mercoledì 29 febbraio 2012

Per una mozione parlamentare contro l' acquisto degli F-35


Metto qui di seguito una proposta su cui sarebbe utile lavorare.

Cerchero' di capire come, intanto pero' ...metto la pulce nell' orecchio ad altri che potrebbero seguire la stessa pista:

L' acquisto degli F-35 Lokeed Martin da parte dell' Italia non e' stato ancora ufficializzato.

Nel paese c'e' una parte di opinione pubblica contraria a questo acquisto

perche':
-Sono armi di offesa, possono, se non ho capito male, sganciare anche missili nucleari.
-Costano uno sproposito.

-Ci sono ancora molti problemi tecnici da risolvere, che , anche se risolti, farebbero slittare i tempi e lievitare i costi.

E' in corso una campagna contro l'acquisto in tutto il paese,appoggiata, anche se non so quanto convinti ad andare fino in fondo, soprattutto dai media del "centro-sinistra moderato", si propongono mozioni in consigli comunali anche importanti.

Perche' non proporre una mozione parlamentare che, anche con solo valore politico, non vincolante,
farebbe vedere in maniera chiara e inequivocabile chi alla Camera e al Senato e' favorevole o contrario a questa scelta ?

Io credo che sia una cosa POSSIBILE, CHIARA, UTILE, E CHE NESSUNO LA PROPORRA'.

Ditemi dove sbaglio.


marco

Movimento No F-35 di Novara e rappresentanti della campagna "Taglia le armi" incontrano la commissione difesa della Camera in visita a Novara.



Rete Italiana per il Disarmo.
Roma, 29 febbraio 2012 – COMUNICATO AI MEDIA

Comunicato della campagna “Taglia le ali alle armi”

A Cameri per esprimere la contrarietà agli F-35: sono altri gli investimenti necessari sul territorio.

Il movimento NO F-35 di Novara e i rappresentanti di “Taglia le ali alle armi” incontrano i parlamentari delle Commissioni Difesa

Un incontro importante nel quale si sono ribaditi i contenuti e gli elementi concreti che danno corpo alle istanze dei movimenti che si oppongono alla partecipazione italiana al progetto Joint Strike Fighter. E' quello avvenuto oggi ai cancelli dell'aeroporto militare di Cameri dove si sta costruendo il centro di assemblaggio e manutenzione (FACO) che dovrebbe ospitare le linee di produzione dei cacciabombardieri F-35. Approfittando della visita conoscitiva delle commissioni Difesa della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica alcuni Parlamentari sono usciti dal perimetro dell'aeroporto militare per incontrare i rappresentanti di associazioni e movimenti.

Nei giorni scorsi infatti il Movimento No F35 del Novarese ha ufficialmente chiesto ai membri delle commissioni Difesa di essere ascoltati in occasione del passaggio sul loro territorio, organizzando quindi un presidio di attesa e lavorando anche insieme alla campagna nazionale “Taglia le ali alle armi” all'organizzazione di un momento di incontro. Momento reso possibile dalla disponibilità delle Commissioni e di un gruppo di parlamentari sensibili che hanno chiesto ed ottenuto di individuare uno spazio nel programma per poter concretizzare l'interlocuzione con le campagne che si oppongono agli F-35. Una delegazione di Senatori e Deputati composta da Luigi Ramponi (PdL), Roberta Pinotti (PD), Federica Mogherini (PD) e Augusto Di Stanislao (IdV) ha quindi ricevuto, con la richiesta di successiva diffusione a tutti i commissari, il documento “La lotta contro i cacciabombardieri F35 nel territorio Novarese” (scaricabile dal sito www.noeffe35.org) e il dossier della campagna nazionale “Taglia le ali alle armi” dal titolo emblematico: “Tutto quello che dovreste sapere sul cacciabombardiere F35 e la Difesa non vi dice” (scaricabile dal sito www.disarmo.org/nof35).

“Nel documento – ha spiegato Laura Bergomi del Movimento No F35 Novarese – abbiamo ripercorso il nostro impegno partito fin dal 2006 contro l’F-35 e la base di Cameri. Noi siamo contro tutte le guerre e le fabbriche di armi e, di conseguenza, pretendiamo che lo Stato italiano cessi di sprecare le nostre risorse in una spesa militare inutile ed ipertrofica la cui evidente esemplificazione – conclude Bergomi - ci viene proprio offerta dall’ipotesi di produzione e di acquisto dei micidiali cacciabombardieri F-35”.

Al presidio era presente anche Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo e tra i portavoce della campagna nazionale, che ha dichiarato: “In questi giorni ai Parlamentari vengono fornite sul programma molte informazioni parziali, se non proprio errate ed incomplete, per questo nel nostro dossier abbiamo risposto punto per punto a tutte le questioni aperte sull’F-35 con dati precisi e certificati da fonti attendibili. E’ il caso dei fantomatici ritorni economici, industriali ed occupazionali da sempre promessi ma che alla prova dei fatti stanno svanendo uno ad uno. Solo per l’occupazione, argomento che interessava molto la zona del Novarese, degli sbandierati 10.000 posti di lavoro se ne potrebbero concretizzare realmente tra i 1.000 e i 2.000 al massimo. Ma come sempre abbiamo detto si tratterà solamente di ricollocazioni di chi perde il posto di lavoro per la prossima chiusura dal programma Eurofighter. Quindi in sostanza – conclude Vignarca – nessun nuovo posto di lavoro all'orizzonte”.

Il movimento ha ringraziato i Parlamentari disponibili al dialogo e tramite loro ha inviato un messaggio a tutto il Parlamento, dal quale ci si aspetta un dibattito ampio e serio su un tema così delicato come quello della nostra sicurezza e dell’uso delle risorse finanziarie in un momento di crisi economica come quella che stiamo attraversando.



Tutte le informazioni sulla campagna si possono trovare sui siti delle organizzazioni promotrici:

www.perlapace.it (Tavola della Pace) – www.sbilanciamoci.org (Campagna Sbilanciamoci!) - www.disarmo.org (Rete Italiana per il Disarmo)
La petizione online (con i dettagli per la raccolta di firme cartacee) è invece raggiungibile all'indirizzo www.disarmo.org/nof35

Questo comunicato per il momento gira su qualche lista di discussione,aggiungo io che....


la petizione online si puo' firmare anche dal sito www.peacelink.it

Sul sito dell' Associazione Peacelink sono presenti anche la petizione "Siria, no war", gia' arrivata a 1.800 adesioni singole e circa 90 di associazioni, e il Manifesto Nonviolento che ha raccolto 1.200 adesioni singole e 100 di associazioni, proponendo la contrarieta' alle missioni militari e alle spese per armamenti, compreso l' acquisto degli F-35 Lokeed Martin.

Delegazione della Commissione Energia del Parlamento Messicano incontra il Gse per un confronto sulle potenzialita' delle rinnovabili e possibili forme di collaborazione Italo-Messicane


Rinnovabili, Gse promuove made in Italy per il Messico
Martedì, 28 Febbraio 2012

Le potenzialità delle fonti rinnovabili e i possibili ambiti di cooperazione con il nostro paese sono stati al centro di un incontro che ha avuto luogo oggi con la delegazione della Commissione Energia del Parlamento del Messico, accompagnata dall’ambasciatore in Italia, Miguel Ruiz-Cabanas Izquierdo, presso il Gestore dei Servizi Energetici, a Roma. La rappresentanza messicana è stata accolta dal Capo Dipartimento per l’Energia del ministero dello Sviluppo economico, Leonardo Senni, dall’amministratore delegato del Gse, Nando Pasquali, dall’amministratore delegato di RSE (Ricerca sul Sistema Energetico), Stefano Besseghini e dal Responsabile America Latina e Iberia di Enel Green Power, Maurizio Bezzeccheri.

La visita rientra tra le iniziative intraprese dal Gse, d’intesa con il Mise, per approfondire la conoscenza delle potenzialità del mercato energetico internazionale, al fine di valorizzare e internazionalizzare il made in Italy a sostegno della filiera italiana di settore. Allo stesso tempo, l’incontro ha avuto l’obiettivo di illustrare alla delegazione messicana le competenze tecniche e il know how italiano in tema di rinnovabili e dei relativi meccanismi di incentivazione.

Il Capo Dipartimento per l’Energia del Mise Senni ha fornito un’analisi della azione italiana a sostegno delle energie rinnovabili, mentre l’ad del Gse Pasquali ha sottolineato i buoni risultati raggiunti in Italia dal settore delle rinnovabili: “Nel 2011, su un consumo finale lordo di circa 344 TWh, la produzione da fonti rinnovabili è stata di 83 TWh, quasi il 24%”. Pasquali, quindi, ha salutato con piacere l’ambizioso piano di sviluppo messo in campo dal Messico per il 2020 e, auspicandone una positiva riuscita, ha ribadito "la disponibilità del Gse a mettere a disposizione il proprio bagaglio di conoscenza nel settore energetico, acquisito in anni di attività”. Besseghini di RSE (società del Gruppo GSE) ha poi evidenziato come l’Italia e l’Europa stiano “investendo in progetti volti a migliorare la rete elettrica”.

A tal proprosito, Besseghini ha illustrato i numerosi programmi di collaborazione internazionale che la società ha all’attivo nel settore della ricerca sul sistema elettrico. Bezzeccheri, Responsabile America Latina e Iberia di Enel Green Power ha invece ricordato che “EGP che è già presente in Messico con tre impianti idroelettrici ed ha una importante pipeline di progetti eolici, si propone di sviluppare nel paese tutta la gamma delle proprie tecnologie rinnovabili. A tal fine, - ha sottolineato – è necessario individuare le opportunità di cooperazione e di investimento per valorizzare gli strumenti a disposizione delle imprese”. (f.n.)

Fonte www.zeroemission.eu

martedì 28 febbraio 2012

Stralci degli interventi del Sen . Pedica (IDV) nella discussione in Senato in occasione della conversione in legge del DL 215 2011 sulle missioni militari all' estero.



Mercoledi' 22 Febbraio il Senato ha definitamente convertito in legge il DL 215 2011 sulle missioni militari all' estero. Hanno votato contro l'IDV, la Lega Nord e qualche altro senatore isolato, cosi' come era successo alla Camera.
Riporto in questo post alcuni stralci degli interventi del senatore Pedica dell' IDV e qualche battuta dei suoi colleghi di partito Caforio e Lanutti.
Credo sia giusto fare uscire dal Senato la voce di chi ha illustrato concetti spesso condivisi da tutti noi, anche come incoraggiamento a impegni futuri ancora piu' energici.
Ed anche per fare un piccolo dispetto a chi prende i voti dei pacifisti e non si pronuncia su la pace e la guerra o addirittura si pronuncia per la guerra. E non e' indispensabile essere in Parlamento per esprimersi contro le missioni militari.
Marco

Discussione sugli emendamenti presentati all' Art.1 "Missioni internazionali delle Forze Armate e di polizia"

Pedica (IdV). I tanti emendamenti presentati dal Gruppo IdV all’articolo 1 hanno lo scopo di suscitare un dibattito piu` approfondito e di ottenere chiarimenti e precisazioni da parte del Governo sulle missioni da rifinanziare, in particolare quelle in Afghanistan e in Libia. Il Gruppo
IdV e` contrario a destinare a spese militari ingenti fondi che potrebbero invece alleviare la situazione delle famiglie in difficolta` a causa della crisi economica. Peraltro, il Governo e` stato piuttosto vago su modalita` e tempi di realizzazione del disimpegno dell’Italia in Afghanistan, limitandosi a indicare il limite temporale del 2014.
Caforio (IdV). L’emendamento 1.22 propone di sopprimere le norme sul rifinanziamento della missione in Afghanistan, ormai fallita perche ´ si e` trasformata in mera presenza militare accantonando le originarie finalita` di costruzione della pace. E ` giusto richiamare i militari italiani, la cui presenza in un teatro di guerra viola l’articolo 11 della Costituzione.
Pedica (IdV). Ribadisce che la missione in Afghanistan si e` sviluppata come operazione di guerra, per combattere il terrorismo internazionale..........Il provvedimento mira addirittura a rafforzare alcune missioni, tra cui quelle nei Balcani, nel Mediterraneo ed in Somalia, pertanto bisognerebbe sopprimere tali disposizioni.

Articoli 2, 3 e 4 ,norme in materia di personale, penale e contabile.

Pedica (IDV) Il Governo dovrebbe dar conto delle dichiarazioni rese alla stampa dal Ministro della difesa, il quale ha affermato che le risorse recuperate dai tagli al personale militare saranno usate per l’acquisto di armamenti. In una fase di recessione economica caratterizzata da crisi occupazionale tale posizione e` inaccettabile......... Vanno chiarite le dichiarazioni rese alla stampa in cui il Ministro della difesa ha parlato di acquisto di armi da effettuare con i risparmi ottenuti attraverso i tagli al personale............ Fornisce ulteriori precisazioni sulle dichiarazioni del Ministro della difesa in merito alla destinazione dei risparmi ottenuti dalla
annunciata riduzione del personale militare. Peraltro, gli aerei F-35 che l’Italia si accinge ad acquistare vengono considerati difettosi da alcune fonti.
.
Art. 5 “Disposizioni per l Amministrazione della Difesa.”
Questo e' l' articolo piu' contestato perche' completamente estraneo al tema delle missioni e l’ IDV ha chiesto la soppressione dell’ intero articolo.

