del lavoro non era riuscito a farlo neanche Berlusconi, poiché si sta subendo totalmente la ristrutturazione imposta dalla borghesia tedesca. Quanto accaduto attraverso le politiche economiche negli ultimi otto mesi rischia di costituire le fondamenta per costruire la nuova forma-Stato d’Europa per i prossimi 30 anni. Ma sta rinascendo un forte conflitto sociale, malgrado anche la posizione accondiscendente e consociativa del partito di Bersani e dei suoi utili alleati dei sindacati confederali, che fingono inappropriate proteste ma accettano la filosofia del disegno politico complessivo. Il parlamento abbatte lo stato di diritto e modifica la Costituzione con una maggioranza trasversale, ma sono ormai politicamente talmente deboli e non rappresentativi della società reale che sono bastate le proteste di massa contro Equitalia per annunciare l’utilizzo dell’esercito rievocando i tristi periodi della democrazia repressiva antipopolare e a connotato fascistoide».

Le elezioni in Grecia potrebbero essere decisive in tutti i sensi anche a favore del rilancio di un forte e organizzato movimento dei lavoratori europeo?

« Auspico una vittoria delle sinistre di classe in Grecia perché potrebbero riaffermare un forte protagonismo sociale e le possibilità di uno sviluppo autodeterminato in molti paesi europei. Oggi la sinistra di classe greca, che non può assolutamente prescindere dal ruolo chiave del KKE e dalla forza conflittuale del sindacato del PAME, potrebbe porsi come punta più avanzata del conflitto sociale europeo contro le politiche dell’euro e della troika.

I compagni greci si devono assumere la responsabilità politica insieme alle altre organizzazioni sociali e del sindacato conflittuale di indicare al movimento dei lavoratori europeo, a partire da quelli dei paesi PIIGS, una soluzione tutta politica rilanciando una battaglia per la fuoriuscita dall’Europa dell’euro su un terreno di classe; un percorso di lotte e organizzazione per far convivere i momenti rivendicativi tattici con la capacità di rilanciare attraverso la lotta il protagonismo sociale e sindacale che si sappia coniugare con la prospettiva strategica sull’orizzonte della trasformazione radicale in chiave socialista. Per far ciò serve una proposta e un percorso tutto politico e non di accettazione delle compatibilità economiche per quanto edulcorate e a carattere apparentemente sociale, ponendosi da subito fuori dall’euro dell’Europa imperialista e per la costruzione di un’area che si muova da subito sul terreno dell’anticapitalismo.

Un forte e organizzato movimento di classe a partire dall’Europa Mediterranea , potrebbe imporre attraverso una forte e radicale legge patrimoniale,una congrua tassazione di tutti i capitali, una effettiva redistribuzione del reddito ma soprattutto della ricchezza già a partire da riforme strutturali che riconoscano il reddito minimo garantito universale, la gratuità di tutti i servizi essenziali, un piano di edilizia pubblica e popolare, la protezione e il salario pieno per tutti i lavoratori.

Il fulcro centrale della proposta deve però partire dalla nazionalizzazione delle banche per il controllo sociale dei flussi di credito da indirizzare prioritariamente a investimenti socialmente utili ponendo da subito la questione della nazionalizzazione dei settori strategici e la statalizzazione dei cosiddetti settori in crisi.

Basti pensare a quanto accaduto nei paesi dell’ALBA in America latina, dove si è realizzata una vera e propria inversione di tendenza sociale attraverso il distacco degli organismi del capitale, come l’FMI, con le nazionalizzazioni dei settori strategici come le comunicazioni, l’energia, i trasporti , con forti investimenti sociali sorretti da una propria Banca del Sur.

Da noi bisogna realizzare lotte e percorsi di un nuovo protagonismo sociale capace di invertire i rapporti di forza da parte delle organizzazioni di classe per elaborare un programma tattico e strategico.

Se si esce da soli dall’euro, cioè con una decisione unilaterale di un solo paese, si viene certamente investiti dalla speculazione internazionale capace di spezzare le possibilità di uno sviluppo autodeterminato.

