mercoledì 11 agosto 2010

L' epidemia della paura e la fabbrica del razzismo di Giuseppe Prestipino


Qualsiasi dicotomica frattura tra migranti e nativi è improponibile, anche perché noi umani siamo tutti migranti, se consideriamo le nostre origini più remote. Il razzismo come ideologia moderna ha radici in America. Scriveva Gramsci: «Per il Grant i mediterranei sono una razza inferiore e la loro immigrazione è un pericolo; essa è peggiore di una conquista armata e va trasformando New York e gran parte degli Stati Uniti in una "cloaca gentium"». Ma la fuga dal proprio paese è causata proprio da una guerra di conquista, più spesso da una guerra economica portata dalla modernizzazione occidentale con le armi delle monoculture industrializzate, con la rapina delle risorse minerarie altrui, con i brevetti estesi anche ai prodotti locali e ancestrali. Sono eliminate o soffocate le attività lavorative tradizionali perché, là dove vivono tre quarti della popolazione mondiale e metà degli abitanti sono contadini, «il paese più progredito vende le sue merci al di sopra del loro valore, benché più a buon mercato» dei concorrenti. Così scriveva Marx. La sconfitta del razzismo, dunque, non è uno dei nostri problemi; è il problema, sia nel conflitto tra lavoro e capitale, sia nella ricerca di una via di uscita dalla crisi della democrazia e dello Stato nazione. La cittadinanza agli immigrati è tanto più rifiutata quanto più si aggrava, nei nostri paesi, la crisi della cittadinanza in generale.
E' un «apartheid a livello globale», sostiene Samir Amin, conseguente a «una accumulazione per esproprio» che, come quella primitiva, permane in tutta la storia del capitalismo. Vi è chi vede e teme, invece, un sistema che include le sue vittime. Direi che include nel suo "pensiero unico" anche gli esclusi. Dividendoli e stratificandoli su molteplici livelli di crescente esclusione, il sistema li fa nondimeno partecipi della sua dura logica competitiva, incitando alla lotta degli ultimi contro gli ultimissimi. Anche oggi il potere di vita e di morte è esercitato dalla "razza padrona", non tanto con gli spari delle varie Rosarno, quanto con i naufragi senza soccorso, con le leggi che vietano gli sbarchi dei clandestini e di fatto ne decretano la pena capitale. L'odio dell'europeo incolto verso gli immigrati misconosce l'irreversibilità dei processi che hanno oggi unificato il mondo, pur se pessimamente. Non sa neppure che, tra pochi decenni, gli "altri" (oggi in grande maggioranza tra la popolazione mondiale, per il peso demografico dei continenti extra-europei) saranno maggioranza anche in ciascuno dei nostri paesi. L'europeo incolto ignora che dalle divisioni tra i lavoratori anche quelli metropolitani sono colpiti nei loro salari e nel loro tenore di vita
Ma, oltre che da abissale incultura, l'odio per l'immigrato affiora da una sorta di inconscio collettivo di auto-colpevolizzazione. Giacché quell'europeo infelice, nel temere che ogni immigrato sia un criminale per nascita o per vocazione, trasferisce e vede in lui incarnata proprio la criminalità degli stessi popoli "civili" colonizzatori che, nei secoli, hanno massacrato e umiliato la sua gente e hanno depredato la sua terra, con industriosi e moderni impedimenti frapposti all'esercizio delle sue laboriose virtù secolari, alla sua agricoltura "primitiva" ma in passato sufficiente per procurargli acqua, alimenti e vita.
Se negli anni della guerra fredda i lavoratori occidentali lottavano con successo, anche perché presumevano (o si illudevano) di ricevere dai paesi est-europei un esempio e un incitamento, gli odierni bassi salari est-europei offrono un duplice vantaggio al capitale globale che, minacciando di trasferire in Polonia e in Serbia altri stabilimenti ancora ubicati a Pomigliano o a Termini Imerese o anche a Mirafiori, può suscitare rivalità e divisioni tra i lavoratori italiani e quelli serbi o polacchi. Questa nuova tecnica del dominio convince forse non pochi lavoratori che, per venir fuori dalla crisi, unici rimedi sarebbero abbassare i salari, cancellare i diritti (anche costituzionali) e assecondare i disegni delle imprese. La condivisione popolare del neoliberismo ricondurrà le maggioranze a votare per le destre, nelle probabili elezioni politiche, e quindi farà della democrazia autoritaria e populista un mezzo più efficace del fascismo per salvaguardare, egemonicamente, il dominio delle forze conservatrici?
Dunque, il nuovo razzismo non è soltanto un fenomeno di imbarbarimento e di miseria morale. Esso risponde a una logica intrinseca scientemente architettata dal nuovo capitale globale per addossare la sua crisi organica al lavoro dipendente. La forzosa sottomissione degli immigrati è un ostacolo che impedisce le lotte unitarie e perciò immobilizza anche i nativi, la cui frammentazione-frustrazione (invece che incitarli contro il padronato, artefice della manovra) si lascia facilmente incitare all'odio razzista verso gli stessi immigrati, con i quali i nativi dovrebbero, al contrario, attivamente solidarizzare per difendere anche se stessi. Si mobilitino, per la solidarietà e per i diritti universali, anche i più pigri tra gli intellettuali. A seguito della manifestazione del 17 ottobre 2009, abbiamo tenuto un seminario nell'Università Roma 3, al quale hanno dato voce, insieme con il sottoscritto, Alberto Burgio, Raniero La Valle («razzismo e xenofobia hanno culturalmente innervato e accompagnato per secoli la storia e la filosofia dell'Occidente. In Italia quei fantasmi ritornano»), Giacomo Marramao, Raul Mordenti, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Dario Renzi, Annamaria Rivera e Mario Tronti, il quale ha definito gli immigrati «una sotto-classe, un sottoproletariato moderno, parte di un esercito globale di riserva, al comando della produzione, della circolazione e dello scambio capitalistici. Con dentro, una sorta di divisione etnica del lavoro. Sta di fronte al movimento operaio dei paesi sviluppati il compito di un nuovo internazionalismo».