Pedica (IDV). L’articolo 5, di cui si chiede la soppressione, pone in essere un’operazione poco trasparente di utilizzo di fondi per l’acquisto di sistemi d’arma, un tema, questo, su cui si e` sviluppato un ampio dibattito critico. Si tratta di norme estranee al tema delle missioni internazionali e per la loro rilevanza andrebbero approfondite in provvedimenti specifici. .......... Annuncia voto favorevole sull’emendamento 5.12, che propone di sopprimere il comma 1 dell’articolo 5, in materia di efficientamento e ristrutturazione degli arsenali, di personale in transito dai ruoli normali ai ruoli speciali, di proroga per il triennio 2012-2015 dell’attivita`e dei contributi a favore dell’Agenzia dell’industria e difesa.
…………. che sulla materia il Governo avesse accolto almeno un ordine del giorno. ...........La cosiddetta mini-naja e` stata un costoso capriccio del precedente Ministro della difesa.............. Annuncia il voto favorevole sull’emendamento 5.17,che propone di sopprimere la lettera a) del comma 2, che reca spese ed evidenti sprechi di risorse............ L’emendamento 5.4 prevede che il Governo si impegni a ridisegnare il modello della difesa eliminando i profili di spreco, nell’ottica dell’avvio di programmi interforze..........Dichiarando il voto favorevole sull’emendamento
5.5, invita il Governo ad impegnarsi per la creazione di un modello di difesa basato sulla professionalita` e non su una precarizzazione delle Forze armate, incentivando la cooperazione per la costruzione di un programma europeo.
Caforio (IdV). A fronte delle lacune riscontrate nel controllo parlamentare sull’attuazione dei programmi di difesa, l’emendamento 5.6 e` volto a riproporre il parere vincolante delle competenti Commissioni parlamentari su tali provvedimenti.
Pedica (IdV). Anche l’emendamento 5.30 intende reintrodurre il parere vincolante del Parlamento nelle decisioni inerenti i piani di armamento decisi dal Governo. ............L’emendamento 5.33 e` volto a sospendere l’acquisto di ulteriori armamenti e a promuovere il corretto utilizzo di quelli gia` esistenti.
Lanutti (IdV). Nella gravita` dell’attuale crisi economica occorre maturare maggiore consapevolezza delle spese sostenute per gli armamenti ed a tal fine l’emendamento 5.7 prevede che il Governo riferisca semestralmente in merito alle competenti Commissioni parlamentari.

L’Art.6 modifica alcune disposizioni sulla presenza di personale militare e guardie giurate su navi civili per protezione verso la pirateria.

Caforio (IdV). L’emendamento 6.1 riguarda l’importante tema dell’impiego di personale privato armato nelle navi mercantili in funzione antipirateria, che meriterebbe un provvedimento ad hoc che colmasse tutte le lacune presenti nella normativa vigente.
Pedica (IdV). Con l’emendamento 6.2 si intende sopprimere il comma 1 dell’articolo 6, con il quale si prevede l’impiego delle guardie giurate che non abbiano ancora frequentato i corsi teorico-pratici alle missioni internazionali in incarichi operativi. La disciplina vigente in materia deve essere radicalmente rivista, al fine di tutelare le stesse guardie giurate, in particolare sotto il profilo dell’utilizzo delle armi che la normativa vigente ancora non consente loro.

L’ Art. 7 e’ dedicato invece a “Iniziative di cooperazione allo sviluppo “

Pedica (IdV). Ribadisce la contrarieta` del Gruppo all’utilizzo delle armi e l’impegno dello stesso per una riconversione delle risorse ad interventi di cooperazione civile. (Applausi dal Gruppo IdV e dei senatori Pinzger e Peterlini).
…………….Con l’ordine del giorno G7.100 si impegna il Governo a stanziare il 30 per cento dei risparmi ottenuti dal ritiro del contingente italiano dall’Afghanistan per interventi di cooperazione civile.
…………… Risulta incomprensibile, da parte dell’attuale Governo, la contrarieta` ad una misura orientata alla pace come quella della riconversione delle risorse dalle spese militari a quelle per la cooperazione.………. Segnala gli emendamenti soppressivi presentati, invitando a riflettere sulla inopportunita` di tollerare sprechi nel grave momento di crisi economica e a fronte delle sofferenze che il Paese sta attraversando.
……………. Chi parla di ostruzionismo evidentemente non ha consapevolezza dei sentimenti e dei problemi della gente comune, che non puo` tollerare ulteriormente le spese militari. (Applausi dal Gruppo IdV. Commenti dai Gruppi PdL e PD).
Caforio (IdV). L’emendamento 10.1 trasferisce alla cooperazione i fondi destinati alla mini-naja.

Infine la dichiarazione finale di voto del Sen.Pedica per tutto il gruppo dell’ IDV

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta` dei popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali:il Gruppo votera` contro un provvedimento omnibus, che contrasta con l’articolo 11 della Costituzione e mescola la lotta alla pirateria con gli investimenti in armi, la cooperazione allo sviluppo con le operazioni militari. La missione in Afghanistan e` un’operazione di guerra diretta da Washington, che ha comportato costi umani ed economici elevati e ha prodotto risultati insoddisfacenti.

Il terrorismo, infatti, va combattuto con strumenti politici e la stabilizzazione, anche rispetto alla Siria e all’Iran, va perseguita con mezzi diplomatici. Il provvedimento e` criticabile anche perche´ destinare risorse cospicue alla costruzione di velivoli da guerra in un periodo di grave crisi economica rappresenta uno spreco inaccettabile.
Con riferimento infine alla vicenda dei due maro`, ribadisce che dovranno essere accertate le responsabilita` di chi li ha consegnati alle autorita` indiane. (Applausi dal Gruppo IdV).

Fonte www.senato.it

sabato 25 febbraio 2012

Siria,dopo l' incontro di Tunisi, impasse ma situazione apertissima e sempre molto rischiosa per la pace


Questa articolo da La Stampa racconta l' incontro del 24 febbraio a Tunisi, con una divisione tra due opzioni diverse per imporre l' abbandono del governo siriano da parte di Assad. Falchi e colombe (o falchi piu' prudenti) si sarebbero confrontati e per il momento sembra essere uscita una strada piu' cauta del previsto. Ma non era possibile un' altra strada nei giorni in cui l' Afghanistan ,dopo 10 anni di guerra, si ribella allo stupido ed offensivo comportamento dei militari statunitensi che hanno bruciato il Corano.

La situazione in Siria, e in tutto il medio Oriente, e' tuttora aperta e rischiosa ed e' importante l' impegno dei pacifisti ai diversi livelli, dall' attivista allo sforzo di mediazione internazionale.

In questo momento pero' la Nato e la Lega Araba sono in difficolta'. Questo e' sicuro, insieme alla tragica constatazione che in Siria e' stata innescata una guerra civile difficile da fermare.

Ma questo deve essere l' obiettivo di chi e' veramente per la pace.

Marco

VERTICE DI TUNISI
"Tregua umanitaria in Siria"

Paesi del summit di Tunisi sono divisi tra peacekeeping e blitz militare
ANTONELLA RAMPINO

Annunciata informalmente all’incontro tra i Paesi dell’area mediterranea a Roma, e poi ritirata a breve giro, la mancata presenza di Russia e Cina ha pesato sulla riunione a Tunisi degli «amici della Siria». La formula, di impronta francese e che ricalca il famoso gruppo «amici della Libia», la dice lunga sul profilo umanitario del vertice, che ha avuto il suo clou nel previsto annuncio da parte di Hillary Clinton di un incremento negli aiuti di 10 milioni di dollari, subito giudicati «troppo pochi» dai sauditi, irritati in realtà dalla concorrenza e dalla determinatezza ormai conquistati sulla scena politica dai qatarini, e al punto che il ministro degli esteri di Riad ha lasciato la riunione. «Concentrarsi sugli aiuti umanitari non è sufficiente» ha dichiarato sulla porta il principe Saud Al Faisal.

Da Mosca, a far calare il veto ci pensava Medvedev in persona, compresa la contrarietà ai corridoi umanitari: normalmente sono difesi da forze militari internazionali. L’Italia ha tentato sino all’ultimo di convincere Mosca, l’inviato speciale di Terzi, l’ambasciatore Maurizio Massari, ha incontrato nei giorni scorsi Bogdanov, il viceministro con delega al Medio Oriente. L’opinione diffusa, alla Farnesina e non solo, è che prima delle elezioni del 4 marzo Mosca non si sposterà dalle proprie posizioni, apparentemente dettate anche dal fatto che non sono stati consultati sul documento preparatorio per Tunisi. Ma Massari ha raccolto segnali positivi: i russi temono l’isolamento da parte della Ue, ma sono disposti a discutere di cessazione delle violenze e transizione politica. E’ Mosca, tra l’altro, che ha chiesto a Ban-Ki-Moon un incaricato speciale per la Siria: nominato ieri, assieme alla Lega Araba, e nella persona di Kofi Annan.

Ma il punto è che senza la Russia, considerata «trainante» della Cina, non è possibile immaginare quel che i 60 paesi «amici della Siria» auspicherebbero: una vera e propria risoluzione dell’Onu che dia, come è emerso a Tunisi, «una cornice legale al piano internazionale per la cessazione delle violenze, e per l’avvio del processo politico». Nessuno pensa sia realistico uno «schema libico», per un intervento militare non ci sono le condizioni come ripete da tempo Giulio Terzi, e nemmeno geopolitiche: anche instaurare una no-fly zone (per la Libia si ottenne l’astensione di Russia e Cina, che in Consiglio di Sicurezza hanno potere di veto) significherebbe mettere a repentaglio la residua stabilità di quella regione del mondo. E soffiare sul fuoco aizzando l’Iran. Per ora, si punta sulla via diplomatica: oltre a Ban-Ki-Moon, si è detto al vertice, l’Onu nominerà un coordinatore delle operazioni umanitarie.

La comunità internazionale comunque non può stare a guardare e cerca, almeno, di alzare la voce. Clinton ha gridato che «Bashar Assad la pagherà cara». Fuori, intanto rumoreggiavano i sostenitori di Bashar Assad. E per ora ci sono solo le sanzioni che lunedì prossimo l’Unione Europea irrigidirà ulteriormente. Da Tunisi, il consueto documento finale chiede a Damasco l’immediato cessate-il-fuoco. Gli Stati Uniti hanno, già qualche giorno fa, riconosciuto il Consiglio Nazionale Siriano come «rappresentante credibile»: al vertice era presente il massimo esponente, Ghalioun. Ma si tratta di opposizioni al regime che già da tempo vivono fuori dalla Siria. Quelle interne al Paese sono divise, e di fatto per le Cancellerie occidentali una nebulosa. Con il timore che si possa allargare il respiro non di quello che comunemente si chiama «Islam politico», ma di fondamentalismi, anche di matrice qaedista. Significativamente, nel vertice sul Mediterraneo a Roma, la parola d’ordine era stata «evitare l’errore fatto in Iraq».

Intanto, lanciando un appello su YouTube, la giornalista del Figaro Edith Bouvier e il fotografo inglese Paul Conroy, feriti e bloccati a Homs, sono riusciti ad ottenere l’intervento della Croce Rossa. Che insieme alla Mezzaluna Rossa è finalmente riuscita ad arrivare sino a quella che è ormai una città martire, nella Siria dei massacri: solo ieri, a Homs ci sono stati 70 morti.

Fonte www.lastampa.it

venerdì 24 febbraio 2012

Nairobi, incontro tra Ministri all'Ambiente di Africa, Europa e resto del mondo


(Rinnovabili.it) – Nairobi ha portato buone nuove anche per i rapporti tra Africa ed Europa. Lo ha annunciato il ministro dell’Ambiente della Danimarca, Ida Auken, a conclusione della 12° riunione del Consiglio Direttivo dell’UNEP tenutosi lo scorso 21 e 22 febbraio, Forum Globale dei Ministri dell’Ambiente che ha visto anche la partecipazione del Commissario UE per l’ambiente, Janez Potočnik.

“Abbiamo stabilito rapporti molto importanti con i paesi africani”, ha rivelato il ministro danese, il cui paese al momento rappresenta la presidenza europea. Passi in avanti che segnano importanti percorsi in direzione di un futuro in cui un’economia sostenibile e internazionale sarà altamente produttiva senza impattare negativamente su ambiente e risorse.

Dall’incontro, che ha visto la partecipazione di ben 70 ministri dell’ambiente provenienti da tutto il mondo, sono usciti anche importanti commenti sul Global Environment Outlook (GEO5), rapporto redatto dalle Nazioni Unite che valuta lo stato mondiale dell’ambiente ogni 5 anni e che ha dato un quadro generale della situazione in vista della riunione Onu di Rio de Janeiro, prevista per il mese di giugno.

“Ho colto l’occasione qui a Nairobi per incontrare un gran numero di ministri. Tra gli altri i miei colleghi di Brasile, Corea del Sud, Colombia, Sud Africa e della Repubblica Democratica del Congo. Ci siamo confrontati e abbiamo discusso di questioni chiave relative alla realizzazione di un buon risultato a Rio+20. In particolare, penso che abbiamo stabilito un rapporto molto importante tra l’Unione europea e i paesi africani per quanto riguarda l’importante questione della green economy”, ha dichiarato la Auken.