Se la sinistra greca vince dovrebbe pensare a mettersi alla guida del movimento di classe europeo per costruire una vasta area dell’alternativa anticapitalista, che prendendo di petto la questione del debito e imponendo il suo non pagamento alle banche europee e alle società finanziarie internazionali sappia porre le basi per la costruzione di un’area di paesi che si doti di una propria moneta e di un auto centrato modello di sviluppo fuori dalle logiche del profitto e dello sfruttamento capitalista (nel nostro libro “Il risveglio dei maiali PIIGS”, già alla seconda edizione 2012 per l’editore Jaca Book, chiamiamo tale moneta LIBERA per l’area ALIAS che potrebbe comprendere i paesi dell’Europa Mediterranea, dell’Africa Mediterranea inglobando anche alcuni paesi dell’Est Europeo).

Ma tutto ciò è utopia? E’ davvero nel mondo irrealizzabile di alcuni “sognatori marxisti”?

«La crisi del capitale è sistemica e profonda, e sempre più si trasformerà in una crisi sociale senza precedenti. La storia non ha percorsi lineari ma procede con salti e rotture in funzione delle determinanti del conflitto sociale, basato su sempre nuove e più articolate relazioni sociali che modificano i rapporti di forza e che vanno indirizzati a favore del movimento dei lavoratori, con intelligenza tattica ma senza nulla concedere al capitale accettando impossibili ruoli di cogestione della crisi. Di esempi ne abbiamo tanti: dal progetto alternativo antimperialista, anticapitalista e di sistema dell’ALBA, fino a soluzioni legate specificatamente solo alla risoluzione del problema del debito, come ad esempio anche in Europa l’Islanda, che non ha avuto problemi a fare una scelta coraggiosa dichiarando il non pagamento del debito pubblico alle società finanziarie e alle banche inglesi e olandesi restituendo invece i soldi dei titoli pubblici ai piccoli risparmiatori ma non ai potenti. In America Latina ci sono stati casi di percorsi di default programmato, come l’Argentina che a inizio di questo nuovo secolo veniva data per spacciata, ha invece seguito un proprio modello di sviluppo nazionale sottraendosi dal cappio dello strozzinaggio dei potentati finanziari internazionali ed oggi è una potenza emergente. Per far tutto questo c’è bisogno di una virtù che oggi in Italia e in Europa fatica ad emergere, il coraggio politico di una sinistra di classe che scelga da subito il terreno conflittuale per la prospettiva dell’alternativa di sistema in chiave socialista».

* Controlacrisi
http://www.contropiano.org/

sabato 19 maggio 2012

3) ONU, NATO, USA visti da Kumarappa, economista gandhiano/3


L’APPROCCIO GANDHIANO ALLA PACE – E CHE FARE CONTRO LA GUERRA IN COREA
(riassunto di un discorso tenuto da Kumarappa al Congresso mondiale per la pace, Vienna, 13 dicembre 1952)

Siamo qui per esplorare tutti i modi e le strade per raggiungere la pace nel mondo. Vorrei dunque illustrarvi i metodi che portò avanti in India il Mahatma Gandhi, la sua analisi dei conflitti fra le nazioni, e sulle soluzioni possibili. La filosofia della nonviolenza e della verità di Gandhiji affonda le sue radici nel modo di vita portato avanti per migliaia di anni dagli indù. Per capire la via gandhiana alla pace occorre tener conto di questo antico background.

Gli indù sostenevano che la verità è Dio e che “dharma” è lo scopo dell’esistenza dell’essere umano. Ogni creatura- senziente e non senziente – ha il proprio dharma. Questo della creatura umana è esprimersi in pace. “Dharma” non è religione né dovere, come spesso il termine viene tradotto: queste sono espressioni del dharma.

Ma non lo esauriscono di certo. Così come la natura vera della pianta della rosa è quella di produrre fiori ed emanare profumo, così la produzione di pace dovrebbe essere la vera esistenza umana. Possiamo dire che fiorire è il vero dharma della rosa e la pace è il vero dharma dell’essere umano. Qualunque cosa produca conflitto è “adharma”.

La filosofia moderna della vita ha trasformato l’uomo in un animale economico. Ha trasformato in produzione di beni il dharma. Questo è degradare la missione umana nella vita. Possiamo dire che il dharma della macchina è produrre beni. Ma l’essere umano è qualcosa di più nobile. La vita non consiste nell’abbondanza delle cose che abbiamo. L’essere umano non vive di solo pane e ancor meno di cose non volute rese necessarie dalle pressioni artificiali del commercio e della pubblicità. In questo modo l’essere umano è decaduto dal suo dharma e ha portato conflitto nel mondo dell’umanità introducendo valori e priorità falsi. Se vogliamo ristabilire la pace dobbiamo riorientare le nostre vite. Quel che è essenziale deve precedere il resto. Nel ristabilire il dharma si trova la speranza della pace mondiale.