Giuseppe Prestipino

Fonte www.liberazione.it

domenica 8 agosto 2010

Ungheria si ribella a UE e FMI

DI JEROME DUVAL
mondialisation.ca

L'Ungheria, che dal 1 ° gennaio 2011 assumerà per sei mesi la presidenza dell'UE , subisce pesantemente le conseguenze di una crisi finanziaria che sembra non finire. Pur non essendo così distante dai parametri di Maastricht in materia di deficit pubblico (3,8% nel 2008), l'Ungheria è il primo paese dell'Unione europea ad aver ottenuto il sostegno finanziario della Troika costituita da: Fondo Monetario Internazionale, Unione Monetaria e Bce (Banca Mondiale)

Nel mese di ottobre 2008 è stato concordato un piano di finanziamento di 20 miliardi di euro: 12,3 miliardi messi a disposizione dal FMI, 6,5 dall’Unione europea e uno dalla Banca Mondiale. Lo stock del debito è cresciuto in maniera automatica: oltre alla perdita secca dovuta al pagamento degli interessi, che aggrava il deficit, alla popolazione sono state imposte pesanti condizioni, l'aumento di 5 punti percentuali di IVA, attualmente al 25%, l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni, il congelamento per due anni dello stipendio dei funzionari, la soppressione della tredicesima per i pensionati, la riduzione degli aiuti pubblici all'agricoltura e al trasporto ...



L'estrema destra entra in Parlamento

In passato l’Ungheria, governata dai socialdemocratici, era riuscita a tenere in piedi un sistema di relative garanzie sociali, ma l'attuazione delle misure di austerità imposte dal FMI, ha scontentato la popolazione e giovato alla destra conservatrice, che nell’aprile 2010 ha vinto le elezioni legislative. La vittoria del nuovo primo ministro conservatore, Viktor Orban, è stata accolta con favore dall’agenzia Fitch Ratings secondo la quale il partito di Orban, Fidesz, che ha ottenuto la maggioranza necessaria per modificare la Costituzione "rappresenta un'opportunità per introdurre riforme strutturali”. (1) I socialdemocratici hanno riportato una sconfitta storica aprendo la strada all’estrema destra (Jobbik) che per la prima volta è entrata in parlamento con la percentuale del 16,6% .