Con la consapevolezza dell’urgenza di agire sulla scena mondiale il ministro ha dichiarato che la situazione del pianeta, così come descritta nel rapporto GEO5 è di una gravità inaudita “il GEO5 sullo stato dell’ambiente globale è una lettura inquietante, perché delinea molte indicazioni che rivelano che le cose stanno andando nella direzione sbagliata. Si tratta di un richiamo per tutti noi di quanto il mondo ha bisogno che avviamo nuove azioni concrete, e su come impostare obiettivi ambiziosi in modo da creare un’economia globale verde quando ci incontreremo a Rio”. Queste le parole del ministro, preoccupato soprattutto per le delicate condizioni in cui versa la risorsa idrica “Il mondo è a corto di acqua potabile. Già nel 2030 avremo un deficit del 40 per cento rispetto all’acqua necessaria per soddisfare la popolazione mondiale, se lo sviluppo dovesse continuare con questi ritmi. In altre parole, 2 miliardi di persone vivranno in zone con un deficit cronico di acqua in meno di 20 anni. Per questo motivo è importante che il vertice di Rio si concentri sull’acqua e su come possiamo garantire un migliore utilizzo della risorsa a livello globale”.

Fonte www.rinnovabili.it

Petrolio da sabbie bituminose, la U.E. per il momento non si pronuncia mentre 8 premi Nobel scrivono una lettera:"E' una minaccia per salute del pianeta."


Petrolio da sabbie bituminose: 8 Nobel contrari, Ue non si pronuncia
Venerdì, 24 Febbraio 2012

Sono otto i premi Nobel che hanno dichiarato all’Ue la loro contrarietà all’uso del petrolio estratto dalle sabbie bituminose: “E' una minaccia per la salute del pianeta”. Ma la Commissione Europea non ha raggiunto la maggioranza per votare sulla loro classificazione inquinante.

È una lettera aperta quella scritta da otto premi Nobel schierati per l’ambiente e, in particolare contro l’utilizzo del petrolio estratto dalle sabbie bituminose. Secondo loro, come si legge nella missiva, “le sabbie bituminose sono la fonte di emissioni che cresce più velocemente in Canada, e minacciano la salute dell'intero pianeta. Proprio per questo il Canada è uscito dal protocollo di Kyoto, e l'Europa non può seguirne i passi”.

La lettera è stata scritta alla vigilia della riunione della Commissione europea, avvenuta ieri, che avrebbe dovuto decidere a deliberare una direttiva che avrebbe dovuto assegnare un valore indicativo dell'impatto ambientale a ogni carburante, in modo da dare un'indicazione agli acquirenti al momento dell'acquisto.

Secondo le bozze che circolavano nei giorni scorsi, al petrolio da sabbie bituminose sarebbe assegnato un valore di 107 grammi di carbonio per megajoule, superiore agli 87,5 grammi del petrolio normale. Tuttavia a Bruxelles c'è stato un primo stop per le nuove regole europee. Il comitato che riunisce Commissione europea, Europarlamento e Consiglio non ha raggiunto la maggioranza qualificata per decidere sulla proposta né a favore né contro. (a.b.)

Fonte www.zeroemission.eu

giovedì 23 febbraio 2012

29 Febbraio-"Venti di guerra in Siria, dove sono i pacifisti ? ".Dibattito a Roma organizzato da PdCI


Venti di guerra sulla Siria - Dove sono i pacifisti?

Roma
Mercoledì, 29 Febbraio 2012
ore 17.00
Via Galilei 53

Come rilanciare il movimento contro le guerre

Introducono:

Fabio Nobile - Segretario PDCI Roma - Cons. regione Lazio della Fds
Maurizio Musolino - Dip. esteri Pdci
Domenico Losurdo - Firmatario appello "Fermare i preparativi di guerra"

Interventi:

Patrick Boylan - Rete Nowar
Mostafa El Ayoubi - Caporedattore rivista "Confronti"
Francesco Maringiò - Responsabile Relazioni Internazionali PdCi
Franco Tomassoni - Responsabile esteri Fgci

Interventi via Skype:

Michele Giorgio - Giornalista del Manifesto da Gerusalemme
Ammar Baghdash - Segretario Pc siriano da Damasco


Organizza: Partito dei Comunisti Italiani - Federazione Giovani Comunisti Italiani

23 Febbraio. Schizza il prezzo del petrolio Brent.Il petrolio convenzionale e' ormai prossimo al picco.


Alle 12.00 del 23 febbraio il Brent e' quotato 123,97 $/b, il WTI 106,33. Un mese fa, il giorno dell' annuncio dell' embargo all' Iran, il Brent era quotato 110 $/b, il WTI 98 $/b. Ma il prezzo sta salendo soprattutto in questi ultimissimi giorni e il tutto, per l'Europa, e' aggravato dall'euro a 1,32 $, mentre nel 2008,al momento del picco del prezzo che ha anticipato di un mese l'esplodere della crisi finanziaria, l'euro era valutato ben 1,60 $.
Questo articolo di Qualenergia ,che cita dati dell' Unione Petrolifera, spiega come siamo ormai alla domanda che supera l' offerta. Prossimi shock energetici-finanziari-economici sono alle porte.
marco

Al limite della produzione di petrolio convenzionale

Anche il preconsuntivo 2011 dell'UP italiana evidenzia lo stato critico nella produzione di greggio convenzionale. Il deficit della produzione rispetto alla domanda sembra aver ufficializzato l'avvento dell'era del picco del petrolio. Gli elevati prezzi spingono a sostenere progetti di coltivazione di risorse fossili ad alto impatto ambientale.
Fabio Catino

Dal preconsuntivo 2011 dell’Unione Petrolifera sull'attività petrolifera emergono chiaramente conferme dello stallo in cui versa la coltivazione delle riserve convenzionali di petrolio su scala mondiale. Il dibattito aspro sulla collocazione temporale del picco di produzione del greggio sembra appartenere al passato.

L'evidenza dei dati ha portato la sfida dialettica su altri temi: implicazioni della produzione petrolifera sulle crisi economiche, e in particolare su quella attuale (Qualenergia.it, Domanda e offerta di petrolio nel tempo della crisi), stabilità economica internazionale e sicurezza energetica, variazioni del prezzo del petrolio e ricadute sulla transizione verso l'economia low carbon.

Sebbene siano di primaria importanza, questi argomenti rischiano tuttavia di svolgere una funzione diversiva e distogliere l'attenzione dal problema geoeconomico fondamentale della limitatezza delle risorse. Si allinea alla tendenza anche la IEA che avendo fatto proprio il grido d'allarme sugli esiti nefasti per il clima dello scenario energetico business as usual (+6 °C entro la fine del secolo), ha lanciato il gas come risorsa prevalente del mix energetico mondiale dei prossimi decenni, nel Golden Age of Gas Scenario (Qualenergia.it, Età dell'oro per il gas, ma non per il clima), ufficializzando implicitamente per il petrolio l'ingresso nell'era del picco.

La produzione di petrolio quindi non riesce più a sostenere l'aumento della domanda che, malgrado il rallentamento dell'economia, ha fatto registrare comunque nel 2011 un aumento di 0,9 milioni di b/g (+1%). La crescita della domanda continua a essere trainata dai Paesi non OCSE (+3%), in particolare dalla Cina (+5,2%) con significativi contributi anche dai Paesi ex URSS (+4,3), dagli altri Paesi asiatici (+3,2%) e dell'America latina (+3%). Complessivamente i Paesi non OCSE sono prossimi al 50% dei consumi mondiali. L'offerta petrolifera mondiale (88,5 milioni di b/g), lo scorso anno non è stata in grado di soddisfare la domanda (89, 2 milioni di b/g) e la IEA si è vista costretta a deliberare il rilascio delle scorte obbligatorie.

Venendo meno la produzione libica (-1,6 milioni di b/g), per i noti fatti bellici, e una quota di quella dei Paesi non Opec (in calo strutturale dello 0,2%), l'incremento delle produzioni saudita (+1,1 milioni di b/g) e irachena (+0,4 milioni di b/g) è stato insufficiente a coprire il deficit. Neanche il lieve aumento dei contributi di altri due grandi produttori - il primo in assoluto, la Russia (10,5 milioni di b/g) e tuttora il terzo, gli Stati Uniti (8,0 milioni di b/g) – è risultato significativo.

Queste problematiche hanno avuto immediate ripercussioni sui prezzi del barile. Il Brent per esempio, nel periodo aprile 2010-aprile 2011 ha subito un aumento che ha portato il prezzo medio di oscillazione semestrale da circa 75 $ a 110 $, e ha raggiunto una quotazione media annuale (2011) di 111,4 $ (+40% rispetto al 2010).

Ma sono soprattutto altri dati offerti dal rapporto UP che si prestano a interpretazioni sui fondamentali di lungo periodo dell'upstream petrolifero: il valore medio annuo del mix di greggio importato dai Paesi OCSE ha toccato il record storico assoluto, in termini sia nominali sia reali, di 106,8 $/b; il prezzo medio decennale 2001-2010 del Brent è salito del 218% rispetto agli anni 1990 (da 18 $ a 57,2 $).

Si tratta di aumenti consolidati che superano la volatilità dei prezzi del greggio spesso associata da molti analisti, come effetto primario, alla finanziarizzazione del mercato del petrolio nel sistema dei titoli a futuri. Le implicazioni del mercato dei future sulla formazione del prezzo non sono in discussione, vista la caratteristica altamente speculativa di questo mercato che è capace di accogliere flussi ingenti di capitali provenienti dal altri settori finanziari e può scambiare in un giorno più dell'intera produzione annuale di petrolio. Tuttavia la sofferenza del rapporto offerta/domanda, ormai in deficit dal 2009, segnala probabilmente il compimento del percorso che ha condotto al limite superiore di produzione del petrolio convenzionale.

I prezzi alti sono ovviamente bene accolti dall'industria estrattiva anche in prospettiva dello sfruttamento delle risorse non convenzionali che presentano costi operativi e ambientali ingenti. La leva dell'impatto economico può così diventare uno strumento motivazionale, a sostegno dei progetti di sviluppo minerario, ancora più consistente nel periodo di crisi. Può beneficiare di questo aspetto anche il settore del gas, non del tutto svincolato dalle dinamiche di prezzo del petrolio, in particolare in Italia.

Suonano come una conferma le recenti dichiarazioni di Stefano Saglia, ex sottosegretario del Ministero dello sviluppo e componente della Commissione Attività produttiva della Camera, sull'opportunità economica di ampliare i limiti di ricerca, sviluppo e coltivazione di idrocarburi per l'offshore nei mari italiani.

Fabio Catino
21 febbraio 2012

Fonte www.qualenergia.it

martedì 21 febbraio 2012

"Una diversa follia" di Karla Dougherty,presentazione a Roma 7 marzo a Progetto Itaca.


Progetto Itaca - Roma

Via Terminillo, 3 (vicino P.zza Sempione)
Per info tel. 06 8271843

7 Marzo 2012

Presentazione del libro


UNA DIVERSA FOLLIA

Riuscire a vivere (e bene) con il disturbo bipolare II

di Carla Dougherty


Interverrano:

Karla Dourgherty - Autrice del libro - da Montclair, New Jersy

Alan Doyle - Direttore formazione Fountain House (N.Y.C.)

Wayne Diana - Socio senior Fountain House (N.Y.C.)



Un occasione per approfondire le difficolta' e la sofferenza dall' esordio del disagio alla diagnosi, attraverso testimonianze, letture e scambio di esperienze di vissuti personali.

L'Algeria critica la posizione della Lega Araba sulla Siria

Algeria critica posizione Lega Araba su Siria
di Redazione Contropiano

Il Ministro algerino di Stato e Segretario Generale del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), Abedelaziz Belkhadem, ha criticato domenica scorsa la posizione dalla Lega Araba nei confronti della crisi politica in Siria ed ha affermato che l'assetto dell’organizzazione che riunisce i paesi arabi deve essere profondamente modificato.
Belkhadem, che è anche Rappresentante Personale del Presidente dell’Algeria, Abed Al-Aziz Buteflika, ha detto alla Radio Nazionale 3 che “la Lega Araba non è oramai nè una lega e men che mai ancora araba.”

"È una lega che ricorre al Consiglio di Sicurezza per ottenere un intervento contro uno dei suoi membri fondatori o la NATO per distruggere le capacità dei paesi arabi" ha denunciato Belkhadem.

Inoltre, l’alto funzionario algerino ha sottolineato l’importanza di “porre termine a quello che sta succedendo in Siria e di permettere ai siriani di decidere da soli il loro futuro.”

Fonte: cubadebate

lunedì 20 febbraio 2012

Embargo Iran-Prezzo del greggio salito del 7,60% dal suo annuncio.Dove ci porteranno le politiche militariste che ci impone la Nato ?


L' annuncio ufficiale dell' embargo del petrolio iraniano e' stato dato dall'Unione Europea lunedi' 23 gennaio. Quella mattina il petrolio era quotato: il Brent 110,66 $/b, il WTI 99,17 $/b. Oggi 20 febbraio, dopo l'annuncio dell'Iran che blocchera' subito le forniture a Gran Bretagna e Francia, il Brent e' quotato 120,73 $/b e il WTI 105,11 $/b. In quasi un mese quindi il prezzo del greggio e' aumentato circa del 7,60 %.