Il dharma del forte è la protezione del debole. La potentissima America che fa guerra alla piccola Corea è adharma. Appartiene al regno animale. Il dharma della tigre può essere quello di uccidere, ma tale non è quello dell’uomo. Eppure il virus è entrato nella vita umana e ha prodotto il fenomeno delle nazioni in guerra con le altre, e il seppellimento della personalità umana sotto una montagna di beni di consumo. Questo alla fine porta la persona a cercare di far esplodere la montagna, con un’incessante produzione di strumenti di distruzione. Per una persona razionale la produzione della bomba atomica sembrerebbe il non plus ultra della follia di mezza estate, e che dire delle bombe a idrogeno e batteriologiche? L’essere umano è sceso dal suo dharma e si è avventurato nella giungla della violenza. Perciò è necessario ristabilire i valori utili allo sviluppo umano e alla piena espressione della personalità. In questo consisteva la ricerca di Gandhiji per la verità e la via della nonviolenza.

La malattia di cui il mondo soffre oggi ha cause soprattutto economiche. Abbiamo dimenticato il fine dell’essere umano nella vita e corriamo dietro quello che non ha valore.

Quali rimedi? Il dharma porta alla pace; qualunque atto sia adharma porta alla violenza. I conflitti globali non sono incidenti isolati. Sono il culmine di innumerevoli piccoli atti compiuti ogni giorno da persone semplici in modo innocente. Benché la responsabilità delle guerre ricada principalmente su alcuni leader, le cause reali possono essere ritrovate nei nostri atti quotidiani. Per esempio, gli abitanti delle città comprano il latte senza chiedersi se il vitello sia stato nutrito o se i bambini dell’allevatore abbiano avuto la loro porzione. Quando il latte che compriamo non è un surplus ma è stato portato via dalla bocca dei vitelli e dei bambini, i nostri atti sono adharmici e creiamo violenza che, quando si accumula, sfocia poi in catastrofi. Ecco perché un rimedio a questo caso di cose è una più stretta relazione fra produttore, distributore e consumatore. Ciò implica il decentramento produttivo e l’obiettivo dell’autosufficienza. Ecco il suggerimento di Gandhi per mettere al bando le cause delle guerre.

Oggi, sul lato della produzione, domina quella di massa su vasta scala con metodi standardizzati, basata su materie prime ottenute dall’altro capo del mondo da persone in condizioni di sottosviluppo. Questo è adharma. Anche la distribuzione non risponde a bisogni naturali ma è stimolata in tutti i modi dai venditori che portano alla moltiplicazione dei bisogni. Questo è adharma e porta alla violenza.

L’attuale modello di consumo non ha rapporto con i bisogni reali del consumatore, né è fondato su delle priorità. E’ congegnato a vantaggio del produttore e del distributore su larga scala.

Occorrono esplosioni periodiche per ricondurre il sistema sui binari. E questo porta alle guerre.

Finché gli interessi capitalistici e imperialistici persistono e la produzione segue metodi centralizzati e standardizzati, le guerre faranno parte integrale della vita umana e non basteranno petizioni e proteste a regalare una pace durevole.

Certo gli interessi egoistici hanno timore della diffusione, che si sta verificando, del senso di giustizia sociale. Gli interessi americani cercano di bloccare la crescente consapevolezza delle masse. L’America cerca di arginare il risveglio con un’aggressiva politica estera, a partire da Corea, Cina, Burma, India, Iraq, Giordania, fino alla Germania dell’Ovest. A questo fine gli Stati Uniti smuovono mari e monti per mettere piede in tutti quei paesi con mezzi leciti e illeciti, con le guerre, la finanza, con i cosiddetti aiuti e via dicendo. Stiamo attenti a questi pericoli.

Allora, qual è il rimedio? Sono le cause a suggerirlo. Abbiamo già visto che Gandhiji ha suggerito l’autosufficienza e il decentramento produttivo. La Russiasta cercando di arrivare a produrre all’interno delle proprie frontiere la maggior parte di quanto necessario a soddisfare il proprio fabbisogno. E’ una mossa salutare. Anche se continua a sostenere metodi centralizzati di produzione, quelli che sono anche alla base dei conflitti. Ogni nazione dovrebbe produrre per conto proprio quanto basta a soddisfare i bisogni fondamentali – cibo, abbigliamento, alloggio. Il commercio estero dovrebbe limitarsi ai beni superflui: le nazioni non fanno guerra per questi. (*)

Non c’erano guerre globali prima della rivoluzione industriale che introdusse i metodi centralizzati di produzione e provocò lo spostamento da metodi di produzione naturali a metodi che prelevano dalle riserve esauribili.