Non appena insediatosi, il governo ha diffuso dichiarazioni allarmistiche sulla situazione finanziaria del paese, chiamando in causa una sottostima dei conti da parte del precedente esecutivo che, in realtà, avrebbe portato al 7,5 % il rapporto tra il deficit e il PIL, ben al di sopra quindi del 3,8% previsto dal Fondo monetario internazionale. Bluff o falsificazione dei conti? In seguito a queste dichiarazioni, il 5 giugno 2010, il panico fa crollare le Borse di Londra, Parigi, Budapest ... e l'euro si deprezza nel timore di una crisi simile a quella della Grecia. Il governo sotto pressione, nel tentativo di recuperare, diffonde comunicati per tentare di calmare gli speculatori.

Tassazione del capitale o del lavoro ?

Per contenere il deficit al 3,8% del PIL nel 2010, come concordato con il Fondo monetario internazionale e l'UE, il governo sta lavorando all’approvazione di una tassa straordinaria sull’intero settore finanziario, che permetterebbe di prelevare lo 0,45% dell’attivo dichiarato dalle banche (calcolato non sul profitto, ma sul fatturato), di tassare fino al 5,2% le entrate delle compagnie assicurative e fino al 5,6% quelle degli altri istituti finanziari (borse, agenti finanziari, gestori di fondi d’investimento ...). L’Ungheria supera così Obama che ha annunciato una tassa sulle banche dello 0,15% solamente. Ma questo provvedimento, che dovrebbe garantire un gettito di 650 milioni di euro l'anno per due anni (2010 e 2011), circa lo 0,8% del PIL secondo le stime del governo, non piace alle banche che fanno pressione minacciando di ritirare gli investimenti in Ungheria. Il Fondo monetario ha dal canto suo sospeso i negoziati avvertendo che chiuderà il rubinetto del credito concesso nel 2008, e questo nonostante che il piano di finanziamento, con scadenza inizialmente prevista a marzo 2010, fosse stato prorogato a ottobre dello stesso anno.

E’ evidente che il piano di tassazione delle banche, vero pomo della discordia tra l'Ungheria e Fmi, costituisce l’ostacolo al proseguimento del prestito. Il Fondo ritiene che il paese dovrebbe adottare misure in linea con il dogma corrente neoliberista: col che s’intende tassare i poveri prima delle banche. Certamente i poveri hanno pochi soldi…ma ce ne sono tanti!... A qualcuno sfugge il cinismo?

Inoltre, la previsione di un tetto agli stipendi dei dipendenti pubblici, compreso il governatore della banca centrale, è in netto contrasto con le raccomandazioni del Fondo che preferisce un livellamento “dal basso” attraverso la riduzione o il congelamento dei salari, com’è avvenuto in Grecia o in Romania. Attenzione a non farsi illusioni su un partito di governo che già nel 1990 aveva favorito l’ingresso del neoliberismo...

« O la tassa sulle banche, o l’austerità»

Christoph Rosenberg, capo della delegazione del Fmi in Ungheria, riporta la richiesta di maggiori dettagli sul bilancio del prossimo anno da parte dell'organizzazione internazionale: "Quando torneremo, sempre che non sia la settimana prossima, il governo avrà proseguito nella definizione del bilancio 2011 e sarà un bilancio molto importante". (2).
Ancora una volta il Fondo monetario internazionale si appresta a riesaminare la copia del governo e interviene direttamente nella definizione del bilancio ungherese a dispetto dalla sua sovranità. Nell’attesa, il FMI stima che il paese dovrà prendere "misure supplementari" di austerità per raggiungere gli obiettivi di disavanzo che si è dato. Dal canto suo il ministro dell'Economia, Gyorgy Matolcsy ha dichiarato in un’intervista che: "Abbiamo detto (ai nostri partner N.d.T.) che non c’è modo di aggiungere ulteriori misure di rigore a quelle già prese [...].: da cinque anni stiamo applicando un piano di austerità , e quindi è fuori questione”.
"Applicheremo la tassa sulle banche, sappiamo che si tratta di un fardello pesante, ma sappiamo anche che possiamo raggiungere (l'obiettivo), del 3,8% di disavanzo ". “O la tassa sulle banche, o l'austerità" Ha anche aggiunto (3). Per contenere un’estrema destra in continua ascesa, la destra conservatrice al potere vuole evitare misure impopolari in vista delle prossime elezioni comunali previste per ottobre e respinge qualsiasi ulteriore negoziato con il Fondo.