Le politiche militariste della Nato, che guidano ormai senza l' interpretazione di forze politiche le scelte estere del nostro paese, ci stanno portando verso un disastro.

Un disastro economico,perche' il prezzo del greggio sta facendo saltare la nostra economia;un disastro nelle relazioni internazionali, siamo riusciti a fare incavolare l'India del padre della nonviolenza, Gandhi, dove ora ha un ruolo determinante una italiana ,Sonia Gandhi (l' attuale dinastia dei Gandhi discende da Nerhu,leader indiano al tempo di e dopo Gandhi n.d.r.); un disastro nelle strategie militari, perche' in Siria chissa' dove si arrivera'; un disastro anche per le spese eccessive che, in dieci anni di guerre, hanno dissanguato economicamente tutto l'occidente.

Occorre una critica al complesso della politica estera italiana che non puo' essere delegata alla Nato.

L'Italia non deve essere rappresentata nel mondo da chi spara ai pescatori,in acque indiane o internazionali non cambia niente,e da chi uccide, come e' successo in Afghanistan, dieci bambini e si giustifica poi in modo goffo.

domenica 19 febbraio 2012

Progetto Itaca, Roma - Linea di ascolto telefonica


Progetto Itaca - Roma
Associazione Volontari per la salute mentale

LINEA DI ASCOLTO

06 87752821

Si interessa a chi soffre di depressione, ansia, attacchi di panico e psicosi.

Si rivolge a chi e' colpito in prima persona e ai familiari o amici che vogliono essergli di aiuto.

I VOLONTARI RISPONDONO DAL LUNEDI' AL VENERDI'
ORARIO DALLE ORE 15,00 ALLE 18,00

Progetto Itaca - Onlus e' un' associazione di volontari nata con l' intento di attivare progetti e iniziative d' informazione, prevenzione, supporto e riabilitazione rivolti a persone affette da disturbi della Salute Mentale e di sostegno alle loro famiglie.

L'associazione ha sede a Roma in Via Terminillo, 3 - Montesacro Giardini

CHIAMACI ALLO 06 87752821

sabato 18 febbraio 2012

Siria-La discussione tra i pacifisti italiani sulla manifestazione del 19 febbraio arriva sul Fatto Quotidiano


Ma è polemica sull’intervento straniero

L'appuntamento è fissato per domani. Rilanciato dalla sezione italiana del Consiglio Nazionale Siriano (Cns), l'evento vede contrarie molte associazioni pacifiste che nella richiesta d'intervento anti - Assad vedono il rischio di riprodurre il caso Libia

Tutto è cominciato con un messaggio di Flavio Lotti il 10 febbraio scorso che invitava il pacifismo italiano ad aderire a una manifestazione, domenica 19 febbraio a Roma, indetta dalla sezione italiana del Consiglio Nazionale Siriano (Cns), importante gruppo – forse il più noto – dell’opposizione al regime di Assad. Lotti, coordinatore della Tavola della pace, spiegava che la situazione è circondata da un’informazione che spesso diventa “strumento di guerra” ma che se “abbiamo bisogno di capire, riflettere, discutere” è anche necessario “agire”. Alla manifestazione hanno aderito i gruppi più importanti del movimento: Libera, Articolo21, Cgil, Arci, Acli, Beati, Terra del Fuoco e molti altri.

Nelle stesse ore, una sessantina di associazioni non meno pacifiste, capeggiate da Peacelink, una delle più antiche formazioni arcobaleno italiane, diffondeva un Appello nel quale, citando “una crescente campagna mediatica spesso basata su resoconti parziali e non verificabili”, chiedeva all’Onu di “agire immediatamente per fermare ogni tentativo di intervento militare straniero contro la Siria e di favorire una vera mediazione”. Apparentemente le cose non sembrano in contraddizione ma solo qualche giorno dopo i distinguo sono venuti alla luce.

Con una “Lettera aperta sul 19 febbraio” una decina di associazioni e reti (tra cui Peacelink ovviamente ma anche Ong importanti come “Un ponte per”) si sono dissociate “nettamente dalla manifestazione indetta dal Cns” non potendo “condividere le ragioni di quanti aderiscono a quella piattaforma”. Il motivo è il rifiuto del rischio di “un’altra guerra ‘umanitaria’ che, come in Libia, sotto la pretesa di proteggere i civili ha scatenato invece la ferocia dei bombardamenti”. I firmatari ritengono poi che il contestatissimo veto di Russia e Cina alla risoluzione Onu del 4 febbraio abbia scongiurato questa “minaccia”. Spaccatura insomma: gli uni per evitare di essere al solito accusati di stare zitti (“Dove sono i pacifisti”? E’ il refrain di chi li detesta), gli altri per il timore che un eccesso di pressione finisca a tradursi in un ennesimo conflitto.

Sul banco degli imputati c’è il Cns il cui rappresentante per l’Italia, Dachan Mohamed Nour, ribattte sul sito della Tavola che: “La manifestazione di Roma ha un unico scopo: fermare le violenze del regime e salvare la popolazione inerme. Per questo rimaniamo perplessi davanti a tanti amici che ancora legano questa manifestazione all’idea di bombardamenti o interventi armati”. “Si chiede solo – aggiunge – la protezione dei civili e l’apertura di corridoi per favorire l’ingresso degli aiuti umanitari. Dunque, qual è il problema”?

Gli risponde la giornalista ed ecoattivista Marinella Correggia che gli contesta posizioni in Italia diverse da quelle “internazionali del Cns, che varie volte ai partner occidentali e arabi ha chiesto l’intervento armato o almeno la no-fly zone”. Dachan inoltre “non può ignorare che il ‘suo’ Cns ha sempre rifiutato ogni negoziato e ha un patto di collaborazione con i gruppi armati che ricevono armi, soldi e persone dall’estero. Che fanno decapitazioni, attacchi a civili e sabotaggi”.

Flavio Lotti preferisce evitare polemiche ma tiene a sottolineare che l’adesione alla manifestazione è fatta su una piattaforma più che chiara: “Dialogo, garanzie e aiuto alla popolazione civile e no a nuove armi che entrino in Siria ad alimentare il conflitto”. Detto questo, conclude, “in Siria c’è una legittima rivolta e non un complotto internazionale, anche se è un terreno di scontro di poteri forti esterni al Paese. I distinguo e la prudenza vanno bene ma il silenzio no e finora ce n’è stato abbastanza”.

Sergio Bassoli della Cgil aggiunge: “Quel che sta succedendo in Siria ha bisogno di una presa di posizione contro il governo siriano che non è in grado di garantire la sicurezza dei propri cittadini. Ma siamo per l’opzione politica e contro chi pensa a soluzioni militari interne o internazionali. La ‘lettera aperta’ fa parte delle interpretazioni e differenti posizioni fondate su letture politiche diverse e quindi rispettabili. Diventa però difficile da capire e da rispettare l’accusa di essere il traino di macchinazioni guerrafondaie”.

Insomma la “lettera aperta” viene rispedita al mittente e del resto non sembra aver fatto breccia più che tanto nel mondo del pacifismo italiano. Ma nonostante le ragioni della maggior parte del pianeta arcobaleno facciano quadrato attorno al pericolo di una stasi già vista (per cui, per evitare di sbagliare, è meglio limitarsi a stare a guardare), nemmeno gli altri hanno tutti i torti anche se corrono il rischio di essere confusi proprio con la propaganda del regime di Assad. L’informazione che viene dalla Siria è molto univoca perché proviene da due fonti inconciliabili che hanno tutto l’interesse a spararla più grossa.

Le fonti indipendenti sono poche e su quelle giornalistiche è bene, a volte, essere prudenti, come nel caso di Al Jazeera, la tv che risiede in un Paese – il Qatar – che ha avanzato l’idea di un intervento addirittura di terra. Inoltre la galassia jihadista e quella più moderata dell’islam politico trovano in Siria terreno fertile nei gruppi di opposizione.

La rivista strategica Stratfor ha messo in guardia sul rischio jihadista. Quanto a quello islamista non è una novità che Paesi come Qatar e Arabia saudita preferiscano appoggiare i Fratelli musulmani nei “nuovi” Paesi risvegliatisi con la Primavera araba che non gruppi laici e vagamente sinistrorsi. Una componente della società siriana che pure esiste ma ha poca voce e scarsissima risonanza. Nessuno la finanzia e tantomeno, gli fornisce armi come invece avviene con il cosiddetto Esercito libero della Siria, effettivamente sponsorizzato dal Cns.

di Emanuele Giordana

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/18/manifestazione-contro-massacro-siriano-polemica-sullintervento-straniero/192142/

Taranto "Diossina come l'Eternit", la folla assedia il tribunale.

Da Repubblica del 18 febbraio:

"Diossina,l'Ilva come l' Eternit", a Taranto la folla assedia il Tribunale.

Taranto-Tra la folla spunta un cartello:"L'Ilva e' come l' Eternit".Un ragazzo urla:"Beviamo latte alla diossina".

Erano centinaia ieri i cittadini che hanno manifestatato fuori dal Tribunale di Taranto, dove si e' svolto l' incidente probatorio nell'ambito dell' inchiesta sulle emissioni di sostanze tossiche delle accierie Ilva.

Presente alla protesta anche Bill Emmott, ex direttore dell'Economist insieme ad una troupe televisiva.
Nell'udienza a porte chiuse, i quattro consulenti chimici nominati dal gip Patrizia Todisco hanno esposto i risultati delle analisi avviate nel novembre 2010 e durate un anno. Nel procedimento sono indagati per disastro doloso e colposo e altri cinque reati, cinque dirigenti dell' industria siderurgica.

Questa invece una scheda dal sito dell' Associazione PEACELINK che ha denunciato il caso del pecorino alla diossina


Una catena umana per sostenere la magistratura
Taranto capitale della diossina: comincia in Tribunale l'esame della maxiperizia

Il 27 febbraio 2008 PeaceLink portava in Procura gli esami di laboratorio sulla diossina nel pecorino. Il 17 febbraio 2012 comincia l'esame della maxiperizia commissionata dalla Procura di Taranto che individua nell'Ilva la sorgente della diossina. E' morto con un tumore al cervello il pastore da cui PeaceLink prese il pecorino contaminato da diossina

16 febbraio 2012 - Associazione PeaceLink
PECORINO ALLA DIOSSINA
Il 27 febbraio 2008 PeaceLink portò in tribunale un esposto con i
risultati delle analisi di laboratorio sul pecorino contaminato dalla
diossina. Si veda
http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/25341.html
Cominciava un percorso difficile, ripido e pieno di ostacoli. Oggi
possiamo dire che ne è valsa la pena. Ripetevamo spesso "nulla sarà come prima". E così è stato.


TARANTO CAPITALE NAZIONALE DELLE EMISSIONI INQUINANTI
Taranto, capitale nazionale della diossina, chiede adesso giustizia. Dopo che per anni lo Stato italiano ha omesso di fare quello che l'Europa
chiedeva (http://www.peacelink.it/editoriale/a/30355.html). Dopo leggi ad aziendam e scandalosi silenzi. Dopo un'incredibile catena di cose non fatte e di prescrizioni non osservate (http://tinyurl.com/75e6ryw).La diossina a Taranto è la storia di un segreto nascosto all'opinione pubblica ed emerso grazie all'impegno civile dei cittadini
(www.tarantosociale.org/tarantosociale/docs/2458.pdf).

UN CASO SOTTO I RIFLETTORI NAZIONALI
Adesso finalmente lo scandalo è venuto allo scoperto. Taranto è sotto i
riflettori nazionali. E lotta in nome di tutte le vittime
dell'inquinamento. E' il simbolo dell'Italia inquinata che chiede
giustizia. Il desiderio di legalità e di giustizia rinasce dalla città più inquinata d'Italia e si fa impegno civile per tutta la nazione.

MAXIPERIZIA SULL'ILVA: DIBATTITO IN TRIBUNALE
Il 17 febbraio, tre anni dopo quell'esposto di PeaceLink, si avvera il
sogno di poter chiedere giustizia. La maxiperizia sarà discussa in
tribunale. Verrà finalmente avviato il percorso per accertare la verità su chi ha inquinato. La maxiperizia richiesta dal GIP Patrizia Todisco individua, oltre alla diossina, anche un mix di emissioni inquinanti che non ha eguali in Italia per varietà e quantità. Un'enciclopedia di veleni che l'Arpa Puglia ha quantificato negli ultimi anni offrendo una finestra di conoscenza in passato negata.

CATENA UMANA DI SPERANZA
Attorno al tribunale, simbolo della giustizia e della legalità, si
stringeranno idealmente tutti i tarantini che hanno una speranza. Con la voce del silenzio giungerà un forte sostegno alla magistratura. Attorno al tribunale una catena umana abbraccerà gli allevatori. La città li sosterrà, fino alla vittoria.