Si dovette allora percorrere il mondo per trovare le materie prime necessarie e portarle attraverso gli oceani fino alle manifatture. Dopo la fabbricazione, i prodotti finiti dovevano essere rispediti in vendita ai quattro angoli del mondo. Questo sistema, ovviamente, portò a una situazione nella quale i proprietari delle fabbriche e delle macchine avevano bisogno di controllare da vicino le fonti delle materie prime e regolamentare i mercati di sbocco, tenendo anche libere le rotte oceaniche per assicurare il traffico delle merci. Tutto ciò richiedeva un esercito, una marina e un’aviazione per controllare le vite di altri popoli e nazioni e guidarle nella direzione adatta a soddisfare le necessità dei proprietari delle industrie e delle loro ramificazioni mondiali.

E’ diventato necessario per le nazioni potenti mandare eserciti, marina e aviazione lontano migliaia di miglia dalla loro naturale sfera di competenza, per intimidire le nazioni sottosviluppate e ridurle in servaggio. Il controllo delle nazioni per l’interesse di alcune potenti è la prima causa di attrito a livello internazionale. Dobbiamo rimuoverne la causa: le nazioni dovrebbero produrre da sé l’essenziale e ridurre il più possibile il commercio internazionale. E parallelamente dovrebbero ritirarsi dai mari d’Oriente. Se non si mettono in essere questi metodi drastici, sarà vana l’attesa di una società mondiale nonviolenta. Fra i nostri slogan ci deve essere “l’Ovest lasci l’Asia” (The West Quit Asia).

La violenza ha preso un posto centrale nell’organizzazione economica. Per mantenerlo deve essere glorificata e deificata. Ma il mestiere dell’uccidere in guerra è stato trasformato in una professione onorevole. L’esercito è nobilitato, la marina diventa un’aristocrazia e l’aviazione diventa l’acme della specializzazione professionale! (**) Con questi standard ben inculcati nelle giovani menti, anno dopo anno, è stato possibile reclutare milioni di ragazzi e perfino ragazze. E le nazioni hanno fatto guerra ad altre nazioni, e l’odio e il sospetto vengono coltivati per alimentare il fuoco del conflitto.

Adesso l’America, con la sua enorme offerta di petrolio, che adesso si sta riducendo, inizia a guardare a Est per procurarselo. Il modello americano porta direttamente a conflitti internazionali su tutta la linea e il suo interesse finale è finanziario. Se il nostro scopo è la permanenza, dovremmo aderire a metodi che siano anch’essi dharmici. Gandhiji ha indicato la via della “non-violenta non-cooperazione” con l’aggressore, il che ha portato al lancio del Movimento Sathyagraha.

Nel campo economico questo implica un boicottaggio di tutte le transazioni commerciali con l’aggressore e il suo isolamento dal resto della società umana.

Se vogliamo applicare delle sanzioni efficaci, tutti i paesi dovrebbero smettere di importare beni statunitensi. L’India, ad esempio, è invasa da prodotti americani di tutti i tipi: automobili, petrolio, aggeggi elettrici, penne, farmaci, cosmetici e via dicendo. In questa conferenza sono rappresentate 70 nazioni. Se tutte si decidessero a un’iniziativa comune di questo tipo, le autorità americane presto sarebbero indotte a cessare l’aggressione. Invece, una minaccia da parte di altri eserciti sarebbe solo una sfida capace di portare a una ulteriore escalation negli armamenti. Un’altra opportunità di arricchimento per fabbricanti di armi e “mercanti di morte”. Le nazioni si disarmeranno da sé se si riuscirà a farle entrare in un’economia di “servizio materno”. Non c’è bisogno della Lega delle Nazioni o simili. L’importante è isolare il fattore che produce la violenza, cioè il nostro metodo di vivere oggi e il modello attuale di organizzazione economica. Dovremo passare da un’economia centrata sul diritto a una motivata dal dovere, passare dall’egoismo all’amore per il prossimo. Dobbiamo raggiungere l’autocontrollo e bandire violenza e falsità.