Rottura delle trattative tra Ungheria e FMI ?

Il 17 luglio il FMI ha sospeso le trattative e, di conseguenza, l’utilizzo della parte residua del credito. La reazione dei mercati non si è fatta attendere, e il fiorino, la moneta nazionale, ha perso circa il circa il 2,4% in apertura, mentre la Borsa ha subito una perdita di oltre il 4%. Il primo ministro, Viktor Orban, ringraziando il FMI per il suo "aiuto durante i tre anni" ha indicato che "l’accordo sul prestito è scaduto nel mese di ottobre, e quindi non c'era niente da sospendere.”
"Le banche sono all’origine della crisi mondiale, è normale che contribuiscano a ripristinare la stabilità", ha sottolineato (4).

Il 22 luglio la nuova legge della tassa sulle banche, che prevede inoltre la riduzione del prelievo fiscale sulle piccole e medie imprese (PMI) dal 16 al 10 %, è stata approvata con una larga maggioranza (301 voti a favore e 12 contrari) dal Parlamento guidato dal Fidesz di Orban . Non sorprende che il giorno dopo, le agenzie di rating Moody's e Standard and Poor's abbiano messo sotto osservazione l’Ungheria per un possibile declassamento del rating. Il ruolo di queste agenzie, giudici e parti di un sistema speculativo strangolatore, è presto detto: si alza il rating del governo conservatore salito al potere che aderisce al programma di austerità capitalista, si abbassa quando ci si rende conto che le misure non sono in linea con il dogma neoliberista.

Il quotidiano “Le Monde” sostiene i creditori

Diversamente da quanto sostiene il quotidiano francese Le Monde (5) nella sua edizione del 20 luglio, occorre appoggiare l’insubordinazione manifesta del governo ungherese al FMI,e sostenere l'idea che anzi deve fare lo stesso con l’altro suo creditore, l'Unione europea. Prendere le distanze da tali creditori non è un torto al popolo ungherese, per il quale pagare un debito alle condizioni imposte dal FMI e dalla UE è già un pesante fardello.

Naturalmente occorre andare oltre una semplice rottura diplomatica, proponendo, ad esempio, un fronte dei paesi a favore della cancellazione del debito, perché, come ha detto giustamente San Kara , ex presidente del Burkina Faso, pochi mesi prima di essere assassinato: "Il debito non può essere rimborsato innanzitutto perché ,se non paghiamo , i nostri creditori non moriranno, stiamone pur certi. Mentre, se paghiamo, siamo noi che moriremo .E anche di questo possiamo essere certi…(... ) Se solo il Burkina Faso si rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza. Ma, con il sostegno di tutti, di cui ho bisogno (applausi), con il sostegno di tutti possiamo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo impiegare le nostre scarse risorse per il nostro sviluppo." (6)
Solo una mobilitazione popolare che pretenda la verità sulla destinazione del denaro preso in prestito così come anche la soddisfazione delle richieste in termini di salari, occupazione o garanzie sociali, potrà ottenere che i veri responsabili della crisi ne paghino il costo.

Perciò è di vitale importanza per i popoli d'Europa e altrove, contestare questi debiti macchiati d’illegalità e rifiutarne il pagamento. E’ un primo passo verso la sovranità che permetterebbe di dirottare gli enormi fondi dedicati al rimborso del debito verso i bisogni reali della popolazione, la salute, l'istruzione, le pensioni, e (permetterebbe) di tutelare il servizio pubblico e non delegarlo ad aziende private.

Jerome Duval
Fonte: www.mondialisation.ca
Link: http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=20450
3.08.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RAFFAELLA SELMI