PER NON MORIRE DI INQUINAMENTO

Una notizia ci ha rattristati in questa nostra lunga lotta. E' morto con un tumore al cervello il pastore da cui PeaceLink prese il pecorino contaminato da diossina.Stop diossina

venerdì 17 febbraio 2012

India,arrestati i militari del San Marco che hanno ucciso due pescatori



India. Arrestati i militari italiani del San Marco
di Alessandro Avvisato

Finiscono in carcere i soldati a bordo della petroliera italiana che hanno sparato e ucciso due pescatori indiani. A luglio era stato approvato in Italia il decreto per avere i militari italiani a bordo delle navi, pagandoli profumatamente.
I militari del battaglione San Marco a bordo della nave italiana che hanno sparato sui pescatori indiani, uccidendo due di loro, sono stati arrestati oggi dalle autorità indiane. Lo riferisce il sito online del giornale indiano Times Now. Il giornale fa sapere che saranno ammesse visite consolari e nel frattempo la nave che è stata sequestrata potrebbe essere rilasciata presto.

Guarda il video di Times Now (in inglese): http://www.timesnow.tv/INDIA/Case-registered-against-Italian-liners-crew/videoshow/4396032.cms

La polizia costiera indiana la scorsa notte ha avviato un procedimento di omicidio contro i soldati di una nave italiana con l'accusa di aver ucciso due pescatori del Kerala in alto mare.
Il caso è stato registrato come omicidio, sulla base di prove delle ferite di proiettile trovate sui corpi dei pescatori morti. All'inizio della giornata, il ministro indiano Singh aveva detto a Delhi che sulla vicenda sarebbe stata avviata una inchiesta penale contro le persone responsabili che avrebbero dovuto affrontare le leggi del paese.
Mercoledì scorso, due pescatori su una barca sono stati uccisi quando i Marò del San Marco bordo della petroliera italiana 'Enrica Lexie' hanno sparato alla loro barca che trasportava 11 pescatori sospettando che il gruppo di essere una banda di pirati. I due pescatori, identificati come Jalastin e Binki, erano partiti dal porto di Neendakara un paio di giorni indietro.

Dalle prime informazioni rilasciate inizialmente dalla Marina Militare italiana sembrava un'altra “brillante operazione antipirateria”, che invece sta creando anche tensioni diplomatiche tra Italia ed India. Inizialmente, la Marina aveva dichiarato che ieri la scorta militare della petroliera Enrica Lexie aveva sventato un tentativo di abbordaggio da parte dei pirati a circa 30 miglia dalla costa indiana. I marò del San Marco avrebbero sparato tre raffiche di avvertimento, facendo allontanare l'imbarcazione.

Ma la versione fornita da parte indiana è completamente diversa: l'imbarcazione era un vero peschereccio e le raffiche hanno ucciso due membri del suo equipaggio. Il Governo indiano, che ha recuperato l'imbarcazione, ha dichiarato che a bordo non sono state trovare armi, bensì i corpi di due persone. Secondo questa versione, il peschereccio sarebbe stato in navigazione dal 7 febbraio scorso per effettuare la pesca di tonni con undici persone a bordo. Ma solo le due vittime sarebbero state sveglie mentre l'imbarcazione si avvicinava alla petroliera. Nella mattinata, il Governo ha chiesto alla Enrica Lexie di attraccare al porto indiano di Kochi, per completare le indagini sull'accaduto. Il Governo indiano ha inviato una protesta formale a quello italiano.

La Marina Militare italiana aveva diramato un comunicato sull'accaduto decisamente poco credibile, spiegando che “I marinai a bordo del mercantile hanno messo in atto le procedure standard. Il peschereccio si è allontanato dopo la terza raffica di avvertimento, senza danni evidenti a bordo”. Una versione smentita che i “danni a bordo” c'erano eccome ed erano ben due persone uccise dalle raffiche dei soldati italiani.

vedi il nostro servizio di ieri: http://www.contropiano.org/it/esteri/item/6843-i-mar%C3%B2-italiani-uccidono-due-pescatori-nell%E2%80%99oceano-indiano

A Luglio del 2011 erano stato varato l'articolo che prevedeva le scorte armate sulle navi italiane.

Il via libera all’impiego di militari e contractor sulle navi italiane per fronteggiare il pericolo pirateria è previstro dall’articolo 5 del decreto legge del governo sul rifinanziamento delle missioni militari all’estero, firmato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e controfirmato dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dai ministri Frattini, La Russa, Maroni, Alfano e Tremonti, autorizza il ministero della Difesa a«stipulare con l’armatoria privata italiana convenzioni per la protezione delle navi battenti bandiera italiana».

L’imbarco dei militari, o in alternativa di servizi di vigilanza privata, è «a richiesta e con oneri a carico degli armatori». L’articolo 5 del decreto legge, intitolato “Ulteriori misure di contrasto alla pirateria”, consente dunque l’imbarco su navi italiane di «Nuclei militari di protezione (Nmp) della Marina, che può così avvalersi anche di personale di altre Forze Armate e del relativo armamento previsto per l’espletamento del servizio».

Al comandante di ciascun nucleo, spiega il secondo comma dell’articolo del decreto legge, e al personale da esso dipendente sono attribuite le funzioni di ufficiale e di agente di polizia giudiziaria. Gli armatori, spiega invece il terzo comma, «provvedono al ristoro dei corrispondenti oneri mediante versamenti all’entrata del bilancio dello Stato entro sessanta giorni». I servizi di vigilanza privata, invece, «possono essere svolti con l’impiego di particolari guardie giurate armate, a protezione delle merci e dei valori sulle navi mercantili e sulle navi da pesca battenti bandiera italiana negli spazi marittimi internazionali a rischio pirateria».

Un nuovo decreto, che dovrà essere adottato entro sessanta giorni, stabilirà le condizioni e i requisiti per il possesso, l’utilizzo, l’acquisizione e il trasporto di armi e delle munizioni da parte delle guardie giurate.””

Fonte www.contropiano.org

giovedì 16 febbraio 2012

Nel Regno Unito molte opportunita' per il settore italiano delle rinnovabili

In Italia invece di perdere tempo ed energie per la propaganda di politiche sbagliate e per tagliare i soldi ai ceto meno abbienti, dovremmo tagliare le spese militari, le guerre (oggi chiamte missioni di pace e fedelta' alla Nato) e incentivare il nostro settore delle rinnovabili che e' gia' molto avanti rispetto al resto del mondo. Possiamo essere protagonisti nella rivoluzione energetica che sara' piu' veloce e radicale di quello che crediamo tutti.

Nel 2011 l' Italia e' stato il primo paese per potenza installata di impianti fotovoltaici e nel medio periodo l' intero pianeta arrivera' alle attivita' che gia' noi abbiamo sperimentato facendo nascere professionalita' ed esperienze non ancora presenti altrove. Questa conoscenza nella progettazione,installazione,gestione finanziaria degli impianti fotovoltaici puo' essere trainante per la produzione italiana del settore, dove siamo all'avanguardia soprattutto nel segmento degli inverter,i trasformatori da corrente continua a corrente alternata necessari per ogni impianto.
marco

Rinnovabili, grandi opportunità per le aziende italiane oltre Manica

Il Regno Unito punta sulle rinnovabili e per le aziende italiane del solare e dell'eolico si presentano le opportunitá di un mercato in crescita. Si stima, per esempio, che entro il 2016 il valore prodotto dal fotovoltaico nel Regno Unito sfiorerá i 900 milioni di euro

«Un sistema strutturato di incentivi alle energie rinnovabili è essenziale per lo sviluppo di un settore che può e deve avere un ruolo chiave nell'uscita dall'attuale crisi. Una nuova fase di crescita economica e sviluppo dovrá essere basata su energie pulite e rinnovabili puntando alla sostenibilitá e al rispetto per l'ambiente», afferma Giuseppe Paoletti, vicesegretario generale della Camera di Commercio Italiana per il Regno Unito

«Anche nel Regno Unito - aggiunge Paoletti - il governo ha stabilito obiettivi ambiziosi per la riduzione del tasso di anidride carbonica aumentando la sostenibilitá ambientale e il ricorso ad energie pulite. Il governo è concentrato sull'evitare una pericolosa situazione di forte speculazione iniziale incentivando il mercato ad una crescita strutturata e costante sul medio-lungo periodo».

Il Low Carbon Buildings Programme prevede che nel Regno Unito siano costruiti edifici a zero emissioni, con conseguente crescita della domanda di rinnovabili ad uso domestico, in particolare dell'energia solare, anche perchè la tecnologia fotovoltaica è la fonte di energia rinnovabile piú ampiamente usata nell'edilizia e l'Italia è, inoltre, il principale esportatore di strutture di alluminio ad utilizzo rinnovabili del Regno Unito. «Grazie a questi incentivi si è creata una situazione molto favorevole ad aziende italiane del settore del solare e dell'eolico - conclude Paoletti -che hanno la possibilitá di penetrare un mercato decisamente in crescita che raggiungerá entro il 2020 i risultati ottenuti dalla Germania, un paese con caratteristiche molto simili al Regno Unito». (s.f.)

Fonte www.zeroemission.eu

17 febbraio Merkel a Roma, i No Debito manifestano in Piazza Indipendenza

Venerdi' 17 febbraio Angela Merkel sara' a Roma.

Il comitato No Debito ha indetto per il pomeriggio un presidio in Piazza Indipendenza(per i non romani,vicinissimo alla Stazione Termini).

Le mobilitazioni dei No Debito non hanno per il momento smosso folle oceaniche e probabilmente non lo faranno neanche venerdi', tuttavia la presenza in Italia della Merkel giustificherebbe la presenza a Roma anche di chi non abita nella capitale.

Sara' presente la Rete No War e distribuira' volantini contro l' acquisto degli F-35 Lokeed Martin e la lettera aperta a CGIL e Tavola della Pace che hanno aderito alla manifestazione del 19 febbraio a roma indetta dal CNS siriano.

Il Coordinamento Nazionale Siriano,che si accredita come unico rappresentante dell' opposizione siriana, ha un accordo ufficiale con l'Esercito Libero Siriano, finanziato e armato da Qatar ed altri, e, mentre in Siria appoggia e partecipa ad azioni armate,domenica manifestera'a Roma con l'associazione Beati i Costruttori di Pace e Libera.

Le vie del Centro-Sinistra sono infinite, ma non portano alla Pace,

"L' unica strada che porta alla Pace e' la Pace stessa"
Gandhi

Marco

Siria-Lettera aperta alla CGIL, alla Tavola della Pace e alle associazioni che hanno aderito alla manifestazione indetta dal CNS il 19 febbraio a Roma.



Con questa lettera aperta intendiamo dissociarci nettamente dalla manifestazione indetta dal CNS a Roma per il 19 febbraio e non possiamo condividere le ragioni di quanti aderiscono a quella piattaforma.

Ciò perché non vogliamo assolutamente un'altra guerra “umanitaria” che, come è avvenuto in Libia, sotto la pretesa di proteggere i civili ha scatenato invece la ferocia dei bombardamenti e dell'intervento NATO ed ha aggiunto alla guerra civile, in corso sul terreno, un altro bagno di sangue molto, molto più grande. Crediamo perciò che grazie al veto di Russia e Cina la minaccia di un "intervento umanitario" solo per il momento sia stata scongiurata.

Pensiamo però che sia necessaria una piattaforma di pace alternativa che ,a partire dalla cessazione delle violenze da entrambe le parti (governo e bande armate della cosiddetta opposizione), rivendichi un vero negoziato di pace. Ciò perché il massacro dei civili in corso sul terreno in Siria è frutto di una guerra civile tra due entità armate, come ha dimostrato il rapporto degli osservatori della Lega Araba-censurato dal Qatar- e come dimostrano numerose violenze sui civili, gli attentati terroristici, il cecchinaggio e numerose efferatezze compiute proprio dall'Esercito Siriano di Liberazione di cui è alleato il CNS.

Questo ultimo attribuisce le violenze solo all'esercito governativo e invoca nel volantino del 19 febbraio (e nella piattaforma su cui chiede le adesioni ) “le dimissioni di Assad e del suo staff” e inoltre “la difesa internazionale dei civili secondo lo Statuto dell'ONU”, il che equivale a chiedere nei fatti il cambio di regime a mano armata e nuovamente quell'intervento militare internazionale che è stato momentaneamente fermato dal veto in Consiglio di sicurezza dell'ONU. Questa strada porta direttamente alla guerra”umanitaria” della NATO contro la Siria ed a legittimare l'intervento militare già in atto in Siria con truppe della Turchia, del Qatar, della Libia, dell'Arabia Saudita e di tutte le petrolmonarchie del Golfo che stanno da tempo fomentando la guerra, appoggiando con mezzi militari e mediatici l'opposizione armata in Siria.

L'esperienza delle cosiddette guerre umanitarie dell'ultimo quindicennio ci ha insegnato che nessuna retorica dei diritti umani o di “contingenti necessità” può mascherare la realtà della guerra con i suoi lutti e le sue devastazioni senza fine. L'unica strada per fermare il massacro di civili è quella di fermare le violenze, non di amplificarle invocando l'intervento occidentale.

Invitiamo pertanto tutte le associazioni che ripudiano la guerra a dissociarsi apertamente dal CNS e dalla sua piattaforma.