La non-collaborazione che proponiamo, basata sull’autosufficienza e sullo Swadeshi, promuove la pace nel mondo e rientra nel raggio di azione di ciascuno e di tutti. Non dobbiamo sentirci senza potere nei confronti dei potenti della Terra. Ciascuno può contribuire. E’ un grande privilegio e una responsabilità. Richiede infatti autocontrollo e spirito di sacrificio per la causa della pace. Siamo pronti a farcene carico?

L’eliminazione della guerra deve iniziare dalla tavola. Iniziamo dalle nostre vite quotidiane e la violenza accumulata che esplode nella guerra comincerà a scemare.

Tutte queste considerazioni sono fondate sull’assunto che ogni nazione cooperi con il resto del mondo per arrivare a standard spirituali e morali elevati. L’educazione dell’infanzia deve essere tale da far crescere una nazione robusta, che dipenderà dalla forza di carattere piuttosto che dagli armamenti per mantenere la pace. Solo relazioni di questo tipo, fondate sulla collaborazione, sulla comprensione e sulla buona volontà ci porteranno a una pace duratura.

In questo mondo non ci può essere sfruttamento del forte sul debole, oppressione del mondo iperorganizzato su quello impoverito, dominio del potente sul piccolo.

(*) Nel 1946, su The Aryan Path, Kumarappa scriveva in proposito: Il fattore comune alle diverse organizzazioni politiche, si tratti del comunismo sovietico, del nazismo tedesco, del fascismo italiano, dell’imperialismo politico inglese, dell’imperialismo finanziario americano o dell’imperialismo industriale giapponese, mi sembra risieda nei metodi centralizzati di produzione, con o senza profitto privato, con i correlati problemi di approvvigionamento delle materie prime e di sbocchi di mercato.

(**) Su The Aryan Path, nel 1946 Kumarappa esortava a “non usare parole soft per definire quell’omicidio di massa che è la guerra. Facciamo sapere ai giovani che quando si arruolano negli eserciti, in realtà entrano a far parte di una banda di assassini e briganti internazionali. Non possiamo sviare così il nobile patriottismo, l’entusiasmo e l’energia dei giovani. Eleviamo la consapevolezza morale e riduciamo le considerazioni monetarie e i valori materiali. Solo così possiamo essere dei pacifisti pratici, che lavorano verso un tempo nel quale la gioventù non dovrà più imparare a fare la guerra. Così tramuteremo questo mondo bellico in uno di pace e riscatteremo la civiltà dalla barbarie.

E in The Economy of Permanence, nel 1945 Kumarappa scriveva: “Ogni due generazioni i giovani sono mandati a sprecare i loro talenti sui campi di battaglia, un periodico macello di innocenti. Gli effetti devastanti di una propaganda che glorifica la violenza si vedono nel fatto di madri che sacrificano le vite dei loro figli con orgoglio, di mogli che spingono i mariti in guerra. E’ naturale questo augurarsi il sacrificio del beneamato sull’altare del Furto internazionale? No, è il frutto dell’intossicazione delle menti indotte così a una scala di falsi valori della violenza e della distruzione, dai quali normalmente le persone fuggirebbero”.

Fonte  http://www.sibialiria.org/

2) ONU, USA, NATO visti da Kumarappa, economista gandhiano/2


USA E MONDO

da Kumarappa Papers, 1952, Nmml (tratto dall’antologia Back to Basics, cit)

Kumarappa aveva detto, in un’intervista al Bombay Chronicle, che l’aiuto statunitense era come un cappio al collo dell’India. Qualche tempo dopo, l’ambasciatore Usa Chester Bowles in visita disse: “Il signor Kumarappa deve essere pazzo”. Un’osservazione che fu vista come un insulto alla nazione indiana. Poco dopo, Bowles rilasciò un’intervista alla rivista Blitz. In risposta, Kumarappa scrisse quanto segue.

Mr. Bowles è un ambasciatore, ma è soprattutto un piazzista fuoriclasse. Le sue risposte al Blitz sono spesso state non risposte. Quando è stato attaccato sulla politica Usa, ha messo avanti lo scudo delle Nazioni Unite. Sono sicuro che egli si rende conto dell’assurdità della sua affermazione “le Forze delle Nazioni Unite in Corea non hanno usato armi batteriologiche e chi lo dice mente”, di fronte alle prove portate da noti scienziati. Poi ripete la sua fede nella democrazia e afferma “il diritto di ogni nazione a decidere del proprio governo”. Allora, chiederemmo noi, che ci fanno gli Usa in Corea?

Fa poi riferimento alla storia americana per provare che il suo paese ha lottato per la democrazia e non è mai stato imperialista. Ma le nazioni non nascono imperialiste. Lo diventano. Fino a pochi decenni fa gli Usa erano un paese debitore. Le due ultime guerre sono state un enorme colpo di fortuna per quel paese al quale hanno permesso di diventare una “potenza mondiale”. Ogni riferimento alla storia passata degli Usa è improprio. Un paese può aver lottato per la democrazia all’interno dei propri confini ma essere imperialista all’estero. Possiamo riferirci all’epoca di Cromwell per sostenere chela Gran Bretagnanon è imperialista in questo Ventesimo secolo?

Mr. Bowles dice che gli Usa avrebbero sempre desiderato rimanere fuori dalle guerre. Dunque perché non rimangono a casa invece di mettere naso e armi negli affari di tutti i paesi del mondo? Per l’ambasciatore, senza l’interferenza Usa i giapponesi starebbero cavalcando per tutta l’Asia. E’ proprio un assunto degno del figlio della “Nazione di Dio”.

Mr. Bowles parla anche del pesante prezzo che i cinesi hanno pagato per la loro unificazione come nazione. Ma il prezzo per la disgregazione della Corea? Non è grave, per lui. Certo il generale McArthur deve essere il suo eroe. Ma in Giappone al tempo dell’occupazione Usa, i taxi erano “per soli stranieri”, negli hotel i giapponesi non potevano entrare…

Questo bravo venditore è d’accordo che la corsa agli armamenti porti alle guerre, ma ritiene che le armi degli Stati Uniti portino alla pace. Ci si può illudere a tal punto?

Forse l’ambasciatore avrebbe dovuto seguire l’antica tradizione dei diplomatici: star zitto. Anziché giustificare il non giustificabile.

Fonte  http://www.sibialiria.org/

1) Nato, Usa, Onu visti da Kumarappa,economista gandhiano/1


L’attualità degli scritti di un economista gandhiano su Nato, Usa, Onu…sessant’anni fa

J.C. Kumarappa, indiano, economista e collaboratore del Mahatma Gandhi, sessant’anni fa circa scriveva analisi di estrema attualità. Le riprendiamo in occasione del Vertice della Nato a Chicago. Gli scritti di Kumarappa sono raccolti nell’antologia Economia di condivisione, pubblicata dal Centro Gandhi (a cura di Marinella Correggia)

Ottimo anche il dossier sulla Nato pubblicato dal sito www.michelcollon.info

LE NAZIONI UNITE, GLI USA, LA NATO
da Kumarappa Papers, 1955, Nmml, tratto dall’antologia Back to Basics

Le Nazioni Unite hanno recentemente celebrato a San Francisco il loro Decimo anniversario. Dieci anni fa il mondo era ferito a morte dalla Seconda guerra mondiale. I fondatori dell’Onu cercavano sinceramente un modo per risolvere pacificamente, senza guerra, i conflitti internazionali. L’Onu avrebbe dovuto essere l’organizzazione politica planetaria destinata a portare la pace. Pensavano che avrebbe risparmiato le generazioni successive dal mostro della guerra. L’Onu nelle intenzioni avrebbe dovuto mantenere la pace e la sicurezza internazionali, rafforzare i rapporti di amicizia fra i popoli e le nazioni e in generale lavorare per la pace universale. Ma la sua Carta si è rivelata inefficace. E in più ha permesso a un membro dominante di assemblarne altri per rendere la propria voce ancora più potente. L’Onu non è abbastanza democratica da riconoscere a ogni nazione, per quanto piccola, di poter davvero far sentire la sua voce. Al contrario, una grossa nazione riesce a usare le altre ai propri fini.

Poi, con il pretesto dell’autodifesa, è la Nato(North Atlantic Treaty Organization, nata nel 1949; il Patto di Varsavia nascerà, come risposta, nel 1955, ndt): per dividere il mondo in due blocchi. Grazie alla Nato uno stato aggressore riesce a far dichiarare “aggressore” la vittima, e a usare contro questa le armi unificate del grosso energumeno e dei suoi alleati.

Così, il proposito originario dei fondatori dell’Onu è stato tradito. L’Onu è diventata uno strumento dell’imperialismo per opprimere le nazioni più deboli o piccole.

Non dovrebbero esserci “grandi” nazioni. Tutte dovrebbero essere pari quanto a potere e influenza all’interno di questo organismo internazionale. Che dovrebbe essere un’istituzione fra eguali. Ma che per la disparità di potere fra i suoi vari membri, in pratica non funziona imparzialmente.