FIRME:

RETE NOWAR, PEACELINK, WILPFITALIA, UNPONTEPER, STATUNITENSI CONTRO LA GUERRA FIRENZE, U.S. CITIZENS FOR PEACE AND JUSTICE, RETE DISARMIAMOLI, CONTROPIANO, ASSOCIAZIONE NAZIONALE DI AMICIZIA ITALIA-CUBA circolo di Roma, ASSOCIAZIONE AMICI DELLA MEZZALUNA ROSSA PALESTINESE



martedì 14 febbraio 2012

14 febbraio 2012,scontri in Barhain nell' anniversario della rivolta del 2011 dove furono uccisi 60 manifestanti dalla polizia aiutata dall' esercito dell' Arabia Saudita.


Bahrein: torna la protesta, scontri con la polizia
Tensione a un anno dalla ribellione sciita: centinaia in piazza

Malgrado il divieto delle autorità, i dimostranti hanno marciato in direzione del centro di Manama. I giovani hanno lanciato pietre e bombe incendiarie, gli agenti hanno risposto con lacrimogeni e granate stordenti

Dubai, 14 febbraio 2012 - Tensione in Bahrein a un anno esatto dalla ribellione sciita contro la famiglia reale sunnita. Il Paese è tornato a infiammarsi: le forze di sicurezza hanno sparato lacrimogeni, granate stordenti e proiettili veri contro i manifestanti che cercavano di raggiungere la rotonda delle Perle, al centro di Manama, simbolo della rivolta repressa dal governo.

Malgrado il divieto delle autorità, i dimostranti hanno marciato in direzione del centro di Manama da diversi villaggi sciiti nella periferia della capitale. La folla è quindi avanzata per circa 2 chilometri nella grande rotonda, ma è stata respinta dalla polizia. Il traffico è stato bloccato mentre sulla strada princiale piovevano pallini di gomma, massi e bombolette di lacrimogeni. Gli scontri si sono poi spostati in altre parti della cità, come il distretto di Budaiya, dove per almeno un’ora gruppi di giovani hanno lanciato pietre e bombe incendiarie contro gli agenti che hanno risposto con lacrimogeni e granate stordenti

"STIAMO RITORNANDO" - Sono stati soprattutto gli attivisti della Coalizione della Gioventù della Rivoluzione del 14 febbraio a richiamare i manifestanti nella rotonda delle Perle. “Stiamo ritornando”, è lo slogan pubblicato sulla loro pagina Facebook. Più cauta la posizione dei gruppi di opposizione che fanno capo ad Al-Wefaq, che ha voluto prendere le distanze dalla marcia, non condividendo l’idea di occupare piazza delle Perle.

“Nella nostra battaglia per raggiungere i nostri obiettivi vanno bene tutte le piazze e tutte le strade del Paese”, ha fatto sapere Al-Wefaq. Da un esponente della coalizione, Khalil al-Marzuq, è quindi arrivato un appello a manifestare pacificamente. “Questo è un movimento non-violento e deve continuare a rimanere tale”, ha dichiarato alla Bbc.

LA PROTESTA DELLO SCORSO ANNO - Nel febbraio 2011 la maggioranza sciita in Bahrein si era ribellata contro la famiglia reale sunniita, gli Al Khalifa, al potere da oltre due secoli. Le manifestazioni durarono circa un mese finchè l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi inviarono proprie truppe nell’arcipelago, spazzando via ogni protesta.

Nella breve rivolta persero la vita almeno 60 persone. Il governo di Manama fece demolire l’imponente monumento alla Perla, che sorgeva al centro dell’omonima rotonda e la cui immagine aveva fatto il giro del mondo, divenendo il simbolo della rivolta.

Fonte www.quotidiano.net

Francia e Germania ricattano la Grecia anche per vendere piu' armi.


Parigi e Berlino ad Atene: 'Se comprate le nostre armi avrete aiuti'
di Redazione Contropiano

Il ricatto nel ricatto. L'Unione Europea ha imposto alla Grecia di tagliare la spesa sociale e ridurre la sua popolazione in povertà. Ma Berlino e Parigi impongono ad Atene di comprare le proprie armi per velocizzare la concessione degli 'aiuti' economici.

Hanno spiegato al popolo greco che non si può più permettere il ‘lusso’ di guadagnare uno stipendio che gli permetta di vivere. E che in molti casi lo stato non può permettersi di garantire pensioni e stipendi, sanità e istruzione. “I greci hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità’. E quindi ora devono sopportare la miseria, bisogna ripianare il debito ‘pubblico’. Ma di tagliare la spesa militare non se ne parla. Anzi. Le armi la Grecia le deve comprare, e comprare da Francia e Germania. Vari miliardi di euro di spesa, la maggior parte dei 7 miliardi di spese militari che il piccolo paese ha messo in cantiere nel 2012. Una enormità. Settimane fa il settimanale tedesco Die Zeit spiegava con orgoglio che i rifornimenti di armamenti alla Grecia sono tutti di provenienza tedesca. Con circa 130mila effettivi nel suo esercito, Atene spende per la Difesa il 3% del suo Pil in caduta libera da anni a causa della recessione in cui è stata precipitata dai ‘salvataggi’ europei.

All’interno della Nato soltanto gli Stati Uniti spendono di più. Nei giorni scorsi alcuni quotidiani o siti italiani avevano parlato delle pressioni franco-tedesche su Atene: se comprate le nostre armi avrete gli ‘aiuti’. Ieri a fare il punto è stato un articolo del Corriere della Sera, che però tenta di descrivere un Papademos succube della Merkel in contrapposizione ad un socialista Papandreou indipendente e coscienzioso. Non è andata esattamente così, ma il pezzo del Corriere ha avuto il merito di rendere pubblico lo scandalo al grande pubblico italiano. Nel 2012 la spesa militare ellenica ammonterà a 7 miliardi di euro.

Fregate, sottomarini e caccia... (Marco Nese, Corriere della Sera del 13/02/2012)

I greci sono alla fame, ma hanno gli arsenali bellici pieni. E continuano a comprare armi. Quest’anno bruceranno il tre per cento del Pil (prodotto interno lordo) in spese militari. Solo gli Stati Uniti, in proporzione, si possono permettere tanto. Ma cosa spinge Atene a sperperare montagne di soldi? La paura dei turchi? No, è l’ingordigia della Merkel e di Sarkozy. I due leader europei mettono da mesi il governo greco con le spalle al muro: se volete gli aiuti, se volete rimanere nell’euro, dovete comprare i nostri carri armati e le nostre belle navi da guerra.

Le pressioni di Berlino sul governo di Atene per vendere armi sono state denunciate nei giorni scorsi da una stampa tedesca allibita per il cinismo della Merkel, che impone tagli e sacrifici ai cittadini ellenici e poi pretende di favorire l’industria bellica della Germania.

Fino al 2009 i rapporti fra Atene e Berlino andavano a gonfie vele, il governo greco era presieduto da Kostas Karamanlis (centrodestra), grande amico della Merkel. Gli anni di Karamanlis sono stati una vera manna per la Germania. «In quel periodo – ha calcolato una rivista specializzata – i produttori di armi tedeschi hanno guadagnato una fortuna». Una delle commesse di Atene riguardò 170 panzer Leopard, costati 1,7 miliardi di euro, e 223 cannoni dismessi dalla Bundeswehr, la Difesa tedesca.

Nel 2008 i capi della Nato osservavano meravigliati le pazze spese in armamenti che facevano balzare la Grecia al quinto posto nel mondo come nazione importatrice di strumenti bellici. Prima di concludere il suo mandato di premier, Karamanlis fece un ultimo regalo ai tedeschi, ordinò 4 sottomarini prodotti dalla ThyssenKrupp. Il successore, George Papandreou, socialista, si è sempre rifiutato di farseli consegnare. Voleva risparmiare una spesa mostruosa. Ma Berlino insisteva. Allora il leader greco ha trovato una scusa per dire no. Ha fatto svolgere una perizia tecnica dai suoi ufficiali della Marina, i quali hanno sentenziato che quei sottomarini non reggono il mare. Ma la verità, ha tuonato il vice di Papandreou, Teodor Pangalos, è che «ci vogliono imporre altre armi, ma noi non ne abbiamo bisogno». Gli ha dato ragione il ministro turco Egemen Bagis che, in un’intervista allo Herald Tribune, ha detto chiaro e tondo: «I sottomarini della Germania e della Francia non servono né ad Atene né ad Ankara».

Tuttavia, Papandreou, alla disperata ricerca di fondi internazionali, non ha potuto dire di no a tutto. L’estate scorsa il Wall Street Journal rivelava che Berlino e Parigi avevano preteso l’acquisto di armamenti come condizione per approvare il piano di salvataggio della Grecia. E così il leader di Atene si è dovuto piegare. A marzo scorso dalla Germania ha ottenuto uno sconto, invece dei 4 sottomarini ne ha acquistati 2 al prezzo di 1,3 miliardi di euro. Ha dovuto prendere anche 223 carri armati Leopard II per 403 milioni di euro, arricchendo l’industria tedesca a spese dei poveri greci. Un guadagno immorale, secondo il leader dei Verdi tedeschi Daniel Cohn-Bendit. Papandreou ha dovuto pagare pegno anche a Sarkozy. Durante una visita a Parigi nel maggio scorso ha firmato un accordo per la fornitura di 6 fregate e 15 elicotteri. Costo: 4 miliardi di euro. Più motovedette per 400 milioni di euro.

Alla fine la Merkel è riuscita a liberarsi di Papandreou, sostituito dal più docile Papademos. E i programmi militari ripartono: si progetta di acquisire 60 caccia intercettori. I budget sono subito lievitati. Per il 2012 la Grecia prevede una spesa militare superiore ai 7 miliardi di euro, il 18,2 per cento in più rispetto al 2011, il tre per cento del Pil. L’Italia è ferma a meno dello 0,9 per cento del Pil.
Siccome i pagamenti sono diluiti negli anni, se la Grecia fallisce, addio soldi. Ma un portavoce della Merkel è sicuro che «il governo Papademos rispetterà gli impegni». Chissà se li rispetterà anche il Portogallo, altro Paese con l’acqua alla gola e al quale Germania e Francia stanno imponendo la stessa ricetta: acquisto di armi in cambio di aiuti.

I produttori di armamenti hanno bisogno del forte sostegno dei governi dei propri Paesi per vendere la loro merce. E i governi fanno pressione sui possibili acquirenti. Così nel mondo le spese militari crescono paurosamente: nel 2011 hanno raggiunto i 1800 miliardi di dollari, il 50 per cento in più rispetto al 2001.

Quello delle pressioni di Germania e Francia per vendere armi alla Grecia in cambio di aiuti è uno "scenario verosimile" ha commentato l'ex capo di Stato maggiore dell'Aeronautica militare italiana, il generale Leonardo Tricarico, in un'intervista a Radio 24. "Questo scenario è verosimile, nel mondo del procurement militare oggi più di ieri stanno prevalendo valutazioni di carattere politico più che la bontà del prodotto vero e proprio", ha commentato Tricarico che ha definito abnormi e non giustificate le spese militari sostenute da Atene. Ingiustificate per Atene, ma non per Berlino, che negli ultimi anni ha rifilato all’esercito greco una enorme quantità di armi dismesse dalla Bundeswehr, armi di seconda mano. Gli arsenali greci sono stati riforniti di 170 panzer Leopard (valore 1,7 miliardi) e 223 cannoni semoventi corazzati. Per non parlare di quattro sommergibili del valore di quasi 3 miliardi di euro.

Fonte www.contropiano.org

lunedì 13 febbraio 2012

Siria, missione peacekeeping ONU-Attenti alle cortine fumogene sulla proposta della Lega Araba


Questa scheda sara' aggiornata,corretta ed integrata durante il percorso che avra' all'ONU e nell' opinione pubblica,italiana ed internazionale.
Ultima correzione 14 febbraio.
marcopa

La proposta della Lega Araba di una forza di interposizione dell' ONU in Siria viene presentata con le solite cortine fumogene.

La Lega Araba aveva gia' presentato una risoluzione al Consiglio di Sicurezza dove chiedeva all' attuale governo siriano di lasciare il potere. Inoltre finanzia l' opposizione, in particolare il CNS, che considera l' unico legittimo rappresentante della popolazione siriana.

In Libia abbiamo gia' visto quanto i paesi occidentali siano neutrali quando affermano di difendere i civili.

La novita'che ho conosciuto martedi' 14 febbraio e' che missione potrebbe essere vista con favore dalla Russia,ovviamente cio' che viene detto va sempre valutato con mille dubbi, alla propostal' attenzione di Mosca potrebbe pero' essere una occasione per costruirla in modo piu' corretto. Dovrebbe essere aperta una interlocuzione tra Russia e Cina e studiosi di peacekleepling e attivisti pacifisti internazionali.

Insomma questa proposta di peacekeeping ONU prendiamola seriamente ma sia seriamente di peacekeeping, quindi va seguita e valutata da chi studia questa materia e deve essere neutrale in maniera chiara.

Per ora chi chiede questa soluzione si e' distinto per bugie in serie in Siria e violenze in Libia.

Devono seguire la questione anche paesi veramente neutrali e studiosi indipendenti di peacekeeping.

La propaganda, la confusione alimentata con mezzi potenti,non fanno sperare niente di buono.
Abbiamo mezzi limitati, ma conosciamo i rischi di questa proposta messa in pratica da paesi Nato e della Lega Araba. Speriamo che altri pacifisti siano attenti e non firmino assegni in bianco a chi ha gia' truffato lo scorso anno.