Le parti in conflitto dovrebbero essere tenute fuori dalla discussione, e il caso dovrebbe essere deciso solo da chi non ha interessi in gioco. Ma non è così.

Una delle conseguenze più assurde di questa disuguaglianza di potere è il caso della Repubblica Popolare Cinese, che con una popolazione di oltre 500 milioni di abitanti è tenuta fuori dalla porta, mentre ha ottenuto un seggiola Cina Nazionalistagrazie alla tenacia di una “grande nazione”.

Con questi vizi di nascita, in questo decennio l’Onu ha fallito proprio riguardo alla pace, obiettivo primario della sua esistenza. Le grandi potenze si affrontano in una guerra fredda infinita. La nazione coreana è stata schiacciata; Indocina, Vietnam e altri paesi coloniali non hanno certo trovato nell’Onu un rifugio sicuro. L’Organizzazione seguirà la strada di dipendenza della sua antesignana Società delle Nazioni? Quella era nelle mani della Gran Bretagna. Gli statunitensi se ne tenevano fuori. Adesso, le Nazioni Unite sono dominate dagli Usa e servono al meglio ai loro fini. La parte degli inglesi consiste nel seguire passo passo gli statunitensi.

A meno che i governi membri delle Nazioni Unite non rinuncino a una parte della propria sovranità, delegando alcuni poteri di controllo a un organismo internazionale, e non siano disponibili a sottomettersi a questo organismo senza animosità, le Nazioni Unite saranno una costosa farsa o peggio. Ma occorre che cambino i cuori. Ci sono segni di cambiamento in questo mondo di odio, invidia e sospetto? Oggi prevale uno spirito imperialista, ed è pericoloso avere un organismo delle “Nazioni Unite” che si maschera da tribunale imparziale.

Fonte  http://www.sibialiria.org/

venerdì 18 maggio 2012

Cortine fumogenee sul Summit Nato di Chicago ?Sit-in a Roma sabato 19 maggio della rete No War



Il summit Nato di Chicago e' il piu' grande della storia ma a me sembra che sui temi centrali si stia minimizzando e stendendo cortine fumogenee. 

La Russia e' contraria ai piani di scudo antimissile ed ha parlato anche di possibili attacchi preventivi a nuove istallazioni, viste come minacce, ma si parla nella presentazione del Summit Nato di collaborazione con Mosca. 

Via dall' Afghanistan dopo il 2014, ma ci si sta impegnando anche per gli anni successivi, sia come presenza di militari sia finanziariamente. 

"L' Italia garantira' la difesa aerea anche nei paesi baltici" ? 
Che ci azzecca ? 

Tutti questi temi andrebbero approfonditi seriamente, io li accenno di sfuggita, con superficialita', ma come al solito ci stanno prendendo in giro. 

Intanto domani a Roma, dalle 17.00 alle 20.00, sit-in alla fermata Metro Colosseo della rete NoWar e del gruppo Statunitensi contro la guerra in appoggio alle manifestazioni previste contro questo vertice a Chicago. 

marco

A Chicago il summit della Nato - L’Alleanza futura anche in vista della “exit strategy” da Kabul 

Approfondimenti 
NATO: Afghanistan; le tappe del ritiro. Il contributo dell’Italia 
18 Maggio 2012 

Il 25.mo summit della Nato, che si terrà a Chicago il 20 e 21 maggio, 

sarà il "più grande della storia" dell'Alleanza – 

ha detto il Segretario Generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen - sottolineado che nel corso del maxi-vertice, al quale parteciperanno circa 60 Paesi e organizzazioni, verranno "lanciati altri 20-30 progetti multinazionali". Tre gli obiettivi chiave: Il percorso nel breve medio termine in Afghanistan; la questione della sicurezza in un periodo di crisi economica, il rafforzamento delle avviate partnership nel mondo. 

Afghanistan: partnership di lungo periodo oltre il 2014 

Rasmussen ha confermato che la Nato "completerà" la sua missione in Afghanistan "entro la fine del 2014, ma terremo fede alla nostra partnership di lungo periodo con il popolo afghano". Sono stati fatti "notevoli progressi verso il nostro obiettivo - ha spiegato - Rispettiamo la nostra tabella di marcia per completare la transizione verso la responsabilità afghana della sicurezza entro fine 2014". Oggi, "le truppe e la polizia afghane hanno il controllo delle attività di sicurezza per la metà della popolazione e mi aspetto che avranno il controllo di ulteriori aree presto, perché ogni giorno diventano più capaci e più sicuri di sé" - ha proseguito. 
Per quanto riguarda l’Italia , in sintonia con gli Alleati, sarà ridotto progressivamente da qui al 2014 il nostro contingente militare e si continuerà a dare assistenza e supporto alle forze di sicurezza afghane. 