Scheda di M.Correggia sul CNS ,Consiglio Nazionale Siriano

SIRIA. MENZOGNE MEDIATICHE.
QUARTA PUNTATA.

Chi è davvero e cosa chiede il Cns (Consiglio nazionale siriano), organizzatore della manifestazione del 19 febbraio a Roma

E’ stato il nuovo governo della Libia, frutto della guerra della Nato, il primo a riconoscere già lo scorso ottobre come “legittimo rappresentante del popolo siriano” il Consiglio nazionale siriano (Cns), in inglese Syrian National Council
(http://latimesblogs.latimes.com/world_now/2011/10/syria-libya-opposition.html). Il Cns a sua volta aveva riconosciuto il Cnt libico già prima della conquista di Tripoli.

Basato in Turchia (ma il suo leader Bhouran Gharioun vive a Parigi da decenni; sostiene però di rappresentare l’80% dei siriani), il Cns, attraverso i suoi “osservatori sui diritti umani” da Londra e i cosiddetti “Comitati di coordinamento locale”, è la fonte quasi esclusiva delle notizie pubblicate sui media che accreditano la versione di una “rivolta a mani nude contro il dittatore”. Peraltro c’è uno scontro interno fra “attivisti” che si accusano reciprocamente (vedi la Seconda puntata di questa serie).

A differenza dell’altra opposizione che vuole il negoziato e non accetta la lotta armata né l’ingerenza, il Cns rifiuta ogni negoziato e mediazione (come il Cnt libico, a suo tempo).Non ne ha bisogno, perché ha trovato molti alleati fra i paesi occidentali e petromonarchici, ai quali ha chiesto da tempo l’imposizione di una no-fly zone “per la protezione dei civili” (per esempio in ottobre: http://globalpublicsquare.blogs.cnn.com/2011/10/11/time-to-impose-a-no-fly-zone-over-syria/; e in gennaio: http://www.wallstreetitalia.com/article/1307700/siria-opposizione-invoca-intervento-onu-serve-no-fly-zone.aspx). Del resto come vari analisti hanno spiegato, anche nel caso siriano la no-fly zone non avrebbe senso e dovrebbe piuttosto sfociare in un vero e proprio sostegno aereo anti-governativo o Cas (close air support).
Il Cns ha stretto in dicembre un patto di collaborazione (http://www.nytimes.com/2011/12/09/world/middleeast/factional-splits-hinder-drive-to-topple-syrias-assad.html?_r=1&pagewanted=all)
con il cd Esercito siriano libero (Free Syrian Army).

Il rappresentante del Cns in Italia e organizzatore della manifestazione a Roma del prossimo 19 febbraio (che ha già avuto diverse adesioni di associazioni italiane) è Mohammed Noor Dachan. Sul sito del Syrian National Council risulta affiliato come appartenente alla Muslim Brotherhood Alliance (http://www.syriancouncil.org/en/members/item/241-mohammad-nour-dachan.html). Egli sostiene che l’Esercito siriano libero “sono soldati, sottufficiali e ufficiali che hanno scelto di rifiutare di sparare alla gente comune disarmata e non è un esercito di guerra, ma ha solo l'obiettivo di difendere le manifestazioni”. La realtà appare molto diversa.

Il cd Esercito libero appare responsabile di uccisioni di soldati e civili siriani (ci sono elenchi nominativi documentati) e atti di sabotaggio e terrorismo (di recente decine di morti in esplosioni ad Aleppo).

Accanto all’Esercito siriano libero, l’intervento armato occidentale e petromonarchico c’è già e da tempo. Non sotto forma di bombardamenti ma di finanziamenti e invio di armi, consiglieri e mercenari. In appoggio a gruppi armati anti-Assad. Che il Cns avalla e con i quali collabora. Mentre la Turchia offre la base logistica alla Free Syrian Army, Qatar e altri paesi non fanno mistero del loro appoggio “diplomatico” e finanziario e in armi; a metà gennaio lo sceicco Bin Khalifa Thani ha dichiarato la volontà di mandare truppe. Inglesi e francesi hanno confermato di aver mandato unità ad assistere i rivoltosi. Sono state scoperte armi inglesi avviate clandestinamente. A Homs truppe inglesi e qatariote dirigono l’arrivo di armi ai ribelli e consigliano sulle tattiche della battaglia, secondo il sito israeliano Debka file.

Da tempo l’opposizione siriana ottiene quotidianamente partite di armi (http://rt.com/news/syria-opposition-weapon-smuggling-843/). Obama chiede apertamente di sostenere gli armati anti-Assad e pensa di replicare i successi libici: nessun uomo, nessun morto, ma consiglieri e molti soldi. Fonti americane rivelano al Times un piano in fase di elaborazione da parte di Stati Uniti e alleati per armare i ribelli. Indiscrezioni che si incrociano con quelle del Guardian sulla presunta presenza di reparti speciali britannici e americani al fianco degli insorti, così come quella del sito israeliano Debka su una infiltrazione sul terreno, a Homs, di consiglieri militari sia britannici sia del Qatar. A queste indiscrezioni la Russia ha reagito affermando che si tratta di informazioni ''allarmanti'', secondo il portavoce del ministero degli Esteri, Aleksandr Lukashevich (http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-mondo/siria-homs-strage-senza-fine-times-piano-1113360/www.peacelink.it).

Poi ci sono i mercenari libici. A dicembre il presidente del Consiglio nazionale siriano Burhan Ghalioun incontra a Tripoli i nuovi dirigenti. E scatta il piano che porta diverse centinaia di volontari libici in Siria, sparpagliati tra Homs, Idlib e Rastan (http://www.corriere.it/esteri/12_febbraio_10/olimpio-siria-insorti_a9528996-53da-11e1-a1a9-e74b7d5bd021.shtml). La missione è coordinata dall’ex qaedista Abdelhakeem Belhaj, figura di spicco della nuova Libia, e dal suo vice Mahdi Al Harati.

Intanto il sito di petizioni Avaaz, dopo aver diffuso per la Libia notizie di bombardamenti su civili (http://www.avaaz.org/it/libya_stop_the_crackdown_eu) in seguito ampiamente smentite, invita alla "battaglia mondiale" per la Siria dicendo: "Questo è il culmine della primavera araba e della battaglia mondiale contro i despoti sanguinari".

Dalla lista Pace di Peacelink.it
consultabile da tutti




domenica 12 febbraio 2012

Riflessioni sul rapporto degli osservatori della Lega Araba in Siria


Riflessioni sul rapporto degli Osservatori della Lega Araba in Siria
di Gustavo Pasquali*

La pubblicazione del rapporto redatto dal capo della missione degli osservatori della Lega Araba, che su incarico della stessa è stata presente in Siria e la sua attenta lettura, ci fa capire ancora meglio quanto sta realmente avvenendo in quel paese.

Prima di entrare nel vivo delle considerazioni che la relazione mi porta a fare vorrei spendere due parole sulla sua parte finale, dove il generale MuhammadAhmad Mustafa Al-Dabi riporta le insufficienze di preparazione di alcuni dei suoi uomini, o come altri fossero troppo anziani per questo tipo di incarico, o, purtroppo, come altri ancora hanno tentato di fare la cresta sui rimborsi (sic!), altri invece mandavano rapporti esagerati direttamente ai loro governi, scavalcando il Capo Missione, dove riporta le carenze dei mezzi con cui la missione ha dovuto operare (10 radio a due vie gliele ha regalate sul posto l’Ambasciata cinese….) e l’azione di alcuni mass-media che da subito hanno tentato di screditarne l’azione pubblicando notizie non vere o gonfiate.

Tutto questo mi fa ritenere che da parte dei promotori della missione non ci fosse già dall’origine una reale volontà di mettere in campo una macchina funzionante ed efficiente, ma soltanto di creare un alibi che giustificasse un futuro intervento, la serietà della maggior parte dei componenti della missione ha però fatto fallire il piano, e così dopo soli 23 giorni la missione è stata ritirata, infatti non stava trovando nulla di eclatante contro il governo siriano, e dall’altra parte scopriva invece molte magagne, e riportava le cose come erano realmente.

La lettura della prima parte del rapporto invece, quella che riporta quanto accertato e visto, rafforza le mie convinzioni su un forte intervento esterno che mira a cambiare il governo siriano con uno allineato al blocco arabo-islamico-sunnita che Arabia Saudita e Qatar stanno costruendo nella regione del medio oriente e del nord Africa.

Il Governatore di Homs, non smentito dagli osservatori della Lega Araba, valuta gli insorti armati nella sua città in 3.000 unità, chi li ha riforniti di munizioni per tutto questo tempo? (i media non hanno dato notizia di assalti riusciti agli arsenali militari del governo siriano, quindi armi e munizioni – queste in grande quantità – vengono per forza da fuori), lo stesso Governatore lamenta rapimenti e sabotaggi a infrastrutture civili da parte degli insorti.

Ad Homs comunque gli osservatori riescono a mettere in piedi una specie di tregua, con restituzione di automezzi militari catturati da parte degli insorti, scambio di cadaveri tra le due parti, liberazione di 5 prigionieri politici da parte delle autorità.

Anche ad Hama l’intervento degli osservatori porta alla cessazione degli scambi di colpi di arma da fuoco tra le parti, gli stessi osservatori riescono a far rimuovere uomini e mezzi dell’esercito da molte città e quartieri residenziali: oltre alle armi c’è quindi un’altra via per risolvere le questioni, ma forse non si vuol seguire.

Ovviamente le violenze non sono cessate, gli insorti hanno attaccato i governativi, il rapporto parla di attacchi a Dera’a, Homs, hama e Idlib degli insorti contro i governativi che causano morti e feriti, ed a detta del rapporto non sempre i governativi rispondono al fuoco, vengono usati da parte degli attaccanti anche razzi e proiettili perforanti. Gli insorti hanno bombardato un treno che trasportava gasolio e sempre ad Homs hanno fatto saltare un autobus della polizia causando la morte di due ufficiali.

Siccome non sono nato ieri ritengo che anche i governativi hanno fatto le loro brave porcate, ed il fatto che non siano dettagliatamente riportate nel rapporto non vuol dire che non ci siano state, basta vedere le contestazioni agli osservatori fatta da filogovernativi a Latakia, con il ferimento di due componenti della missione.

Ma a riprova che c’è un’altra maniera per risolvere le questioni oltre alle armi, il 17 gennaio, ci dice sempre il rapporto, ci sono state una serie di manifestazioni pro e contro il governo in alcune città senza nessun incidente.

Il rapporto ci dice anche che alcune denunce di violenze, esplosioni e cose simili presentate agli osservatori non hanno retto alla verifica dei fatti, ovvero si trattava di menzogne.

Il rapporto dichiara inoltre che i media hanno esagerato la natura degli incidenti, il numero degli uccisi e le proteste di alcune città. Non c’è bisogno di fare un grande ragionamento perché il ruolo del “circo mediatico” relativamente a quanto sta succedendo nel mondo arabo lo dovremmo avere tutti ben chiaro.

Il rapporto ci dice anche che sostanzialmente il governo siriano non ha ostacolato la missione della Lega Araba, ma ha cercato di agevolarla, anche se non pienamente e con alcune zone d’ombra.

Il 15/1/2012 il Presidente Assad ha varato una amnistia generale per gli eventi del 15 marzo 2011, e ha dichiarato di aver scarcerato gradualmente, alla data del 19/1/2012, 3.569 arrestati, gli osservatori accertano la liberazione sicura di 1.669 persone; prima dell’amnistia il governo siriano afferma di aver comunque liberato 4.035 prigionieri, e gli osservatori hanno certificato che è sicuramente vero per 3.569 di loro. A fronte delle dichiarazioni del governo di aver complessivamente liberato 7.604 prigionieri ne risultano veritieri e certificati dagli osservatori 5.152, per dei biechi repressori la cosa non è male!!!

Gli oppositori “esterni” avevano denunciato agli osservatori 16.237 prigionieri politici, mentre gli oppositori “interni” ne avevano denunciati 12.005; gli osservatori hanno rilevato discrepanze nelle liste avute dagli oppositori, informazioni errate e non accurate e nomi ripetuti, ma intanto nei media viaggiano i “numeri al lotto” delle opposizioni e si oscura il lavoro degli osservatori.

E, dulcis in fundo, il rapporto afferma che il giornalista francese ucciso ad Homs (si tratta di Gilles Jacquier, ucciso l’11 gennaio 2012) è stato ucciso da una bomba di mortaio dell’opposizione. E infatti il giornalista francese si trovava ad una manifestazione di cittadini pro-governo; per come è stata trattata la notizia tutto il meccanismo mediatico mi ha ricordato quello della strage del mercato a Sarajevo del 17 febbraio 1994: i bosniaci si sono bombardati, e la colpa è stata dei serbi!

Dal rapporto si evincono poi due cose importantissime, una negativa ed una positiva, quella negativa è la scoperta di una “entità armata” che ha attaccato indiscriminatamente sia i soldati governativi che i manifestanti antigovernativi, e questa cosa ci deve far riflettere molto circa quanto sta succedendo in Siria e su chi soffia sul fuoco, quella positiva e che :” i cittadini ritengono che la crisi debba essere risolta in modo pacifico attraverso la sola mediazione araba, senza ricorrere all’intervento internazionale”.