Dopo il 2014, in una cornice post-Isaf, "intendiamo concorrere, nel contesto delle azioni decise dalla comunità internazionale – hanno detto i ministri Giulio Terzi e Giampaolo di Paola nell’audizione dei giorni scorsi alla Camera - al mantenimento delle capacità afgane così acquisite, attraverso una presenza di addestramento e di assistenza, anche finanziaria". 

La sicurezza in tempo di austerità 

Al summit di Chicago- ha detto Rasmussen incontrando nei giorni scorsi il Premier italiano, Mario Monti a Roma , "discuteremo di come garantire la sicurezza in tempi di austerità". Secondo il Segretario Generale Nato "economia e sicurezza sono strettamente connesse perché un'economia debole offre meno risorse per la sicurezza, più forte è l'economia più si può investire in sicurezza, quindi politiche economiche forti sono di fatto politiche per la sicurezza". A Lisbona – ha ricordato Rasmussen "abbiamo concordato di costruire un sistema missilistico di difesa per proteggere la popolazione, i territori e le forze europee dei paesi Nato contro una minaccia crescente A Chicago annunceremo una capacità provvisoria: questo è solo il primo passo, ma è significativo". 

A Chicago, ha aggiunto, "lanceremo 20-30 altri progetti multinazionali, inclusi quelli per una migliore protezione, una migliore sorveglianza e una migliore manutenzione. Noi puntiamo alle Forze Nato 2020, un'alleanza adeguata alla prossima decade e oltre: e il modo per arrivarci è la difesa intelligente, una rinnovata cultura di cooperazione che permetta a tutti gli alleati di fornire maggiore sicurezza ai nostri cittadini, anche in tempi di austerità". In un quadro di cooperazione tra i vari partner della Nato, volta ad ottimizzare l'impiego delle risorse dei singoli Paesi, l'Italia – ha detto il Ministro Di Paola - potenzierà la missione di 'polizia aerea' che già svolge e presto contribuirà a garantire la difesa aerea anche dei Paesi baltici. 

Lo scudo antimissile ed i rapporti con la Russia 

La Nato – ha detto il Segretario Generale - rimane fiduciosa che verrà raggiunto un accordo con la Russia sul programma di difesa missilistica, nonostante l'opposizione di Mosca ai piani europei per uno 'scudo'. Per il Premier Monti lo scudo antimissile allo studio in Europa non deve avere conseguenze negative per le relazioni tra la Nato e la Russia. "Sul tema della difesa missilistica ci siamo trovati d'accordo sull'opportunità che non condizioni lo sviluppo del rapporto tra Nato e Russia ma sia il presupposto per un salto di qualità strategico nelle relazioni tra Mosca e l'alleanza", ha detto Monti, in conferenza stampa con il Segretario gGnerale della Nato svoltasi a Roma nei giorni scorsi. 

La cooperazione tra Nato e Russia è "strategica", ha sottolineato il Ministro Terzi. "Quello tra Nato e Russia - ha detto - è un rapporto cui teniamo molto e il nostro obiettivo è di mantenere presente il tema nel contesto Nato ma anche nella leadership russa". Terzi ha aggiunto che anche se "non è stato possibile ottenere una sessione del Consiglio Nato-Russia a Chicago è significativo per l'Italia il fatto che nell'ultima riunione ministeriale Nato a Bruxelles il Ministro degli esteri russo Lavrov abbia sottolineato la necessità di mantenere vivo lo spirito di Pratica di Mare" 

Il rafforzamento delle partnership 

"Rafforzeremo il nostro network di partnership nel mondo", ha sottolineato il Segretario Generale della Nato. La linea dell’Italia è pienamente coerente con questo obiettivo: il Ministro della Difesa Di Paola in Parlamento ha ribadito la necessità che la collaborazione con i partner si espanda ulteriormente ed ha ricordato che a Chicago "si aprirà una riflessione su quali forme di cooperazione sia possibile instaurare con le nuove potenze emergenti, come la Cina, il Brasile, l'India, il Sud Africa ed altri ancora". 

Fonte www.esteri.it 
sito del Ministero degli Esteri