Gli spiragli per una soluzione pacifica ci sono ancora, si stanno restringendo ma ci sono ancora, spetta a tutti noi non farli chiudere.

* Comitato con la "Palestina nel cuore"

Fonte www.contropiano.org

14 Febbraio,il re del Bahrain teme l'anniversario della rivolta di San Valentino e arresta i possibili testimoni


Il regime sunnita teme la manifestazione di San Valentino

Violenze e minacce in Bahrain
Re Hamad fa arrestare i testimoni
di Michele Giorgio

Si aggrava la situazione in Barhain. Le forze di sicurezza della monarchia (assoluta) appoggiate dalle truppe saudite, entrate nel paese un anno fa, sono impegnate a impedire con il pugno di ferro le iniziative del movimento popolare per la democrazia e i diritti. Iniziatve che culmineranno in una manifestazione a Manama di decine di migliaia di bahraniti il 14 febbraio, anniversario della rivoluzione - repressa nel sangue un mese dopo. Gli attivisti programmano di dare vita ad una tendopoli per chiedere l' elezione di un parlamento "vero". Richiesta respinta dalla monarchia che non vuole cedere i suoi poteri.

La mano pesante dei servizi di sicurezza del re sunnita Hamad al Khalifa - che regna su una maggioranza di sciiti - si fa sentire anche sugli stranieri. Nelle ultime ore diversi reporter e attivisti dei diritti umani sono stati respinti all' arrivo all' aeroporto di Manama. Ieri due straniere, l' avvocata palestinese americana Huwaida Arraf e Radhika Sainath - entrambe attive con l' International solidarity movement nei Territori occupati palestinesi - sono state arrestate nei pressi della Standar Chartered Bank di Manama (il fermo e' stato filmato e messo in rete http://yfrog.com/nfzg5z) mentre partecipavano ad una manifestazione pacifica. Arraf e Sainath, che verranno espulse nelle prossime ore, si trovano in Bahrain per partecipare come monitors alle attivita' della Witness Bahrain initiative. Testimoni hanno riferito che le due donne sono state circondate dagli agenti e percosse prima di essere spinte con la forza nelle jeep della polizia. In serata le autorita' hanno oscurato il sito della loro organizzazione (http://www.witnessbahrain.org) e altri media legati alle proteste popolari.

"La polizia ha anche disperso con la forza le manifestazioni dirette verso la piazza della Perla (dove l' anno scorso si concentro' la protesta contro la monarchia, ndr) ma la repressione non fermera' chi vuole democrazia e uguaglianza tra tutti i cittadini", prevede Nabil Rajab, direttore del Centro bahranita per i diritti umani . Per il governo la polizia avrebbe risposto alla "violenza dei dimostranti".
Ieri a Manama e' stato anche il giorno delle squadracce Fateh (conquistatori) che, attraverso contromanifestazioni a Manama e in altre localita' del piccolo arcipelago, tentano di intimidire chi protesta contro il re. Ma vogliono anche ribadire il dominio dei sunniti giunti duecento anni fa dalla penisola arabica da "conquistatori" in Barhain.

Ieri i Fateh sfilavano per le vie del centro della capitale sventolando le bandiere dell' Arabia Saudita, per sottolineare i legami strettissimi con Riyadh che gia' un anno fa corse in soccorso di re Hamad.
"La monarchia fa di tutto per alimentare il conflitto tra sunniti e sciiti e denuncia le manovre dell' Iran, ma quella bahranita e' una societa' cosmopolita, aperta al mondo esterno, formata da giovani che guardano ad un futuro migliore. In piazza a chiedere riforme e diritti ci vanno tutti: musulmani, cristiani, bahai, uomini e donne", spiega la sunnita Reem Khalifa, la giornalista piu' nota del Bahrain. "Questa non e' una rivoluzione sciita ma la rivoluzione di tutti i cittadini. Purtroppo la comunita' internazionale non vede il Bahrain e non ci offre il sostegno che ci occorre per spingere il re ad approvare le riforme".

Piu' che alla comunita' internazionale Reem Khalifa dovrebbe rivolgere le sue critiche all' Europa e, soprattutto, agli Stati Uniti, protettori del fedele alleato re Hamad che ospita in Bahrain la base della V Flotta americana, una delle piu' importanti perche' di fronte all' Iran.
Michael Posner, sottosegretario di stato Usa per i diritti umani, due giorni fa, a proposito dell' aumento della tensione in Bahrain, si e' limitato ad esortare la monarchia a rinunciare "ad un uso eccessivo della forza" contro i dimostranti.

Fonte Il Manifesto del 12 Febbraio 2012

venerdì 10 febbraio 2012

Guerre contro il clima- di M.Correggia



Dalla rubrica Terra Terra del Manifesto

AMBIENTE

Guerre contro il clima
di Marinella Correggia

Le guerre sono una delle più energivore tra le attività umane, anche se i movimenti «per la giustizia climatica» non hanno ancora fatto questo collegamento. Gli interventi bellici, e l'arsenale militare permanente (armi e basi) che richiedono, provocano un gigantesco consumo di combustibili fossili con relativa emissione di gas serra. E le guerre di aria, terra e acqua impiegano aerei, navi e carrarmati sempre più grandi e voraci di energia.
Sul Pentagono si sofferma uno studio recente, The US Military Assault on Global Climate, pubblicato da Patricia Hynes su Science for Peace Bulletin. Fra gli attori istituzionali, fa notare, è il maggiore singolo utilizzatore finale di prodotti petroliferi e di energia al mondo.

Nel 1940 il settore militare Usa consumava solo l'1% dell'energia totale del paese; alla fine della Seconda guerra mondiale era il 29%. Nel 2003 lo stesso esercito Usa stimava che la guerra all'Iraq costasse circa 148 milioni di litri di carburante ogni tre settimane. Fra il 2003 e il 2007 quella costosa guerra ha provocato l'emissione di almeno 140 milioni di tonnellate di anidride carbonica, più delle emissioni totali di 139 paesi al mondo. Tutto ciò senza contare, in questa disastrosa contabilità climatica di guerra, le distruzioni e successive ricostruzioni: infrastrutture, case, ponti - fare il cemento è altamente energivoro.

I consumi del Pentagono sono quasi un segreto; secondo alcuni calcoli si aggirerebbero intorno al milione di barili al giorno, contribuendo alle emissioni di gas serra in una misura pari al 5% del totale. L'aereo da guerra F-4 Phantom brucia oltre 5.920 litrii di kerosene all'ora arrivando a 53.280 litri per la velocità supersonica. Un quarto del kerosene da jet consumato nel mondo va a questi dèmoni volanti. Come l'aviazione civile, l'aviazione militare pesa in proporzione di più sul clima perché le emissioni di gas serra per unità di carburante sono quasi il triplo di quelle di diesel e petrolio; è il cosiddetto «effetto radiativo» delle operazioni ad alta quota.

Eppure il Pentagono è esonerato da qualsiasi tetto alle emissioni, meccanismo di compensazione, tassazione ad hoc, impegno di riduzione, o dal fare rapporto a organismi nazionali e internazionali. E questo, spiega l'articolo citato, perché nel 1997, ai negoziati per il Protocollo di Kyoto (il primo accordo internazionale per limitare le emissioni globali), gli Usa imposero al mondo l'esenzione dai limiti di emissione per i carburanti cosiddetti «bunker» (usati da navi e aerei) e per tutte le emissioni relative alle operazioni militari a livello mondiale. Dopo il danno, la beffa: ben presto Bush figlio stracciò l'adesione del suo paese al Protocollo di Kyoto.

Poiché per assicurare la disponibilità e l'approvvigionamento in combustibili fossili esteri occorrono attività militari possenti (controllo e intervento), le emissioni di gas serra imputabili a tali operazioni andrebbero incluse nel costo ambientale dei combustibili fossili. Un migliaio di basi militari Usa traccia un arco nero dalle Ande al Nord Africa e dal Medio Oriente fino a Indonesia, Corea del Sud e Filippine, ricalcando la distribuzione delle principali risorse, e rotte, fossili. Si chiama «sicurezza energetica».

Lo sforzo americano per assicurarsi un accesso permanente al petrolio del Medio Oriente risale al 1945, con la costruzione di una base militare a stelle e strisce a Dahran, Arabia Saudita: comincia lì la protezione militare dei petromonarchi in cambio di petrolio a buon mercato.
Conclude l'autrice: in queste «soluzioni» militarizzate che trascurano scelte pacifiche alternative c'è anche un fattore culturale - l'identità statunitense, il «destino manifesto», la mentalità della frontiera, l'individualismo...

Fotovoltaico-Le potenzialita' delle energie rinnovabili in Africa


Quando senza la rete il fotovoltaico batte il diesel

Nel mondo 1,4 miliardi di persone non hanno accesso all'elettricità, in Africa sono 600 milioni. Per portarla a chi non ce l'ha, in gran parte del continente africano il fotovoltaico è l'opzione economicamente più conveniente, mostra un report appena pubblicato dal Joint Research Center della Commissione europea.
Giulio Meneghello
09 febbraio 2012

Il futuro dell'energia, è la visione di questa testata, non può che essere incentrato su efficienza energetica e fonti rinnovabili. Se questo è vero in sistemi energetici “maturi” come quelli occidentali, che vanno rivoluzionati sostituendo le fonti tradizionali con le fonti pulite, lo è tanto di più in quelle vaste zone del mondo in cui l'accesso all'energia è ancora un problema e il sistema è in larga parte ancora tutto da costruire.

Nel mondo (dicono dati 2010 di OECD-IEA) circa 1,4 miliardi di persone, di cui l'85% in aree rurali, non ha accesso all'elettricità e un altro miliardo è servito da reti inaffidabili. Servire questa grossa e crescente fetta di umanità con le rinnovabili, anziché con fonti inquinanti, non è solo una necessità ma anche un'opzione economicamente conveniente. Lo spiega ad esempio uno studio sulle rinnovabili in Africa pubblicato ieri dal Joint Research Center della Commissione europea (vedi allegato).

In Africa a non avere accesso all'elettricità sono circa in 600 milioni di persone, una cifra che aumenta di circa 9 milioni all'anno. Lo studio JRC analizza in generale il potenziale delle rinnovabili nel continente (peraltro per sua stessa ammissione in maniera poco esaustiva), ma la parte interessante dello studio è quella in cui si fanno delle stime del modo più conveniente di portare l'elettricità nelle varie zone dove non c'è ancora: estendendo la rete elettrica, con mini-reti legate a generatori diesel o con mini-reti alimentate da impianti fotovoltaici (mancano purtroppo analisi sulla competitività di altre rinnovabili, come eolico, mini-eolico o mini-idroelettrico).

Per definire la convenienza, l'analisi incrocia vari dati per le diverse zone del continente: densità di popolazione, distanza dalla rete elettrica, costo del diesel e del suo trasporto e produttività del fotovoltaico. Come sappiamo in Africa un impianto FV in certe aree produce anche il doppio di quello che rende al Nord Italia o in Europa Centrale. D'altra parte in vari paesi africani il diesel è incentivato e fornito a prezzi stracciati: è il caso soprattutto del Nord Africa, dove lo sviluppo di un enorme potenziale sia di fotovoltaico che di eolico è frenato da combustibili fossili sottocosto. Se i governi iniziassero a incentivare anche il solare la sua convenienza non avrebbe confronti.

Nella due mappe sotto vedete il costo del chilowattora prodotto con le due fonti. A sinistra il fotovoltaico (ipotizzando un impianto da 15 kWp) con le zone più convenienti in giallo chiaro. A destra il diesel, con zone più scure dove questo costa meno.

Il risultato del confronto è che comunque, anche senza incentivi per il fotovoltaico e con il diesel sussidiato, il sole conviene in gran parte del continente. Lo si vede bene dalla mappa sotto: i paesi in cui il generatore diesel resta più conveniente sono in marrone, ma in tutti gli altri, a seconda delle diverse tonalità di giallo, dove la rete non arriva, costerebbe meno produrre con impianti fotovoltaici stand-alone o in mini-reti.

Estendere la rete elettrica non è mai conveniente in aree con popolazione al di sotto dei 50 abitanti per chilometro quadrato, come si verifica in vaste aree africane. Se nel confronto si inserisce anche il costo di portare la rete elettrica laddove non c'è otteniamo quest'altra mappa (vedi sotto). Qui viene fissato un limite di costo 30 centesimi di euro per kWh e si individua in quali aree le tre diverse opzioni riescono a non sorpassarlo.

Nelle zone in giallo il fotovoltaico è l'unica opzione competitiva, in quelle in marrone scuro lo è solo il diesel, mentre dove è arancione conviene estendere la rete. Nelle aree in rosso sia FV che diesel sono sotto al limite di costo, nel blu sono competitive sia rete che FV mentre dove è azzurro le tre opzioni sono più o meno equivalenti.

Restano le ampie zone in verde: qui né estendendo la rete, né con il diesel né con il fotovoltaico si riesce a stare sotto ai 30 cent/kWh. In queste aree sarebbe interessante analizzare i costi di altre opzioni, che potrebbero essere convenienti: si pensi al mini-idroelettrico nei molti villaggi sulle rive dei fiumi nell'Africa equatoriale.

Allegati
JRC - Screening Africa's renewable energies potential
Giulio Meneghello
09 febbraio 2012

Fonte www.qualenergia.it